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Suore sposate. La tristezza del papa

Suore sposate. La tristezza del papa

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 38 del 05/11/2016

Recentemente due suore si sono unite in matrimonio. Hanno promesso amore e  fedeltà una all’altra. Da cittadine lo hanno fatto in un atto di unione civile, ora finalmente riconosciuto dallo Stato. Da cattoliche credenti lo hanno fatto in una celebrazione di matrimonio religioso assistite da un sacerdote coraggioso. Due suore lesbiche mostrano che la comunità omosessuale, incompresa e offesa per secoli, costituisce oggi una chiamata profetica per la Chiesa: esige dalla Chiesa il necessario ripensamento della sua posizione sull’amore umano, confrontandola con l’attuale stato del sapere scientifico ed esperienziale dell’umanità. Infatti, l’amore non può essere riservato solo a una parte dell’umanità, quella eterosessuale, come attualmente obbliga a pensare il magistero della Chiesa. La Congregazione per la Dottrina della Fede nelle “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” (2003) impone a tutti i cattolici di ritenere che le relazioni omosessuali non sono umane e non possono esprimere amore, perché «mancano della forma umana e ordinata delle relazioni sessuali». Chi riflette senza pregiudizi anche solo sulla storia delle due suore innamorate, intende quanto è grossolana la falsità su cui la Chiesa fonda la sua attuale dottrina circa l’omosessualità. La dottrina “priva” le persone omosessuali di capacità di sentimenti, di affetti e di esperienze d’amore coerenti con il loro orientamento sessuale, mentre la realtà dimostra il contrario.

Osservando la storia delle due suore innamorate e ricordando altre storie di sacerdoti o religiosi gay e religiose lesbiche innamorati, la gente inizia a rendersi conto che non esiste solo l’amore eterosessuale, ma in ugual misura esiste l’amore omosessuale e lesbico. Quell’amore ha diritto di essere vissuto, proclamato pubblicamente e protetto dalla società e dalla Chiesa. Paradossalmente, mentre la Chiesa si definisce comunità d’amore, fa di tutto affinché l’amore di una parte dell’umanità sia rifiutato, disprezzato, offeso, ma anche negato, ritenuto “impossibile”. Ogni espressione dell’amore omosessuale secondo la Chiesa deve essere denigrato come non-esistente, nascosto come tabù o al massimo vissuto nell’armadio ipocrita (nel closet).

Le due suore hanno avuto il coraggio dell’amore, nonostante la stigmatizzazione da parte della loro Chiesa. Hanno annunciato che non sono uniche, ma che molte religiose nei conventi cattolici vivono esperienze amorose simili a quelle che hanno portato queste due donne credenti al matrimonio. Ciò che sconvolge in questa storia è solo la reazione della Chiesa. Ciò che inquieta è la reazione di papa Francesco. Infatti, secondo quanto abbiamo appreso dall’apocalittico messaggio di mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segretaria di Stato vaticana: «Quanta tristezza sul volto del papa quando gli ho letto la notizia delle due suore spose». 

Ma triste in tutta la vicenda è solo la reazione della mia Chiesa. Davanti alle storie d’amore la Chiesa avrebbe il dovere di una profonda e rinnovata riflessione. Dovrebbe fermarsi nel silenzio rispettoso e riflettere se non ha perso di vista qualcosa che la aiuterebbe a capire la realtà, che stiamo vivendo e che spunta nelle storie d’amore. Dovrebbe domandarsi se non ha offuscato qualcosa di essenziale nella natura umana e se non ha ignorato il sapere umano attuale, stigmatizzando le minoranze sessuali, riducendole a questioni ideologiche o di moda passeggera.

Inquietante è la tristezza del papa, che aveva promesso di essere aperto a studiare la realtà senza pregiudizi. Aveva promesso l’accoglienza non “a parole vuote”, ma l’accoglienza che significa lo sforzo di comprensione della verità dell’altro. Inquietante è la tristezza del papa che sembrava aperto a studiare il sapere umano sulle minoranze sessuali e a smettere di ripetere solo le falsità da tempo superate. Nella sua tristezza egli torna a combattere la realtà e la dignità umana dell’amore, mentre si doveva scrutarla, comprenderla, discernerla.

Forse dovrebbe essere triste il Vaticano e l’intera società cattolica per non aver inteso i segni dei tempi, rinchiudendosi in una mancanza di umanità nei confronti delle persone non eterosessuali, che per ora vengono offese dalla vigente dottrina della Chiesa, che le “priva” di capacità di amore umano. Ora le persone omosessuali: religiose, religiosi, sacerdoti, laiche e laici, stanno mostrando alla Chiesa che sono capaci di amare e non intendono più nascondere il loro amore, che è cristiano e benedetto. Concedo che per l’umanità la scoperta di quel sano e naturale amore, come espressione di sani e naturali orientamenti sessuali non eterosessuali, è una rivoluzione copernicana. Necessita tempo di comprensione, sforzo intellettuale e formativo, come fu nel processo di superamento della schiavitù. Necessita una Chiesa aperta alla ragione e papi che invitano la Chiesa a pensare. L’umanità sta affrontando quel processo di civiltà, riconoscendo la dignità e i diritti che spettano alle persone non eterosessuali e chiedendo loro perdono per i secoli di incomprensioni e di offese. Molte persone omosessuali, suore, preti e laici, attraverso i loro coming out (= uscite dall’oscurità dell’armadio della negazione di sé e del proprio orientamento sessuale) e attraverso le loro storie d’amore partecipano in quel processo coraggioso per un’umanità migliore. Solo la mia Chiesa, le sue gerarchie e le istituzioni, si sono arroccate nel bastione della tristezza. Ora a pieno titolo in quella “triste tristezza” li presiede niente meno che papa Francesco, il papa della gioia, della comprensione, dell’accoglienza…

Evagrio Pontico aveva inserito la tristezza nel primo elenco di peccati capitali. Poi la tradizione cristiana ha rivisto quell’elenco, riducendo il numero dei peccati al biblico “sette” e cancellando l’“ottava” tristezza. Oggi, osservando il perdersi della mia Chiesa in mezzo ai segni dei tempi, credo che si dovrebbe tornare al più presto alla tavola dei vizi dei primi secoli: la tristezza è il peccato della Chiesa incapace di usare la ragione e il cuore. È il suo rifugio dalla realtà, il nascondiglio davanti alla dignità dell’amore umano, che va compreso e di cui nessuno può essere privato “in nome di Dio”.

Caro papa Francesco, promettevi la gioia dello studio e della riflessione ecclesiale, libera da pregiudizi, oggettiva e serena, capace di comprendere la realtà. Perché stai tornando alla anti-evangelica realtà della tristezza? Quella tristezza non ci porta da nessuna parte, perché non viene dal Dio dell’Amore. 

Krzysztof Charamsa, prete e teologo polacco, ex segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale presso la Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 2015 rivelò la propria omosessualità e venne sospeso da tutti i suoi incarichi istituzionali e accademici.

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