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Il vero reato è la disumanità

Il vero reato è la disumanità

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 29 del 02/09/2017

Zawiyah, Zuwara, Sabratha, Tajura… sono qui alcuni dei centri di reclusione dei migranti in Libia, almeno una dozzina, la maggior parte negli stessi luoghi degli imbarchi, a creare un circuito micidiale di andata e ritorno al punto di partenza. Tutte le fonti – chi alla fine riesce ad arrivare, le organizzazioni umanitarie – concordano nella descrizione dell’orrore quotidiano che viene inflitto a chi vi è rinchiuso: alimentazione e condizioni igieniche ai limiti della sopravvivenza, torture, stupri, violenze sistematiche, atti di sadismo. 

Durissimi anche i comunicati di Amnesty International, cui non è concesso entrare in Libia, e di  MEDU (Medici per i diritti umani), che attraverso il lavoro a Roma delle sue unità mobili ha raccolto più di 2mila testimonianze dirette: «Il collo di bottiglia della rotta mediterranea centrale sembra dunque chiudersi lasciando decine di migliaia, o più probabilmente centinaia di migliaia, di migranti subsahariani, e non solo, nel territorio libico. Ma che cosa sia questo cul de sac è necessario ripeterlo ancora una volta con chiarezza e a gran voce: è la Libia di oggi, ossia un lager dove si consumano nei confronti dei migranti atrocità degne dei peggiori campi di sterminio del XX secolo. Gli aguzzini di questi lager, dove viene perpetrata la tortura di massa, sono i più svariati: bande e organizzazioni criminali, milizie armate e certamente anche coloro che dovrebbero rappresentare quello Stato che ha firmato gli accordi con l’Italia, ossia poliziotti e militari». Al di fuori dei centri si ha notizia di “riduzione in schiavitù”, lavoro forzato e “cacce al nero”, con improvvisi massacri. 

Il gioco è ormai chiaro: ai ripetuti ben noti ricatti sui migranti per ottenere soldi dalle famiglie si sono aggiunte ultimamente le lotte politiche interne e il controllo dei centri è diventato un nodo fondamentale per il potere. 

La strategia dello spostamento sempre più a sud della barriera per l’immigrazione – che ricorda il “tappo” turco a est, anche quello affidato dalla UE alla violenza del regime locale – comporta il totale controllo di ciò che accade nel Mediterraneo, con il chiaro obiettivo di limitare gli arrivi, a qualunque costo. E le Ong impegnate nei salvataggi in mare sono una presenza intollerabile, sia perché salvano migliaia di persone l’anno, sia perché testimoni scomodi. Entrate in azione, è bene ricordarlo, da quando, nell’ottobre 2014, è stata sospesa l’Operazione Mare Nostrum, che garantiva a livello istituzionale la ricerca e il recupero dei naufraghi, sono state oggi, improvvisamente, quasi del tutto immobilizzate. Prima la campagna diffamatoria: «Sulle Ong credo che il mondo sia cambiato nel giro di 48 ore», ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, «in pochissimo tempo, da angeli del mare, sono diventate il male assoluto». Poi le accuse, le denunce, le inchieste, anche se fino a oggi non sono emersi “reati” contestabili per nessuna di loro. Poi l’imposizione di un “Codice di condotta” che implica tra l’altro l'accesso a bordo di personale militare – «di fatto un'aperta violazione dei principi umanitari che sono il pilastro delle azioni delle Ong in tutto il mondo», nelle parole di  Emergency – e che è duramente criticato anche dall’Alto Commissariato Onu per i diritti umani (Unhcr), in quanto prevede «procedure che potrebbero ridurre la capacità delle organizzazioni di effettuare attività di salvataggio di vite: ciò potrebbe portare a più morti in mare, e la perdita di vite, essendo prevedibile ed evitabile, costituirebbe una violazione degli obblighi dell’Italia in materia di diritti umani».

Ultimo tassello: il ruolo sempre più forte della Guardia costiera libica, con il sostegno politico, militare e economico italiano. Il suo “operato violento”, documentato anche con filmati e denunciato da Amnesty International, dalle Ong, dai migranti, è ora addirittura oggetto d’inchiesta della Corte penale internazionale dell’Aja, che ravvisa la possibilità dell’accusa di “gravi crimini contro l’umanità” e che avanza il sospetto di una sua collusione con i trafficanti. Intanto la Libia ha spostato a 70 miglia marittime il suo controllo, includendo anche aree di acque internazionali: «In pratica – ha denunciato anche la Cri in un incontro con il  Segretario generale dell’Onu – le navi delle Ong e la guardia costiera italiana non possono più intervenire: il risultato è la crescita del numero dei morti e l’aumento del costo dei viaggi. Per non parlare delle  migliaia di persone che vengono così riportate in una zona di guerra contro ogni regola del diritto internazionale. (…) L’appropriazione di 70 miglia di acque da parte della guardia costiera libica non rispetta quindi la Convenzione di Ginevra sui rifugiati».

Quanto in Italia ci si rende conto di tutto questo? Salvare vite umane ormai può essere illegale: è il tempo del “reato umanitario”, del  “reato di solidarietà”. Mentre il razzismo quotidiano dilaga. Una deriva morale prima che politica, una perdita di umanità che tutti dovremmo cercare di contrastare.

*Cristina Mattiello è insegnante, giornalista e americanista.

* Foto di Vito Manzari tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

 

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