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«Ricostruire un popolo». Idee per una lotta dal basso

«Ricostruire un popolo». Idee per una lotta dal basso

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 29 del 04/08/2018

C’è una vulgata – che pretende essere di sinistra – secondo la quale gran parte del popolo italiano sarebbe oggi preda del razzismo e del fascismo. Sarebbe come se la popolazione che fu protagonista del “caso italiano” – essere cioè il Paese occidentale con il più forte Partito comunista, un altrettanto forte sindacato di classe, una Costituzione che Salvatore d’Albergo definiva acapitalista ed un sistema di economia mista – avrebbe subìto una sorta di mutazione antropologica.

Non sono d’accordo.

Non sottovaluto la pericolosità della deriva in atto, né dimentico che il nostro Paese 96 anni fa partorì il fascismo e 16 anni dopo l’altro obbrobrio delle leggi razziali. Ma penso che quella vulgata sia frutto di un errore di prospettiva dovuto ad una carenza di analisi che ha impedito di cogliere il senso e la portata delle trasformazioni avvenute in seno alla società italiana a seguito delle modifiche del modo di produrre e consumare.

Nel passaggio dalla fase fordista del capitalismo al post-fordismo e poi alla globalizzazione non ci si è accorti che sfruttamento ed alienazione non erano più veicolati solo dal rapporto di lavoro di-pendente e che non colpivano più soltanto i lavoratori e le lavoratrici nel momento della produzione, ma tutte e tutti in quello del consumo. Così non furono riconosciuti i “nuovi soggetti” nati dai o in reazione ai nuovi modi di produrre; i lavoratori costretti dai processi di esternalizzazione a divenire imprenditori di se stessi furono scambiati per “bottegai” e i lavoratori autonomi vennero considerati alla stregua di avversari come fu per quel tipo di imprenditoria che Detragiache chiamò popolare ed altri avrebbero poi chiamato “capitalismo molecolare”. Che queste forme di organizzazione economico-sociale avessero poco a che fare con il capitalismo lo si è visto in tempi recenti quando c’è stato chi per pagare i salari si è ipotecata la casa.

Con il passaggio di fase andò in crisi lo Stato sociale. Spiegò il Cerchio Quadrato, supplemento de il manifesto, che nella fase fordista il welfare era stato funzionale alla accumulazione del capitale re-alizzando più posti di lavoro delle stesse imprese e quindi sostenendo il circolo virtuoso generatore di profitti: crescita dei salari e dei consumi, quindi della produzione e degli investimenti e di nuovo maggiore occupazione.

Passando al post-fordismo e alla globalizzazione la dinamica dell’accumulazione seguì altre logiche e l’occupazione e lo Stato sociale persero il ruolo di traino.

Con la crisi del welfare iniziò la riduzione dei diritti.

In questo contesto il fenomeno che negli anni ‘70 era andato sotto il nome di “proletarizzazione dei ceti medi” si arrestò e poi invertì direzione; gli stessi “garantiti”, avvertendo l’insufficienza di una tutela limitata al posto di lavoro, non si sentirono più rappresentati; i legami sociali, quando non saltarono, si andarono allentando.

Fu l’avvento della società molecolare. Si spiega così che iscritti alla Fiom votavano per Berlusconi e Lega, insieme a gran parte delle “partite iva” e del variegatissimo mondo della piccola imprenditoria diffusa.

Poi sulla società molecolare, scambiato dai più per “crisi del capitalismo”, si è abbattuto il trionfo del “capitalismo predatorio”, riconosciuto come tale solo da pochi economisti: a livello planetario come nei singoli Paesi la ricchezza è stata concentrata nelle mani di pochissimi soggetti e masse enormi nei Paesi occidentali sono state impoverite e interi Paesi in Africa e in Asia depredati. Alle vecchie povertà se ne sono affiancate di nuove ed è sorta una povertà inedita: un tempo si era poveri se non si aveva lavoro; ora si può avere lavoro ed essere poveri.

Povertà e disoccupazione in crescita, diritti in diminuzione: c’è da meravigliarsi se ne sono derivate perdita di identità, spaesamento, rabbia e paura?

È una deriva pericolosa. Percorsa a tratti da tensioni razziste, di essa stanno già approfittando i mai scomparsi rigurgiti di fascismo. Perciò va affrontata.

Ma non vanno scambiati gli effetti per le cause, né prese per avversarie le vittime della molecolarizzazione della società. Sconfiggere la rabbia e la paura con lo scontro sarebbe follia: si radicalizzerebbero posizioni e stati d’animo, isterilendo energie che potrebbero essere mobilitate per il loro stesso riscatto. Il fronte degli impoveriti si può unificare svelando che le cause dei malesseri sono comuni e che quanti sembrano rivali e concorrenti sono vittime di medesimi processi di esclusione, per cui possono divenire alleati e partecipi di una stessa lotta per la conquista di diritti comuni.

È in questa prospettiva che il 18 luglio – rispondendo all’appello di una piccola associazione di promozione sociale, Cittadinanza e Minoranze, che si occupa essenzialmente degli ultimi fra gli ultimi, cioè dei Rom e dei Sinti – 20 esponenti (altri avevano aderito ma non hanno potuto essere presenti) di piccole organizzazioni ma anche di alcune importanti si sono riuniti presso la Casa Internazionale delle Donne, per discutere come contribuire alla costruzione di una diga per trasformare rabbia e paura in energie positive per «ricostruire un popolo, socialmente e culturalmente, ancor prima che politicamente» con una lotta dal basso, «che sia innanzitutto una lotta di idee» (Tomaso Montanari).

I presenti hanno concordato di fare un censimento di risorse e competenze e, per valutarne la consistenza, hanno fissato un secondo incontro, di nuovo nella Casa Internazionale delle Donne, per lunedì 30 luglio.

Non si tratta di un tentativo velleitario. Nella stessa direzione si è mossa la CGIL promuovendo un analogo incontro tre settimane prima e ne sta preparando un secondo.

La confluenza degli sforzi non solo risponde ad una necessità, ma è nelle cose: nella comunanza delle impostazioni e degli obiettivi. Insieme ce la si può fare.

* Nino Lisi è membro della Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese

* * Giuseppe Pellizza da Volpedo, Ambasciatori della fame (bozzetto, 1892), fonte: machiave.blogspot.com; tratto da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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