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Le parole dirompenti del papa sulle unioni civili: intervista a Francesco Lepore

Le parole dirompenti del papa sulle unioni civili: intervista a Francesco Lepore

Tratto da: Adista Notizie n° 40 del 14/11/2020

40444 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Sulla questione delle affermazioni di papa Francesco riguardo alle relazioni omosessuali e alla necessità di prevedere una legge sulle unioni civili, contenute nel docu-film Francesco del regista russo Evgeny Afineevsky, proiettato il 21 ottobre al Festival del Cinema di Roma e insignito del premio Kinéo, è intervenuta ora a gamba tesa (31/10) la Segreteria di Stato vaticano con una “Nota” inviata ai nunzi apostolici di tutto il mondo, che intende, si legge, offrire «alcuni elementi utili, con il desiderio di favorire un’adeguata comprensione delle parole del Santo Padre». Secondo Avvenire (2/11) il documento – che costituisce la prima reazione vaticana al documentario – sarà condiviso dai nunzi con i vescovi dei Paesi che rappresentano.

In sostanza, dopo aver contestualizzato le parole di Francesco – che, lo ricordiamo, nell’intervista riportata all’interno del film ribadiva il diritto delle persone omosessuali «a stare in una famiglia» («sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia», «Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo») e sosteneva la legge sulle unioni civili affermando «in questo modo avrebbero una copertura legale» e dichiarando «io l’ho sostenuto» (v. Adista Notizie n. 38/20) – la Segreteria ribadisce che questa seconda parte del discorso è legata a una domanda sull’operato di Francesco in Argentina dieci anni fa, nel contesto dell’approvazione della legge nazionale sui matrimoni omosessuali. «È quindi evidente – conclude la Nota – che papa Francesco ha fatto riferimento a certe disposizioni statali, non certo alla dottrina della Chiesa, riaffermata più volte negli anni».

Come era prevedibile, l’intervento della Segreteria di Stato ha, a sua volta, innescato una serie di reazioni. In primis, è stata rilevata la commistione di un piano politico – quello che interessa la gerarchia diplomatica del Vaticano come Stato – con un piano dottrinale – la Segreteria interviene per rassicurare i nunzi sull’aderenza del papa alla «dottrina su sessualità e matrimonio», materia che ha a che fare con la Chiesa, e non con lo Stato. La confusione, rileva ad esempio il teologo Andrea Grillo sul blog Munera (3/11), sta tutta qui: «Cioè quella confusione che deriva dalla comprensione del papa come un capo di Stato che non sta nei ranghi, che non si limita alla diplomazia statale. Quando mai un papa può parlare “favorevolmente” di leggi che differiscono dalla “dottrina della Chiesa”? Se viene tutelato e garantito ciò che dottrinalmente è disordinato, che cosa succede?». Il punto che sfugge «alla “logica statale” dell’intervento – osserva Grillo – è che la dottrina della Chiesa sul matrimonio non è “autosufficiente”. E non lo è per tradizione. Essa infatti “sporge” necessariamente al di qua e al di là della Chiesa, sulla natura e sulla città, che non sono mai state cose del tutto prevedibili né addomesticabili». Il profilo dottrinale del documento vaticano, dunque, è per il teologo molto fragile: «Offre una lettura politica della dottrina ecclesiale che non pare convincente. La “comunione di vita”, infatti, non è mai “pura dottrina”, neppure nella Chiesa. È sempre anche legge civile e inclinazione naturale». Di qui il secondo punto debole della Nota, che intende rassicurare i nunzi affermando «una “irrilevanza dottrinale” delle leggi statali sulle unioni. Questo è molto rassicurante, getta acqua sul fuoco – rileva Grillo – ma non dice tutta la verità. Il riconoscimento di una legittimità delle “leggi civili che regolamentano le unioni” è un modo per dire che le vie al bene non sono sequestrate dal rapporto con il “bene massimo”. Se il bene è possibile anche alle unioni civili, e la Chiesa lo riconosce, questo è un fatto dottrinalmente rilevante. E che cambia il paradigma ottocentesco di contrapposizione tra sfera canonica e sfera civile».

In ogni caso, le parole pronunciate dal papa non resteranno senza conseguenze, su un piano ecclesiale allargato. Sulle possibili ricadute delle parole del papa abbiamo posto alcune domande a Francesco Lepore, già prete e latinista presso la Segreteria di Stato e la Biblioteca Apostolica Vaticana, oggi caporedattore di Gaynews.it, quotidiano online a tematiche lgbt, con una rubrica in latino sul quotidiano online Linkiesta.

Le parole di papa Francesco sulle unioni civili, benché non costituiscano una novità assoluta, sono comunque rilevanti per la chiarezza con cui sono state pronunciate, soprattutto alla luce del fatto che in molti Paesi una legge sulle unioni civili ancora non c’è. Rappresenteranno un punto di non ritorno per il percorso ecclesiale sul tema? Oppure sono destinate ad avere un effetto divisivo?

