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Papa Francesco e l’incontro con altri credenti

Papa Francesco e l’incontro con altri credenti

Tratto da: Adista Documenti n° 27 del 17/07/2021

Con l'elezione di un nuovo papa sorge inevitabilmente, almeno tra i cattolici, la speranza che porterà i cambiamenti necessari o il timore che si discosti dalla Tradizione immutabile. I cambiamenti che si sperano o i timori che si nutrono dipendono ovviamente da chi è che spera o teme, e dal tipo di papa che viene eletto. Nel 2013, speranze e timori sono stati accresciuti dal fatto che Bergoglio è il primo gesuita e il primo sudamericano a essere eletto al papato. A destra c'era l'ansia che non potesse perseguire il programma restaurazione dei suoi due predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e mettesse invece in atto l'agenda liberale latinoamericana. A sinistra, si sperava che Francesco portasse a termine le attività incompiute del Vaticano II, tra cui la riforma della Curia romana, il celibato sacerdotale facoltativo, l'ordinazione delle donne e varie questioni di etica sessuale. Inoltre, ci si attendeva dal nuovo papa che risolvesse problemi recenti urgenti come gli abusi sessuali del clero, i matrimoni gay, gli scandali finanziari del Vaticano, l'impatto della globalizzazione, il cambiamento climatico e la distruzione ecologica.

Come si è poi visto, con sorpresa di conservatori e di progressisti, Bergoglio, che assunse il Poverello di Assisi non solo nel nome ma anche come modello, iniziò il suo pontificato abbandonando senza ostentazio ne lo stile di vita principesco dei papi, per poi avviare importanti cambiamenti nella Curia romana, compiere numerosi viaggi apostolici in luoghi remoti, partecipare collegialmente a diversi Sinodi di vescovi e emanare una serie di documenti innovativi, sulla missione della Chiesa (Evangelii Gaudium), sull'ecologia (Laudato si' e Querida Amazonia), l'amore nella famiglia (Amoris laetitia) e l'amicizia sociale (Fratelli tutti).

Francesco è un uomo in missione e ha fretta, convinto forse che alla sua età non ci sia tempo da perdere. Poi è arrivata la pandemia, che ha portato il suo programma di riforma a una brusca battuta d'arresto. Nel frattempo, tra alcuni cardinali c'era un'opposizione aperta e concertata senza precedenti all'approccio e all'insegnamento di Francesco, specialmente in materia di sessualità e famiglia. Ora che la pandemia da Covid-19 è relativamente sotto controllo in Europa, è probabile che Francesco riprenderà le sue frenetiche attività di rinnovamento della Chiesa. In questo breve contributo, prenderò in considerazione non le questioni sopra menzionate, ma solo una parte dell'agenda di Francesco che è molto importante per lui ma alla quale non ha dedicato un documento completo e complessivo. Mi riferisco al dialogo interreligioso, o per usare l'espressione preferita di Francesco, all’incontro interreligioso.

Con Nostra aetate, la Chiesa cattolica ha compiuto un’inversione di marcia nella sua valutazione delle altre religioni. Sebbene sia il più breve di tutti i 16 documenti conciliari, con solo 1.141 parole in 41 frasi e 5 paragrafi nell'originale latino, la dichiarazione è diventata oltre ogni previsione la magna carta dei rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane. Naturalmente, non è mancata una vigorosa opposizione alle varie iniziative e teologie postconciliari del dialogo interreligioso, come la condanna di diversi scritti teologici sul pluralismo religioso e la dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione per la Dottrina della Fede (2000) sotto Ratzinger-Benedetto XVI dimostrano agevolmente. Francesco ha ricevuto un'eredità controversa e ambigua sul dialogo interreligioso, ma si è costantemente e fermamente impegnato a promuovere la comprensione reciproca tra la Chiesa cattolica e le altre religioni.

Finora la maggior parte degli studi su papa Francesco ha affrontato i temi trattati nei suoi vari scritti sopra citati. C'è ancora una carenza di indagini accademiche sulle sue attività e sul pensiero riguardante il dialogo interreligioso. Francesco si avvicina al dialogo interreligioso principalmente come pastore e teologo pratico e non come teologo sistematico, come Benedetto XVI, preoccupato di esporre le questioni teologiche che il dialogo tra cristianesimo e religioni non cristiane comporta. Qui non discuterò le attività di Francesco nel dialogo interreligioso, in particolare i suoi numerosi incontri con i leader di altre religioni, ma farò riferimento alle sue dichiarazioni più generiche e alle affermazioni occasionali per criticare l'attuale teologia della religione e ampliarla in modi che forse non incontrerebbero l'approvazione di Francesco.

Uno dei ritornelli chiave di papa Francesco è che il dialogo interreligioso è un modo indispensabile ed efficace per risolvere tutti i tipi (non solo religiosi) di conflitti, ripristinare la pace e l'armonia, costruire la giustizia sociale e preservare l'integrità ecologica. Già nel suo primissimo scritto Evangelii Gaudium (nn. 238-258), Francesco parla di dialogo in tre ambiti per promuovere il pieno sviluppo umano e il bene comune: dialogo con gli Stati, dialogo con la società, comprese le culture e le scienze, e dialogo con cristiani non cattolici (dialogo ecumenico) e non cristiani (dialogo interreligioso). Nella sua ultima enciclica Fratelli tutti Francesco si avvicina di più alla formulazione della sua teologia del dialogo interreligioso (nn. 271-285). In entrambi i documenti colloca il dialogo interreligioso nel contesto del dialogo sociale, il cui obiettivo è «stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore» (n. 271).

