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Siamo forse il contrario di Dio?

Siamo forse il contrario di Dio?

- Intervista ad Antonio Thellung

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 19/12/2015

I titoli dei libri di Antonio Thellung («di professione sposo, padre, nonno e bisnonno», come si descrive egli stesso, ma anche saggista e fondatore e animatore di comunità di fede e di ricerca spirituale) sono spesso paradossali: L'inquieta felicità di un cristiano (Paoline, Milano 2009, v. Adista Segni Nuovi n. 66/09), Una saldissima fede incerta (La meridiana, Molfetta 2011, v. Adista Notizie n. 41/11), Sto studiando per imparare a morire (Altrimedia, Roma 2014, v. Adista Segni Nuovi n. 22/14). L’ultimo volume pubblicato, uscito in questi giorni per i tipi di Altrimedia Edizioni, conferma questa scelta: Siamo forse il contrario di Dio? (pp. 128, euro 12, acquistabile anche presso Adista: tel. 066868692, e-mail abbonamenti@adista.it, sito internet www.adista.it).

Thellung propone una tesi originale: se Dio è tutto in tutti, che cos'è l'individuo che, per sua natura, si distingue da tutto il resto? Chi si trova a vivere in prima persona drammatiche esperienze che ricordano Giobbe, non fatica a credere che l'inferno si trovi su questa terra, come dicevano Schopenhauer o Italo Calvino. L'unico modo per non farsi travolgere è imparare a intrecciare insieme felicità e angoscia, è riuscire a sorridere anche con la morte nel cuore. 

Thellung, perché il contrario di Dio?

Se Dio è tutto in tutti, come dice san Paolo, mi domando: che altro potrei essere considerato io, piccolo individuo limitato che istintivamente vorrebbe distinguersi da tutto il resto, se non il suo contrario? Secondo me, questa tesi ha un sostegno teorico inoppugnabile che personalmente ho scoperto più di sessant'anni fa. Ma sembra che ci sia un'istintiva paura inconscia a riconoscerlo e ammetterlo, tanto che finora pochi hanno recepito il messaggio, e nessuno, tra quelli che contano, mi ha mai dato retta.

Non è ambiguo dire così? Non rischia di far credere a una contrapposizione insuperabile?

Credere che contrario significhi contrapposto è uno dei più diabolici inganni, presente soprattutto nell'inconscio collettivo. Per questo il contrario viene concepito dai più con un significato artefatto, che spinge a negare l'evidenza, per timore di cadere in qualche forma di disperazione. Così il gioco diabolico è fatto!.

E invece? 

Basta riflettervi con serenità per capire che il senso è diverso. Ogni parziale è il contrario del totale, al quale appartiene. E così si può dire del limite nei confronti dell'illimitato, del finito nei confronti dell'infinito, del relativo nei confronti dell'assoluto. Insomma, i contrari non sono nemici fra loro ma, caso mai, complementari, ed è la percezione di poter riposare nel proprio contrario che può dare serenità e speranza a ogni essere limitato. Un contrario a cui sento di appartenere e dal quale nulla potrà mai separarmi.

Una tesi suggestiva che però non elimina le perplessità…

Ma in quest'ottica diventa chiaro. Contrario del bene non è il male in sé – che da solo non esiste, secondo la stessa teologia tradizionale – ma bene e male mischiati assieme, proprio come nel nostro mondo terreno. Per questo io che sono un po' buono e un po' cattivo a un tempo, riconosco di essere il contrario di Dio. E aggiungo che da quando l'ho scoperto la speranza non mi ha più lasciato, perché ho capito che la mia vita serve a dimostrare quel che Dio non è. È una grande consolazione per tutte le sofferenze che accompagnano la mia esperienza di vita.

Questa tesi come viene articolata nel volume?

