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“Il Mein Kampf in edicola? Un mix di marketing, opportunismo elettorale e ignoranza”. Parola di storico

“Il Mein Kampf in edicola? Un mix di marketing, opportunismo elettorale e ignoranza”. Parola di storico

Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 25/06/2016

38591 ROMA-ADISTA. Intanto, sarà utile spiegare come mai l’operazione Mein Kampf è stata attuata dal Giornale della famiglia Berlusconi in questo momento storico. Il 31 dicembre 2015 – dopo 70 anni - sono scaduti i diritti d’autore (affidati al governatorato della Baviera) del Mein Kampf, il libro-manifesto scritto da Adolf Hitler nel 1925, quando era in carcere per il fallito Putsch di Monaco. Dall’inizio del 2016 il libro è liberamente pubblicabile, senza richiedere autorizzazioni o pagare diritti d’autore. 

Così, a gennaio 2016 l’Istituto di storia contemporanea tedesco, con l’avallo delle comunità ebraiche, ha deciso di ripubblicare il testo in un’edizione commentata. E in Germania il Mein Kampf è diventato presto un best seller. Forse anche per questa ragione, il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, avrà fiutato l’affare, con annessa enorme cassa di risonanza mediatica. Battendo tutti sul colpo ha quindi deciso di pubblicare in Italia il testo di Hitler allegandolo al suo quotidiano e vendendolo in edicola al costo (non certo basso per i testi distribuiti in edicola) di ben 11,30 euro. In realtà, il Giornale non è l’unico a vendere il Mein Kampf: l’e-book si può trovare su Google Books a 2,58 euro; sulla piattaforma Apple, che lo vende in diverse edizioni per un costo che varia dai 2 ai 5 euro; o su Amazon o Ibs; fino a Feltrinelli, che lo vende in edizione cartacea scontata a 10,20 euro. In ogni caso, la diffusione capillare del testo garantita dalla vendita in edicola, con la possibilità quindi di arrivare ad un pubblico potenzialmente molto vasto e indifferenziato (anche culturalmente), oltre alla linea politica di centrodestra del quotidiano il Giornale ed alla sua proprietà, hanno scatenato furiose polemiche. Adista ne ha parlato con Guri Schwarz, professore di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa e presso il Corso di Laurea in Cultura Ebraica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, membro del comitato scientifico della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Milano) e membro della direzione della rivista Quest. Issues in Contemporary Jewish History. Shwartz è esperto in particolare di storia ebraica, oltre che del periodo transizione dal fascismo alla democrazia. È autore, tra l’altro, di After Mussolini: Jewish Life and Jewish Memories in Post-Fascist Italy (Vallentine Mitchell, London 2012). Di seguito l’intervista.

Come giudica l'iniziativa de Il Giornale?

Una volgare iniziativa di marketing. È stata collegata alla campagna elettorale in corso. Tuttavia io credo che pesi di più la competizione con Libero: i due quotidiani fanno a gara da anni a chi la spara più grossa, alimentando nel mentre un immaginario xenofobo e intollerante e sdoganando i sentimenti più retrivi della cultura di destra. Una cultura che non è meno in crisi di quella di sinistra e che – pur avendo gestito il potere per molto tempo – tende a rappresentarsi come anti-istituzionale e controcorrente. Calcoli commerciali e lo sciocco gusto per la provocazione a tutti i costi spiegano l’iniziativa.

Giornali e media radiotelevisivi hanno raccolto quasi esclusivamente la protesta indignata delle comunità ebraiche. Eppure, sono tantissime le vittime, anche di altre comunità, dell'ideologia nazista...

È grave che la voce degli ebrei sia l’unica ad essere considerata. La vicenda infatti non riguarda primariamente gli ebrei: nazismo, fascismo, l’eredità della seconda guerra mondiale, non sono certo questioni che concernono gli ebrei soltanto. Tuttavia sono ormai almeno trent’anni che al centro della scena è stata posta la memoria della Shoah, mentre altre narrazioni sono entrate in crisi ed hanno perso mordente. Uno degli effetti di quel processo è che poi si chiede agli ebrei di ricordare per tutti, con una delega impropria e preoccupante.

Ci sono libri che non si possono o devono stampare o leggere? A che condizioni a suo giudizio si potrebbe stampare e divulgare oggi un libro come il Mein Kkampf?

Il punto è sempre che ciò che si pubblica, come si pubblica e dove si pubblica sono questioni tra loro interconnesse. Sallusti, con la complicità di un accademico che ha redatto poche misere paginette introduttive, ha ristampato una vecchia edizione degli anni Trenta – un’edizione parziale la cui storia è stata ben ricostruita dallo storico Giorgio Fabre –, senza commento critico o adeguata contestualizzazione storica, e ha poi reso il tutto disponibile nelle edicole. Fare peggio era difficile. Il punto non è che quel testo non deve circolare, ma che per renderlo intelligibile va presentato in modo adeguato e in contesti appropriati. E sfatiamo peraltro il mito del testo inaccessibile che viene riesumato in una battaglia contro la censura: su internet era facilmente scaricabile da chiunque, si trova nelle biblioteche ed esistono edizioni commentate (decorose anche se non entusiasmanti), come quella  curata dal politologo Giorgio Galli per le edizioni Kaos (pubblicata nel 2002 e ristampata nel 2006). 

Quel testo si può e si deve studiare oggi, ma come ogni testo va collocato nel suo contesto. Per questo ci vuole il lavoro degli storici; in Germania è stata recentemente data alle stampe un’edizione critica con un corposissimo apparato di note che contestualizza e consente di leggere criticamente quell’opera. Un esempio di lavoro storico-critico che meriterebbe di essere tradotto e reso disponibile anche per il pubblico italiano.

Come si "rispetta" la memoria, oggi?

Non credo che alle operazioni di ghignante dissacrazione compiute da personaggi alla Sallusti basti rispondere con operazioni di riconsacrazione come quella operata per esempio da Radio Popolare che, per rispondere alla provocazione, pochi giorni fa ha organizzato una lettura pubblica del Diario di Anna Frank. Non entro neanche nel merito della scelta discutibile del testo, che a sua volta rinvia di nuovo agli ebrei e alla Shoah come se il nodo fosse quello e solo quello. Mi limito a registrare che il rischio è di contrapporre una retorica ad un’altra, in un quadro in cui si fronteggiano opposte tifoserie e tutto appare decontestualizzato e svuotato di senso. 

Il problema a mio avviso non è che non c’è memoria, o non c’è rispetto per la memoria. Il problema semmai è che manca la storia. Si discute della distribuzione in edicola di Mein Kampf, ci si appassiona, si polemizza e ci si indigna. Il tutto in un Paese dove dei dibattiti e della produzione scientifica internazionali sulla storia del nazismo, della Shoah e della guerra arrivano al massimo eco attutiti. Gli studi hanno compiuto enormi passi avanti negli ultimi decenni, e nascono tutti all’estero: in Francia, Gran Bretagna, Germania, Usa. Qua certe cose si studiano poco e anche gli studi condotti fuori spesso non arrivano. Su questi temi in Italia si fa retorica, si organizzano iniziative commemorative, ma di fatto il Paese è (con qualche eccezione) tagliato fuori dai grandi dibattiti internazionali. Questo poi si riflette anche sul piano del discorso pubblico e di quello mediatico, rendendo possibili e – agli occhi di qualcuno anche credibili – operazioni come quella compiuta da Il Giornale. 

* Foto di nick@. Tratta da Flickr. Immagine originale e licenza.

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