In primo luogo, va fatta una doverosa premessa. Sulle parole del papa, tratte da una video- intervista rilasciata nel maggio 2019 alla giornalista messicana Valentina Alazraki di Televisa e riportate nel documentario Francesco del regista Evgeny Afineevski, si è detto, nel giro di poco più di due settimane, tutto e il contrario di tutto. È vero che Afineevski ha tagliato, invertito e cucito passaggi di quella videointervista sì da offrire un risultato pro domo sua (è dichiaratamente omosessuale) nel suo lungometraggio. Ma è altrettanto innegabile che la parte relativa alle unioni civili – tagliata dal girato della video-intervista che il Vaticano ha trasmesso a Televisa e mai riportata nelle trascrizioni ufficiali, comparse lo scorso anno su Vatican News e L’Osservatore Romano – costituisce un inedito bergogliano. Nella sostanza, pur avendo una portata rivoluzionaria per quello che attiene all’impegno globale per l’ottenimento di una legge sulle unioni civili, la dichiarazione è consentanea a quella che è stata la posizione, sia pur non espressa, di Francesco su una tale tutela legale sin dai tempi dell’episcopato a Buenos Aires. E di quella, queste sono appunto una riprova documentale incontrovertibile. Alla luce di una tale premessa ritengo che esse siano davvero un punto di non ritorno nel percorso ecclesiale relativo alle persone Lgbtqi+. Basti pensare ai pronunciamenti favorevoli di tanti pastori. Per l’area italiana si potrebbe citare, a titolo di esempio, Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi. Le parole di Francesco sono altresì un’ulteriore spinta a mettere finalmente in atto una pastorale di piena integrazione delle persone Lgbti+ nella vita delle Chiese locali, che, duole dirlo, si è per lo più sempre sbandierata con belle parole ma raramente concretata in fatti.

In pari tempo le dichiarazioni bergogliane hanno e continuano a produrre un effetto divisivo all’interno della Chiesa. Si pensi ai numerosi riduzionisti, che ne nullificano la portata, e negazionisti, che giocano la carta della fake news come se il papa fosse stato travisato e fosse perciò caduto nel trappolone della lobby “omosessualista”. Ma a soffiare “scismaticamente” – nel senso etimologico del termine – sul fuoco è soprattutto la nutrita falange antibergogliana. Burke, Schneider, gli anti-Biden Strickland e Tobin, Müller – quest’ultimo alternamente favorevole e contrario a Francesco – e Viganò, per fare alcuni nomi dei presuli più critici, hanno utilizzato, negli scorsi giorni, quelle parole per veicolare maggiormente l’idea di un pontefice che, nel migliore dei casi, sbaglia dottrinariamente sulla questione unioni civili o, nel peggiore, conferma con le sue aperture di essere un eretico, un devius a fide, una persona da convertire con la preghiera.

Quali saranno, secondo te, le ricadute “politiche” di queste parole all’interno della Curia?

Credo che da una parte ricompatteranno il fronte curiale avverso alle aperture del papa. Dall’altra saranno ampiamente ridimensionate e svuotate del loro carattere di novitas. Operazione, questa, già messa, in atto dalla specifica comunicazione della Segreteria di Stato ai nunzi, resa nota, il 31 ottobre, dall’arcivescovo Franco Coppola, nunzio apostolico in Messico. In essa, con distinguo degni di miglior causa, si contestualizzano le parole del papa e le si mettono in relazione con quelle di una precedente intervista del 2014, che in realtà, con buona pace dell’estensore della Terza Loggia, non hanno affatto la stessa portata assertiva delle recentemente edite. Poi la conclusione: «È pertanto evidente che papa Francesco si sia riferito a determinate disposizioni statali, non certo alla dottrina della Chiesa, numerose volte ribadita nel corso degli anni». Ma a essere evidente è solo la toppa messa dalla Segreteria di Stato, che, per usare il noto proverbio, è peggiore del buco. Non si può infatti non rilevare, e lo hanno ben ricordato i vari Burke, Müller e compagnia cantante, come le parole del papa siano in netto contrasto con le Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, approvate da Giovanni Paolo II e pubblicate su suo ordine, il 3 giugno 2003, dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Ma si tratta di vero contrasto? In realtà, esse sono un superamento di un documento che, come altri, è, nel tempo, suscettibile di variazioni, integrazioni, approfondimenti fino all’accantonamento. Solo che bisognerebbe avere il coraggio di dirlo con chiarezza, non già ricorrere a maldestre operazioni pompieristiche come ha fatto la Segreteria di Stato. Si potrebbero d’altronde addurre numerosi esempi di documenti dell’ex Sant’Uffizio – e non solo – totalmente superati dal successivo magistero. Si pensi al decreto del 20 gennaio 1644 sul divieto di attribuire il titolo “immacolata” alla concezione di Maria, poi definita come tale l’8 dicembre 1854 da Pio IX. O quello del 28 novembre 1958, in cui si vietò la diffusione di immagini e scritti sulla devozione della Divina Misericordia secondo il diario, posto anche all’indice perché ritenuto in più punti infetto di mariavitismo, di suor Faustina Kowalska, che dal 2000 la Chiesa cattolica venera come santa con tanto di istituzione, a livello universale, della festa della Divina Misericordia da parte di Giovanni Paolo II. Per tornare alle dichiarazioni di Francesco su una necessaria legislazione in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso, credo che una buona pista di lettura l’abbia offerta il neo-prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Marcello Semeraro, che già il 22 ottobre dichiarava: «Forse è la prima volta che [il Papa] ne parla in modo così esplicito. Ma le sue parole seguono un percorso già aperto in precedenza in particolare all’interno dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia».