Il libro, che ho cercato di rendere leggero e di agile lettura, è diviso in tre parti. Intrecciando tra loro drammi della mia vita personale e drammi dell'umanità. Nella prima parte ho cercato di uscire dalle teorie per mettere in evidenza il vissuto, che è intessuto di tutte le contraddizioni intrinseche di un mondo diabolico e meraviglioso a un tempo. La seconda parte è una sorta di “teologia pensata”. Anche se molti dicono che è inutile inseguire spiegazioni comunque incomprensibili, da parte mia credo invece che sia possibile intuire qualche significato. Perché non rifletterci a fondo, dunque? Altrimenti che cosa lo abbiamo a fare il pensiero, che pur nelle sue ambiguità è capace di esprime anche le parti più nobili del nostro essere? Tali riflessioni, poi, mi portano a immaginare che la speranza sia capace di svolgere il suo mestiere anche in un mondo diabolicamente contraddittorio come il nostro. La terza parte del libro, perciò, è dedicata alla “teologia sperata”, che mi accorgo capace di tenerci sempre vivo davanti agli occhi il positivo che la vita esprime, malgrado tutto. Un positivo che per esperienza posso dire capace di mantenere vivo il sorriso perfino quando si ha la morte nel cuore. A me non sembra poco.

Il sottotitolo è “Un invito a coltivare la speranza”, ma leggendo la prima parte il lettore potrebbe sentirsi scoraggiato…

Spero che nessuno cada in questo inganno: sperare non è negarsi la realtà ma scoprire, qualunque sia il presente, se esiste un futuro positivo. E crederci. Ma come punto di partenza è indispensabile chiamare le cose con il proprio nome. Del resto vorrei sottolineare una coincidenza: nel momento stesso in cui era in stampa questo libro, che parla di tragedie mondiali, terrorismo compreso, a Parigi era in corso la strage del 13 novembre, quasi a voler sottolineare la diabolicità di questo mondo. E tuttavia, a mio modo, non perdo affatto la speranza e invito tutti a lavorare per un mondo migliore, atteggiamento che è già in sé una proiezione escatologica, mentre diabolico sarebbe ritirarsi nel privato, consolidando ancor più le contraddizioni.

A te piace usare un linguaggio paradossale – lo dimostrano anche i titoli di altri tuoi libri –, ma in fondo parlare di contrario di Dio potrebbe anche essere soltanto un modo di dire suggestivo…

No, non è solo un modo di dire, è rovesciare l'ottica: è convertirsi. Abitualmente è facile sostenere che Dio è al primo posto, ma poi è ancor più facile sentir affermare se stessi e la propria individualità, per illudersi di potersi fare simili a lui. Questo è parte della nostra realtà diabolica. Qualunque cosa che non sia Dio, cioè qualsiasi realtà limitata, è inevitabilmente un disastro, e pensare che rifletta le caratteristiche del Creatore è fuorviante. Non perché sia negativa la sostanza, che è sempre e comunque divina (non ne esiste altra), ma sono i limiti a introdurre elementi diabolici insuperabili, a meno che non vengano letti in prospettiva divina. Anche il concetto di creazione viene rovesciato, anche il trascorrere del tempo si rovescia, tanto che può essere corretto dire che l'essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio, ma solo come punto di arrivo, non di partenza. Quando tutto sarà compiuto.

Ma questa tesi che cosa cambia nella vita quotidiana?

Secondo me la differenza può essere grandissima, direi che può diventare un formidabile alimento della speranza. Ma non si può parlarne così, in poche parole. Per tentare di farlo a ragion veduta ho finito per scrivere un intero libro. È stata un'iniziativa personale che spero potrà diventare condivisa con chi lo leggerà. Vogliamo finire con una battuta di spirito?.

Certamente.

Ricordo che molti anni fa, quando ero un giovane intelligente, leggendo il verso di Gozzano che dice «che bisogno c'è mai che il mondo esista?», come risposta mi ero inventato un breve racconto paradossale. «Un tempo c'era solo Dio, che era perfetto nel suo assoluto bene. Aveva però una preoccupazione: come faccio a sapere che sono proprio Dio se null'altro esiste? Così ha creato il mondo, che essendo diverso da lui è inevitabilmente un disastro, pieno di quel che si usa chiamare male. Da allora è costretto a lavorare incessantemente per riportarlo al bene, ma non è più preoccupato perché il caos del mondo dimostra che Dio è proprio lui». In altre parole, che cosa potrebbe essere il contrario di questa nostra realtà così caotica e insensata? Concluderei dicendo che mi sento felice e fiero di offrire a Dio la sua dimostrazione. 

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