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Libano. Il popolo unito invade le piazze per protestare contro il «regime»

Libano. Il popolo unito invade le piazze per protestare contro il «regime»

Non ne possono più i libanesi: la crisi economica è diventata insopportabile al punto che è bastato l’annuncio di una tassa di 20 centesimi di euro al giorno su Whatsapp, Facetime e simili per farli scendere in piazza, il 17 sera, in tantissimi e arrabbiati, bloccando strade e ponti, e urlando «Il popolo vuole che il governo se ne vada». Una notte di scontri fra manifestanti e polizia che ha lasciato per terra 2 morti, mentre in 60 sono rimasti feriti. Alle ore 00.45, il ministro dell’educazione, riferisce l’agenzia AsiaNews, ha annunciato la chiusura di scuole ed università per oggi perché le vie sono impraticabili. «Siamo schifati – affermano alcuni giovani – disoccupati, senza speranze, ci rubano, aumentano le tasse senza offrire ai cittadini alcun servizio sociale, né cure mediche, o istruzione, o pensioni sociali. Ci stanno affamando: se ne devono andare. Basta con la Repubblica feudale fatta di capi che pensano solo ad arricchirsi!».

La crisi, generale e diffusa, è partita con l’innalzamento del cambio della lira libanese con il dollaro che ha incrementato notevolmente i prezzi al consumo (da anni stabiliti in base alla moneta Usa) di tutti gli alimenti. E generale e diffusa è la protesta: sono uniti musulmani sciiti, sunniti, drusi, e cristiani maroniti, melkiti, armeni, vecchi e giovani.

In mezzo ai manifestanti, per la prima volta erano presenti anche dei religiosi: imam musulmani e preti maroniti, afferma l’agenzia. La quale osserva che «lo spavento dei politici è forte» perché «per la prima volta emerge un movimento unitario libanese, libero dalle appartenenze religiose, confessionali e partitiche». Fonti di Mokhtara (nello Chouf druso) hanno rivelato ad AsiaNews che il segretario del partito socialista progressista Walid Jumblat ha telefonato ieri sera al premier Saad Al Hariri, proponendogli di dimettersi insieme a lui.

Oggi, il patriarca maronita card. Beshara Raï ha dichiarato di solidarizzare con i manifestanti e si è rivolto alle autorità politiche, sottolineando che è tempo di fermare il «saccheggio» e lo «spreco» di denaro pubblico. La classe dirigente, ha detto, vuole «imporre tasse ai poveri» che costituiscono «oltre un terzo del popolo libanese: tutti sapete - ha aggiunto - che il tasso di disoccupazione è vicino al 40% e la fame e la miseria minacciano molti cittadini». 

Intanto i manifestanti promettono: «resteremo in piazza fino alla caduta del regime», parola usata durante la Primavera araba, insieme all’altra: «Sawra» (Rivoluzione).

*Il segretario di Stato Mike Pompeo Meets con Walid Jumblatt (al centro), 22 marzo 2019. Foto del Governo degli Stati Uniti, tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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