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DENTRO LE MURA / 6: Quale preghiera?

DENTRO LE MURA / 6: Quale preghiera?

Dentro le mura

È qui che siamo. Tutti dentro le mura, ospiti forzati delle nostre case per il più alto bene comune, la vita: la dobbiamo proteggere da noi stessi, tutti possibili vettori di un virus che troppo spesso non perdona chi non “sa” resistergli. Costretti i nostri corpi a muoversi lungo perimetri brevi e immodificabili, sono libere le nostre menti di spaziare e sondare profondità che raramente frequentiamo, per mancanza di tempo, di silenzi, di piccole solitudini. Voli di cui ci giungono tracciati sotto forma di testi, riflessioni, lettere, e ai quali Adista apre qui un luogo virtuale perché vi facciano nido, fecondino altre menti, portino pensieri, empatie, confidenze. Il nido non ha porte. Depositate qui i vostri pensieri, li metteremo in rete. Scrivete a info@adista.it mettendo in oggetto “Dentro le mura”. Vi attendiamo!

Preghiamo! Preghiamo! Preghiamo!

Aldo Antonelli

Inondato da tutti questi richiami ossessivi da parte del papa e dei vescovi e dei semplici fedeli che ne ripetono, via internet, l’eco mi trovo a disagio. E tuttavia tra il silenzio connivente e opportunistico e la denuncia che potrebbe apparire scandalosa e oltraggiosa, preferisco quest’ultima.

Niente da dire, sia chiaro, per il richiamo in sé.

Cosa di più naturale e normale per noi credenti del richiamo alla preghiera, richiamo al quale Gesù stesso ha fatto spesso ricorso?

Sono il contesto e la finalità ad inquinare il discorso e che mi trovano tristemente indignato ed esacerbato. Anche l’articolo di Enzo Bianchi apparso in prima pagina su Avvenire di ieri (25 marzo) mi è sembrato un infantile arrampicarsi sullo specchio…

Il mondo è in standby, ospedalizzato da un virus di cui si sa poco o niente e di cui poco avvertiamo le nostre responsabilità e noi invitati con impellenza a pregare dio che ce ne liberi, come se fosse stato lui a mandarcelo…

Cosa è questa preghiera ridotta a stalking verso questo dio assurdo diventato bestemmia?

Un dio cieco al quale noi dovremmo aprire gli occhi.

Un dio sordo al quale dovremmo ridare noi l’udito.

Un Dio distratto al quale restituire noi la memoria.

Preghiera dei miracoli al rovescio!

Ebbene sia chiaro: io questo dio non lo conosco. Io sono ateo di questo dio, ricettore delle nostre frustrazioni e collettore delle  nostre irresponsabilità.

E non riconosco come cristiana la relativa preghiera che gli viene rivolta. Questa specie di nutella spalmata sul pane amaro delle nostre disgrazie bypassando le nostre responsabilità e invocando il “suo” intervento.

Al papa, per altri versi carissimo Francesco, e ai vescovi e ai miei confratelli preti mi permetto di chiedere se noi cristiani dobbiamo essere “fedeli credenti” nel “Bel Messaggio” (Evangelo) di Gesù o se dobbiamo involgarirci nella figura dei pagani fabbricatori di idoli che anche di “Dio” ne fanno un feticcio.

Da loro, da questa amata e odiata chiesa, in quattordici anni di seminario e in oltre cinquanta anni di ministero, ho imparato ad amare un altro Dio. Un Dio che è Lui a porre le domande scomode e che, nella preghiera, dovremmo essere noi ad ascoltare.

Quel Dio che già ad Adamo si rivolge chiamandolo per nome e chiedendogli il perché del nascondimento: «Adamo dove sei?.... Perché ti sei nascosto?». E a Caino grida forte: «Caino, dove sei?  Cosa hai fatto?». E’ lo stesso Dio che quando il popolo gli tende le braccia in preghiera, braccia macchiate di sangue, Lui volge lo sguardo dall’altra parte:

           «Smettete di presentare offerte inutili,

            l’incenso è un abominio per me;

            noviluni, sabati, assemblee sacre,

            non posso sopportare delitto e solennità.

            I vostri noviluni e le vostre feste

            io detesto,

            sono per me un peso;

            sono stanco di sopportarli.

            Quando stendete le mani,

            io allontano gli occhi da voi.

            Anche se moltiplicate le preghiere,

            io non ascolto.

            Le vostre mani grondano sangue».

           (Isaia 1, 13-15)

Ecco: io sono figlio di questo Dio che, come con Adamo, mi caccia fuori dai miei bunker; e che, come con Caino, mi richiama alle mie responsabilità e che, come con Isaia, non sopporta solennità e delitto.

Sono figlio di questo Dio che quando lo prego mi mette in discussione e non mi fa da placebo.

Ancor meno da morfina.

*Foto di Pubblico Dominio, immagine originale e licenza

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