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Pacifismo non è solo nonviolenza

Pacifismo non è solo nonviolenza

ROMA-ADISTA. In questi giorni così tremendi si alzano con forza le molte voci di coloro che, anche organizzati in movimenti, proclamano il valore indiscutibile della risposta non-violenta all'aggressione di Putin contro l'Ucraina. Ho sempre apprezzato l'opzione morale e conseguentemente politica di questi amici ai quali non da oggi va il mio plauso per la coraggiosa profezia che esercitano con la loro scelta, che vuole prefigurare un mondo depurato dalla violenza e fatto umano.

Non me la sento peró di condividere, anzi critico aspramente, il tono ultimativo, apodittico e in qualche caso derisorio, con il quale non di rado questa proposta della non-violenza viene avanzata, se non bandita, con tono ultimativo contro coloro che pensano invece doveroso, per la nostra Repubblica, soccorrere gli Ucraini non solo con aiuti umanitari ma anche con armamenti indispensabili a impedire la loro resa incondizionata, per consentire invece di una trattativa che non sia totale capitolazione.

Mi pare infatti di poter/dover fare un po' di ecologia del linguaggio affermando che quando questi movimenti e queste personalità si presentano come titolari unici del valore della non violenza compiono un abuso, o almeno una indebita dilatazione linguistica del significato di questa espressione che dobbiamo emendare da un pericolo equivoco. Il rifiuto dell' esercizio della violenza non significa tout court il rifiuto dell' uso della forza, perché le due parole non sono equivalenti.

Pacifisti, in quanto operatori impegnati a costruire anche con la forza una pace e una pacificazione dei cuori che al momento appaioni remote se non impossibili, hanno diritto ad essere chiamati anche coloro che per conseguire questi scopi sostengono lo sforzo disperato del più debole di non essere annientato. Non é giusto e neppure legittimo negare per esempio il titolo di pacifico e pacifista a chi nel corso di una rissa non si accomoda nel ruolo di spettatore che invoca a parole la rinciliazione ma vedendo in estremo pericolo la persona più debole interviene con la forza per sottrarla al massacro da parte del più forte.

So che (solo) qualcuno dei non-violenti più oltranzisti ironizza su questa distinzione fra violenza e forza ritenendola non solo capziosa ma anche troppo strettamente connessa alla teoria della "guerra giusta" per molti secoli giustificata e talvolta benedetta dalla dottrina del Magistero Cattolico. Allora saró ancora più capzioso, azzardandomi a dire che quella di chi aggredisce è vera "guerra" mentre l'aggredito non fa che praticare il diritto/dovere della difesa.

Argomentano a questo punto i più decisi sostenitori della non-violenza senza se e senza ma che il Vangelo prescrive il dovere di porgere l'altra guancia a chi ti colpisce. Vale allora la pena di ricordare

1 che quella da porgere è la "propria", non l'altrui guancia; che cioé quello evangelico é un dettato vincolante per chi al Vangelo aderisce ma non puó essere imposto a nessuno che non ne sia convinto; tanto meno a chi vede messa a repentaglio dall'aggressione non solo la guancia ma l'intera propria esistenza;

2 che da tempo ormai anche molti credenti hanno scoperto il valore della laicità dello Stato, che non solo è prevista dalla nostra Costituzione ma è una sostanziale conquista per la stessa comunità ecclesiale italiana, libera di affermare i propri valori senza peró la pretesa di imporli ultimativamente all'intera nazione (dove non da oggi é nei fatti minoritaria);

3 che lo Stato repubblicano si fonda su un patto fra i cittadini che impegna lo Stato anzitutto a tutelare l'incolumità di tutti, se necessario anche con l uso della forza, mai della violenza: ed è per questo che solo allo Stato è concesso l'uso (in casi estremi) anche della forza, per esempio affidando alla polizia la tutela di chi rischia di essere (o è) aggredito (rapine, sequestri, violenza sessuale, ecc.) e alle forze armate quello di difendere l' integrità territoriale perchè al suo interno possano essere rispettati tutti i diritti costituzionali di tutti i cittadini.

E quando l'aggredito non è cittadino della nostra Repubblica? Allora interviene l'art. 11 che ripudia la guerra come strumento per la soluzione delle controversie internazionali. Se dunque qualcuno (per esempio Putin) sceglie la guerra per risolvere la controversia che l oppone all'Ucraina non è proprio il ripudio della guerra che ci impegna a impedire - nei limiti del possibile (cioè evitando che il conflitto deflagri ancora di più, fino al livello nucleare) l'annientamento dell'aggredito?

Queste considerazioni ovviamente nulla tolgono alla nobiltà profetica di chi opta per la non-violenza assoluta senza se e senza ma, ma senza pretendere che questa opzione sia l'unica possibile, anzi doverosa per tutti.

La profezia è tale perchè indica un obiettivo politico e morale di valore universale, ma non puó illudersi (nè pretendere) di essere sempre e ovunque l’unica opzione moralmente possibile e necessaria.

Mi sembra giusto a questo proposito anche ricordare che se oggi l'Italia dispone di una costituzione democratica imcomparabilmente migliore di quella razzista e istituzionalmente violenta della Repubblica Sociale di Saló questo é anche merito di migliaia e migliaia di partigiani cattolici, per nulla desiderosi di fare una guerra ma obbligati a usare le armi per farla finire e riportare la pace. E fra di loro si calcolarono 1491 caduti, comprese decine di preti.

Infine non posso dimenticare, come cristiano, che il più grande teologo del Novecento, Dietrich Bonhoffer, per impedire al regime nazista di perpetrare all infinito la propria prepotenza e violenza si decise per l'uso della forza partecipando alla congiura contro Hitler che vide altri ferventi cristiani mettere una bomba nel covo del dittatore provocando (purtroppo solo) la morte di alcuni dei suoi più stretti collaboratori. E vale a poco affermare che il tirannicidio è cosa diversa e limitata: comunque lo si voglia giustificare, ecco contravviene al principio dell’esclusione dell’uso delle armi.

Uno non vale uno, quando in gioco sono la vita dell’aggressore e quella del debole aggredito. La vita degli strateghi di Putin non vale come quella dei bambini e delle donne incinte bombardati oggi a Mariupol.

Perció chi nobilmente sceglie per sé la pratica della non violenza non usurpi per sé soltanto il diritto a dirsi pacifista. E non si dica pacifista chi oggi suggerisce la capitolazione agli Ucraini solo calcolando la disparità delle forze in campo. La resa puó deciderla eventualmente solo chi é aggredito e soccombente ma chi è spettatore di quella violenza ha umanamente il dovere di difenderlo quanto più é possibile, cioè fino al limite estremo che ci impedisca di precipitare nell'ecatombe planetaria.

Vorrei quasi chiedere, e non polemicamente, se negare l’aiuto a difendersi a chi è aggredito non sia una diversa forma di violenza, con buona pace delle oneste intenzioni di chi professa il supremo valore della pace. Posso dirlo sottovoce? Mi piacerebbe molto che i sedicenti non violenti assoluti assediassero con un sit in a oltranza l'ambasciata russa e conciati di Mosca in Italia, senza muovere un dito contro chi vi lavora, fino al giorno in cui taceranno le armi di Putin. La non violenza assoluta deve costare molto e non essere celebrata solo a parole.

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