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Dopo il «bla bla bla» sul clima, al via la mobilitazione sociale

Dopo il «bla bla bla» sul clima, al via la mobilitazione sociale

Tratto da: Adista Documenti n° 44 del 11/12/2021

DOC-3157. ROMA-ADISTA. Archiviata nel peggiore dei modi la Cop 26 di Glasgow – con un accordo che Greta Thunberg ha ottimamente sintetizzato come «bla, bla, bla» – si prova a guardare avanti. Di sicuro, nessuna delle misure adottate impedirà l'aumento della temperatura globale oltre il grado e mezzo entro il 2030 né lo faranno certamente le vaghe esortazioni a ridurre il consumo di carbone (senza fissare alcun termine) e a eliminare i sussidi ai combustibili «inefficienti». Cosicché il peggiore scenario prospettato dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) per la fine del secolo – quasi +5°C – diventa sempre più reale, con tutto ciò che comporta: «indicatori climatici impazziti, migrazioni di massa, conflitti armati. La fine del mondo per come lo conosciamo», come ha evidenziato l'associazione A Sud.

Eppure, il ribattezzato ministro della Finzione ecologica Roberto Cingolani non ha trovato niente di meglio da fare, oltre ad applaudire al nucleare (dopo due referendum!) e al gas, che attaccare le organizzazioni ambientaliste: «Capisco che gli attivisti giovani debbano tenere l’attenzione molto alta e contestare, questo è anche corretto. D’altro canto 194 Stati che per due settimane si chiudono in una stanza, per trovare una soluzione, è democrazia, non "bla bla bla"», ha detto il ministro ai microfoni di Radio24. «Ci troviamo di fronte a problemi di portata storica e le soluzioni non sono semplici», ha assicurato, mettendo in guardia dal pericolo di «semplificare troppo» e di «avere troppe aspettative». Ma se, con una classe politica di cotanto spessore, la catastrofe sembra inevitabile, il discorso non finisce qui: «Il vero lavoro continua fuori da queste sale», ha scritto Greta. Con una promessa-avvertimento: «Non ci arrenderemo mai, mai».

E su questo concordano tutte le realtà impegnate contro l'emergenza climatica e ambientale: «Non possiamo – scrive A Sud – sperare in una risposta dall’alto. Dobbiamo agire. Dobbiamo fare causa agli Stati, alle imprese, ai rappresentanti delle aziende fossili, e costringerli per via giudiziaria a rispondere in Tribunale delle loro responsabilità». Ed è esattamente quello che si propone la campagna intitolata evocativamente Giudizio Universale (v. Adista Segni Nuovi n. 42/21), impegnata nella prima causa della società civile contro lo Stato italiano (rappresentato dalla presidenza del Consiglio dei ministri) per inazione climatica. Una causa che, avviata lo scorso giugno di fronte al Tribunale Civile di Roma da oltre 200 ricorrenti tra organizzazioni e cittadini, partirà con la prima udienza il 14 dicembre. Del resto, prosegue A Sud, a oggi l'Italia si appresta a ridurre «di appena il 26% le emissioni al 2030, circa la metà del più blando dei target raccomandati della comunità scientifica». E ciò malgrado il fatto che Climate Analytics, una delle più importanti organizzazioni che si occupano di ricerca sul clima, abbia calcolato, sulla base del carbon budget dell’Italia e delle sue responsabilità storiche, «che il nostro Paese dovrebbe diminuire le sue emissioni di ben il 92% entro il 2030 per poter rimanere in linea con gli accordi di Parigi. Più del triplo di quanto attualmente in campo».

«L'Italia non è un buon esempio in ambito climatico», denuncia la portavoce di A Sud Marica Di Pierri: «Anche in questi negoziati si è distinta per ciò che non ha voluto decidere. Non stupisce, dato che al di là di una retorica istituzionale molto green, è tra i Paesi europei che nel PNRR investe meno sulla cosiddetta transizione energetica. Abbiamo target di riduzione ridicoli, continuiamo a parlare di nucleare mentre tutto il mondo ci chiede di puntare sulle fonti rinnovabili. Preferiamo voltarci dall’altra parte anche di fronte ai disastri climatici che sempre più spesso riguardano il nostro territorio». Per questo, conclude, «il 14 dicembre saremo in tribunale a Roma per la prima udienza. Visto che i luoghi di governance non bastano, porteremo le rivendicazioni di giustizia climatica nelle piazze e nei tribunali». L'inerzia dei governi, del resto, è facile da spiegare: come evidenzia Paolo Cacciari nel suo intervento al seminario del 5 novembre sul tema “Ripensare lo sviluppo tra continuità e discontinuità. Ritrovare l’equilibrio con la biosfera” (organizzato da Scienze politiche e sociologia della comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma), da un lato c'è la lobby, ancora fortissima, dell’industria dei fossili e dall'altro ci sono le classi dirigenti che preferiscono «rischiare le catastrofi piuttosto che chiedere al loro elettorato di ridurre l’uso di aerei e crociere low cost, suv a diesel, il consumo di hamburger, vestiti e scarpe d’importazione, smartphone e altre cianfrusaglie inutili e dannose». E, soprattutto, «non sanno come fare a continuare a “far girare” l’economia senza incrementare il volume e la velocità delle produzioni di merci».

In questo scenario, anche "La società della cura" – cartello di oltre 1400 tra organizzazioni della società civile, movimenti sociali, reti e singoli individui (v. Adista Documenti n. 38/2020 e 2 e 11/21) – prosegue il suo percorso, lanciando, insieme alla "Rete Genova 2021", un nuovo appello per l'apertura di «una stagione di mobilitazione sociale contro le politiche del governo Draghi e i bla-bla-bla dei potenti della Terra» (a cui associazioni, realtà, comitati, organizzazioni possono aderire scrivendo a marco.bersani59@gmail.com).

Lo riportiamo qui insieme all'intervento di Cacciari (dal titolo "Un’altra economia: ecologicamente sostenibile e socialmente desiderabile"), pubblicato il 9 novembre da Comune-info.

IL MANIFESTO PER LA SOCIETÀ DELLA CURA è opera di Alessandra Sicuro, Albero della vita, Mosaico di Otranto, 2016 - immagine tratta da https://societadellacura.blogspot.com/2020/10/manifesto-uscire-dalla-economia-del.html

 

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