Quale effetto avrà questa ammissione della necessità di un riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali in particolare sulla Chiesa tedesca che, con il suo Cammino sinodale, sta faticosamente tentando di sdoganare una prassi peraltro già diffusa informalmente, quella delle benedizioni delle coppie omosessuali? Fungerà da propulsore in questo percorso o non cambierà le cose nella sostanza?

Non vedo una grande attinenza tra le parole del papa e la volontà, emersa nel Cammino sinodale della Chiesa in Germania, di formalizzare la prassi, peraltro diffusa, delle benedizioni di coppie di persone dello stesso sesso. Francesco fa riferimento a una tutela giuridica per tali coppie e postula dunque un impegno perché l’istituto delle unioni civili o della convivenza civile sia recepito negli ordinamenti dei singoli Stati. Lui, come ha detto nella video-intervista a Televisa, si era battuto per questo in Argentina quando era arcivescovo di Buenos Aires. Con le benedizioni siamo in un ambito ben distinto, quello liturgico-dottrinario. Ma anche in questo caso, e più a ragione, il punto di partenza sarebbe da ravvisarsi ancora una volta nell’Amoris Laetitia. Nell’incontro consultivo sulla «sessualità umana» tra vescovi, sessuologi, teologi e canonisti, tenutosi a Berlino il 4 dicembre 2019 in preparazione al Cammino sinodale, Heiner Koch, arcivescovo di Berlino e presidente della Commissione per il Matrimonio e la famiglia, e Franz-Joseph Bode, vescovo di Osnabrück (entrambi hanno preso parte alla XIV° Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi) hanno messo in luce le conseguenze di quanto previsto dall’esortazione apostolica e fatto un parallelo con chi vive la propria condizione omosessuale. «Ad esempio – cita il comunicato finale della Conferenza episcopale tedesca in data 5 dicembre – una relazione sessuale dopo il divorzio e il nuovo matrimonio non è più generalmente classificata come un peccato grave, e quindi non è prevista un’esclusione più generale dalla ricezione dell’Eucaristia». A fortiori, dunque, varrebbe per le benedizioni delle coppie di persone dello stesso sesso. Ecco perché, il 28 settembre, Heinrich Timmerevers, vescovo di Dresda-Meißen, pur ribadendo che è necessario «riflettere sulla forma» delle benedizioni, ha dichiarato di essere «d’accordo, in linea di principio, a una simile apertura». Non si può parimenti negare che, per quanto attengano a due piani distinti, le parole del papa aiuteranno in un tale percorso. Forse con un’interpretazione stiracchiata. È d’altra parte noto che lo stesso Francesco sembra aver espresso preoccupazione per gli esiti complessivi del Cammino sinodale tedesco.

Il mondo Lgbtqi+ ha reagito con sollievo o con insoddisfazione, considerando il fatto che, di fatto, l’amore omosessuale è ancora condannato sul Catechismo della Chiesa cattolica?

Le reazioni nel mondo Lgbtqi+ sono state diversificate. In Italia si sono registrate posizioni contrastanti, dettate anche da una non sempre ponderata e corretta valutazione delle parole di Francesco. Una visuale italianocentrica ha portato i/le più a inveire contro un papa che parla con quattro anni di ritardo rispetto all’approvazione della legge Cirinnà – ignorando, però, che Francesco stava parlando a livello mondiale e senza alcun riferimento al nostro Paese – e apre alle unioni civili, mentre poi sostiene la veridicità della fantomatica ideologia del gender e difende il dettato del Catechismo della Chiesa cattolica in materia di omosessualità. Verissime, senza dubbio, queste due ultime osservazioni ma limitate all’orticello nazionale e incapaci di più ampio respiro. Non si è infatti valutato che in 69 Paesi, la metà dei quali è a maggioranza cristiana e di questa metà non pochi sono a maggioranza cattolica, i semplici rapporti tra persone dello stesso sesso sono puniti col carcere fino all’ergastolo mentre, laddove non sono penalizzati, le coppie di persone dello stesso sesso sono spesso prive di qualsivoglia forma di riconoscimento legale. Si è pensato alla ricaduta positiva delle parole di Francesco in questi Paesi e al messaggio positivo soprattutto giunto alle persone Lgbti+ in essi dimoranti? Non è mancato anche da noi chi ha fortunatamente ragionato così. Penso, ad esempio, a una figura storica del movimento Lgbti+ italiano come Franco Grillini ma anche, per fare qualche altro nome, a Yuri Guaiana, Paola Guazzo, Roberta Padovano, Luca Trentini. 

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