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Marcia della pace e dintorni. Abbiamo alimentato una cultura di guerra

Marcia della pace e dintorni. Abbiamo alimentato una cultura di guerra

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 17 del 14/05/2022

Osceno. Davvero non ci saremmo mai aspettati di arrivare a leggere su un quotidiano mainstream una simile definizione del manifesto di convocazione della Marcia PerugiAssisi, che peraltro evitava i riferimenti ai punti più caldi, invio di armi in Ucraina e ruolo della Nato. Segno che anche un generico, sia pur radicale, riferimento alla pace oggi in Italia è scandaloso.

Improvvisamente ci siamo trovati a vivere in un clima da interventismo acritico, spesso esaltato, con un linguaggio pubblico e istituzionale che si concede punte dannunziane. È stata una rapida escalation, come quella degli avvenimenti bellici, una «vertigine della guerra» (Marco Revelli) che ha a poco a poco occupato tutto lo spazio pubblico. La condanna dell’invasione di uno Stato sovrano ha fin dall’inizio incredibilmente portato con sé l’identificazione di un intero popolo come “nemico”, senza distinzione tra chi ha la responsabilità politica ed etica di una così grave scelta di violenza e chi – i cittadini russi – comunque l’ha dovuta subire, magari non condividendola: quasi oscurati i coraggiosissimi oppositori interni alla guerra, dei loro nastri verdi nessuno ci ha parlato.

Sono caduti inesorabilmente, senza alcuna riflessione, valori sacri e antichissimi come l’amicizia tra i popoli, la cultura come patrimonio universale, lo sport come competizione “sana”, che costruisce ponti e legami e, come nelle Olimpiadi della Grecia classica, segna una tregua anche in fase di conflitto: siamo arrivati a espellere atleti russi paraplegici, disposti a correre senza bandiera, dalle Paraolimpiadi.

I media si sono con pochissime eccezioni subito uniformati su un linguaggio da propaganda di un Paese belligerante, favorendo il montare di un’ostilità antirussa, che ha portato a disagi per chi vive fra noi e perfino ad alcune aggressioni a studenti con un genitore russo. Siamo arrivati a cancellare, in un’Università Statale, la Bicocca, un corso su Dostoevskij, a vietare l’esposizione di fiabe russe in una fiera per bambini, a riferire senza distanza critica che sia stato annullato da Kiev Il lago dei cigni di Ciajkovskij in programma a Vicenza con ballerini ucraini, che sia stato eliminato il nome di Gagarin, uomo di pace peraltro, da eventi internazionali di astrofisica, negli Stati Uniti, ma anche in Europa. “Cancel culture”, ovvero cancellare una cultura, ma anche un’identità culturale.

La guerra ha portato con sé un via libera all’esaltazione delle armi, e la revisione radicale del concetto di solidarietà: se non comporta l’invio di armi alle vittime, è tradimento, è stare dalla parte dell’oppressore.

Dell’escalation sul piano sia quantitativo che qualitativo nelle forniture da parte dei Paesi occidentali viene ignorata la complessità e in fondo perfino il nucleare sembra non essere più un tabù. La rassegna di strumenti bellici più o meno segreti, alcuni anche misti nucleari, è presentata come elemento di grande interesse, senza alcuna distanza. Una cappa di violenza è stata calata sul nostro universo mentale, mentre la nonviolenza viene insultata, sbeffeggiata, irrisa. Ma se da un lato la situazione è precipitata in pochi giorni, dall’altro il terreno era stato preparato da molto tempo.

Anni di linguaggio d’odio istituzionale, di una politica migratoria che guarda le sofferenze e la morte di chi cerca asilo da noi con un’indifferenza totale, se non peggio, di umiliazione delle fasce deboli e debolissime, i senzatetto soprattutto, e le armi… un progressivo utilizzo positivo della loro immagine, un continuo incoraggiamento all’uso privato. La difesa personale armata considerata, anche in parte sul piano legislativo, legittima. Eravamo già pronti.

Progetti di Alternanza ScuolaLavoro nelle caserme, con i ragazzi a fare “formazione” o a lavorare da camerieri alla mensa degli ufficiali, bambini invitati il 4 novembre a tenere in mano i fucili e a provare come si sta vicino ai carri armati. Del resto è da tempo che la scuola non è più intrinsecamente depositaria di valori come la pace, la solidarietà, l’accoglienza. Tranne le fortunate eccezioni, si è diffusa l’idea che tutto deve essere presentato in modo bipartisan. Non ci si deve schierare sui principi, altrimenti si è ideologici e obsoleti: leggere anche La leggenda del Piave, insomma, se si vuole proporre La guerra di Piero…

Anche sul terreno della violenza contro le donne, vera piaga sociale del nostro Paese – 118 donne uccise nel 2021, una ogni tre giorni, 102 delle quali in ambito affettivo o familiare – abbiamo assistito a un arretramento spaventoso, per cui l’assassino, oltre a ricever spesso un trattamento morbido nelle aule giudiziarie, viene presentato dalla stampa nella sua “umanità”, in modo da “giustificare” il “raptus” – anche se è un omicidio premeditato – in base al comportamento della donna: «Era un personaggio di idee e di energia», recita uno dei nostri quotidiani importanti, vicino alla foto sorridente di un uomo che ha ucciso a martellate moglie e figlia. E, come sostiene ogni anno Amnesty nel suo rapporto annuale, siamo ai primi posti in Occidente per violenza omofoba.

Un salto di qualità notevole si è registrato anche, in questa ultima fase, nel campo della violenza istituzionale. Dal 14 marzo in 14 città italiane le forze dell’ordine hanno in dotazione il taser, con 4.500 pistole già acquistate: definito dalla Lega, ma non solo, «un ottimo strumento per garantire la sicurezza pubblica e al contempo l’incolumità degli agenti», il taser, attraverso una scarica ad alta tensione (50mila volts) agisce al contrario di un defibrillatore e quindi paralizza i muscoli di chi è colpito, in genere, per 5 minuti. Oltre a rischiare di provocare la morte – ci sono un centinaio di casi accertati negli Stati Uniti – sicuramente infligge un dolore acuto e per questo un Comitato di esperti ONU lo ha classificato come uno strumento di tortura. Ma è l’idea che si possa legittimamente bloccare qualcuno, anche non armato – sono possibili infiniti abusi – in modo violento che sta passando. O meglio che non deve passare. Perché mobilitarsi per contrastare il clima di esaltazione della violenza in tutte le sue forme diventa davvero sempre più urgente, se non vogliamo che avveleni in modo irreversibile la nostra convivenza sociale.

*Foto presa da Unsplash di Levi Meir Clancy, immagine originale e licenza

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