
In Brasile le piazze si riprendono la parola. Per scongiurare l'abisso
Tratto da: Adista Notizie n° 22 del 15/06/2019
39848 BRASILIA-ADISTA. La resistenza, in Brasile, riparte dalle piazze. Quanto sarà in grado di incidere efficacemente sull'attuale – e drammatico – scenario politico del Paese, risulterà probabilmente più chiaro dopo lo sciopero generale del prossimo 14 giugno, che si annuncia come uno dei più grandi della storia brasiliana. Ma un ottimo "riscaldamento" è apparso già, dopo solo 15 giorni dalla prima imponente mobilitazione contro i tagli al sistema educativo, la manifestazione del 30 maggio scorso, quando centinaia di migliaia di insegnanti, studenti, genitori, lavoratori del settore scolastico sono tornati in strada, in almeno 136 città di 25 Stati, non solo in difesa di un'educazione pubblica gratuita e di qualità, ma anche contro il progetto di Paese portato avanti dal governo di estrema destra. E lo hanno fatto malgrado le intimidazioni del ministero dell'Educazione, che, in una nota, aveva invitato a denunciare «professori, impiegati, funzionari, alunni e genitori» responsabili di alimentare le proteste durante l'orario scolastico.
Ma la giornata del 30 maggio è stata anche una risposta alla controversa manifestazione del 26 maggio in appoggio a Jair Bolsonaro, caratterizzata da inviti come quelli ad assaltare il Congresso e la Corte Suprema.
Convocata dal settore più radicalizzato della destra in un momento in cui, secondo i dati del sondaggio divulgato dalla piattaforma indipendente Atlas Político, il grado di disapprovazione nei confronti di Bolsonaro (36,2%) ha superato per la prima volta il tasso di consenso (28,6%), la mobilitazione pro-governo si poneva l'obiettivo di accreditare la tesi di un presidente a cui la "vecchia politica" starebbe legando le mani.
E se, malgrado le numerose defezioni, anche molto pesanti – come quelle di Vem Pra Rua e del Movimento Brasil Livre che tanta importanza avevano rivestito all'epoca dell'impeachment contro Dilma Rousseff –, la manifestazione dell'estrema destra non è stata un fiasco come da più parti ci si attendeva; non è stata, però, neppure abbastanza grande per intimidire un Congresso sempre più apertamente in conflitto con l'esecutivo. Il quale, se finora ha giustificato la sua incapacità di costruire una solida base di appoggio parlamentare con l'argomento di voler rifuggire alle pratiche della vecchia politica, ha dimostrato nei fatti che quelle pratiche, se necessario, non le disdegna in alcun modo. È quanto è emerso infatti dalle rivelazioni della Folha de S.Paulo – confermate anche da diretti interessati – secondo cui il governo avrebbe promesso a ogni deputato federale che voterà a favore della contestatissima riforma della previdenza un extra di 40 milioni di reais rispetto alla quota del Bilancio federale a cui può accedere ogni parlamentare per opere e infrastrutture nel proprio collegio (una quota pari nel 2019 a 15,4 milioni di reais).
Nel tentativo di superare le tensioni con le altre istituzioni dello Stato, Bolsonaro ha comunque invitato il 28 maggio a colazione i presidenti di Camera, Senato e Corte Suprema – rispettivamente Rodrigo Maia, Davi Alcolumbre e Dias Toffoli – al fine di stringere un "patto tra i poteri" che dovrebbe essere firmato entro giugno, garantendo la realizzazione di riforme come quella previdenziale e quella tributaria. E se la presenza di Toffoli alla riunione ha suscitato forti critiche all'interno della magistratura – in quanto non sarebbe autorizzato a negoziare accordi con il governo – il presidente della Corte Suprema ha tuttavia difeso il patto a spada tratta, ritenendo che segnerà «un nuovo tempo» nella relazione tra i poteri al fine di rilanciare la crescita del Brasile, sempre più a rischio recessione dopo la caduta del Pil nel primo trimestre dell'anno. Un dato a cui Bolsonaro ha reagito a modo suo: «Già ho detto che non mi intendo di economia», ha puntualizzato, precisando di confidare «al 100%» sulla politica economica del ministro Paulo Guedes. Se il Pil scende, ad aumentare, e in maniera drammatica, è il tasso di deforestazione in aree sotto la protezione dello Stato. Nei soli primi 15 giorni di maggio è stata abbattuta una quantità di vegetazione quasi uguale a quella andata persa nei nove mesi precedenti: 19 ettari all'ora, per un totale di 6.880 ettari di foresta, pari a quasi 7mila campi di calcio. E nel frattempo gli attacchi di Bolsonaro alla cosiddetta «industria delle multe» in campo ambientale hanno prodotto anch'essi i loro effetti: tra il primo gennaio e il 15 maggio le multe emesse dall'Ibama (Istituto brasiliano dell'ambiente e delle risorse naturali rinnovabili) sono calate del 35% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Il ministro dell'Ambiente Ricardo Salles, noto per aver definito «irrilevante» la questione del riscaldamento globale, non si è scomposto: è tutta colpa dei governi precedenti, ha detto, considerando che «non c'è stato ancora tempo per applicare le nostre politiche».
Ma quali siano tali politiche il governo ha già avuto modo di chiarirlo: dalla soppressione del Dipartimento per le foreste e per la lotta al disboscamento alla proposta di affidare 20 parchi nazionali all'iniziativa privata, fino al lancio di un Fronte parlamentare in difesa dell'Amazzonia che, tra le misure di protezione della foresta, prevede il via libera dell'attività mineraria nelle aree indigene e in quelle protette, con la scusa di scongiurare l'estrattivismo illegale.
* Veduta aerea dell'asse monumentale di Brasilia - foto del 17/03/2014 (fonte/autore: Portal Da Copa - Site de Governo Federal Brasilero) tratta da it.wikipedia.org, licenza Creative Commons
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