Questo approccio rappresenta sia i punti di forza che di debolezza di Francesco. Da un lato, sfrutta le energie di tutte le religioni per raggiungere obiettivi concreti e tangibili, non ultimo l'eliminazione della violenza religiosa. Dall'altro, si allontana dal dialogo dottrinale, non coltivando né modificando le affermazioni teologiche che hanno particolarmente alimentato il sospetto, l'odio e la violenza. Tra queste affermazioni vi sono, ad esempio, l'unicità e l'universalità di Gesù come salvatore; la verità e la superiorità del cristianesimo su tutte le altre religioni; l'origine divina della rivelazione cristiana, dei libri sacri e dei riti in contrasto con il carattere puramente umano di quelli delle altre religioni; l'obbligo missionario di “annunciare” il Vangelo a tutti; la necessità di convertire altri credenti e non credenti al cristianesimo e, più specificamente, alla Chiesa cattolica, che sola possiede in modo esclusivo i mezzi di salvezza. Certo, queste affermazioni teologiche di per sé non portano alla violenza, ma quando sono state difese dai superiori poteri economici, politici, militari e coloniali dei cristiani – il che non è accaduto di rado – nel loro complesso hanno creato una miscela incendiaria che ha alimentato l'oppressione e la guerra contro altri credenti e non credenti.

Finora Francesco non si è occupato esplicitamente di nessuna di queste affermazioni da parte cristiana. Ha semplicemente ripetuto l'insegnamento del Vaticano II sulla possibilità di salvezza per tutti, compresi i non cristiani e i non credenti, contenuto soprattutto in Lumen gentium, n. 16, Ad gentes, n. 9 e Nostra aetate, insistendo sul fatto che «evangelizzazione e dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente» e che nel dialogo interreligioso si deve evitare un «sincretismo conciliante» (EG, n. 251). Sostiene che nel dialogo interreligioso i cristiani devono conservare la loro “identità cristiana” (FT, n. 277). Il suo uso continuato di espressioni tradizionali per designare la missione cristiana come "proclamazione" implica che la Chiesa ha tutta la verità da insegnare ("proclamare") con autorità ai non cristiani. D'altra parte, alcune dichiarazioni di Francesco sembrano aprire, per quanto di poco, la porta a una revisione e modifica degli attuali insegnamenti della Chiesa cattolica sui temi sopra elencati. Il papa riconosce che l'opera di Dio nei non cristiani «tende a produrre segni, riti, espressioni sacre, che a loro volta avvicinano altri a una esperienza comunitaria di cammino verso Dio». In altre parole, è Dio che stabilisce quelle che chiamiamo “religioni” non cristiane, che quindi si collocano all'interno dell'economia divina della salvezza. Francesco le chiama addirittura «canali che lo stesso Spirito suscita per liberare i non cristiani dall’immanentismo ateo o da esperienze religiose meramente individuali», anche se «non hanno il significato e l’efficacia dei Sacramenti istituiti da Cristo» (EG, n. 254 ). I «canali » usati dallo Spirito Santo possono essere considerati l'equivalente dei «sacramenti». Inoltre, Francesco riconosce esplicitamente che il dialogo interreligioso può essere «un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambo le parti trovano purificazione e arricchimento» (EG, n. 250). Il papa osserva acutamente che i cristiani possono beneficiare degli insegnamenti e delle pratiche di altre religioni per essere cristiani migliori (EG, n. 254). In questo modo, la missione cristiana non va intesa come un'attività unidirezionale dei cristiani verso i non cristiani (missio ad gentes) ma come una reciproca “evangelizzazione” tra gli altri credenti (missio inter gentes) e con loro (missio cum gentibus). Quanto alla conversione, papa Francesco dice che nel dialogo fraterno/ sororale «con la mia identità e con la mia empatia, apertura, cammino con l’altro. Non cerco di portarlo dalla mia parte, non faccio proselitismo». Riconosce che Dio muoverà i cuori e «qualcuno chiederà il battesimo, altre volte no. Ma sempre camminiamo insieme. Questo è il nocciolo del dialogo» (Incontro della VI Giornata della Gioventù Asiatica con i Vescovi dell'Asia, 17 agosto 2014).

Una delle immagini predilette da Francesco per il dialogo interreligioso è la “cultura dell'incontro”, è il poliedro «che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché “il tutto è superiore alla parte”» e alla somma delle sue parti (FT, n. 215) . Egli esorta con forza a creare «un patto sociale»: «Questo patto richiede anche di accettare la possibilità di cedere qualcosa per il bene comune. Nessuno potrà possedere tutta la verità, né soddisfare la totalità dei propri desideri, perché questa pretesa porterebbe a voler distruggere l’altro negando i suoi diritti». (FT, n. 221). Questa affermazione non dovrebbe essere applicata anche alla Chiesa nel suo insieme? E se sì, quale dei suoi insegnamenti tradizionali sulle altre religioni bisognerà «cedere» o quanto meno modificare «per il bene comune»?  

Teologo vietnamita naturalizzato statunitense, Peter C. Phan è docente alla Georgetown University di Washington.  

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