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Vaticano e Shoah: nuovi documenti alimentano il dibattito sui “silenzi” di Pio XII

Vaticano e Shoah: nuovi documenti alimentano il dibattito sui “silenzi” di Pio XII

Tratto da: Adista Notizie n° 33 del 07/10/2023

41596 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Nuovi importanti documenti, provenienti dagli archivi vaticani, hanno riaperto il dibattito storico sul ruolo che giocò la Santa Sede durante la seconda guerra mondiale rispetto allo sterminio degli ebrei. Si tratta però di carte destinate a lasciare i principali nodi della questione irrisolti o, volendo, a confermare le ambiguità, i silenzi e gli atti eroici di cui si rese protagonista la Chiesa a vari livelli, in quel tragico frangente. In primo luogo, infatti, ci si trova di fronte a una lettera, risalente al 14 dicembre 1942, scritta dal gesuita tedesco Lothar Konig, uomo di collegamento tra l'arcivescovo di Monaco Michael von Faulhaber, nemico del nazismo, e il Vaticano. A ricevere la missiva fu p. Robert Leiber, segretario di Pio XII. A rivelarne l’esistenza è stato il ricercatore e archivista dell’Archivio segreto vaticano Giovanni Coco, in un’intervista pubblicata sull’inserto culturale del Corriere della Sera, “La lettura”, del 17 settembre scorso. Nel documento, spiega il quotidiano, «si cita il forno crematorio delle SS nel lager di Bełzec, situato nella Polonia occupata dai tedeschi, e viene menzionato anche il campo di Auschwitz, oggetto di un altro rapporto che purtroppo per il momento non è stato reperito. Ci troviamo dunque nel cuore di tenebra della soluzione finale voluta da Adolf Hitler per annientare completamente l’ebraismo europeo».

Il Vaticano sapeva di Auschwitz dal 1941

Va sottolineato peraltro che questa lettera, dichiara poi Giovanni Coco nell’intervista rilasciata a Massimo Franco, «rappresenta la sola testimonianza di una corrispondenza che doveva essere nutrita e prolungata nel tempo». «Si tratta dunque – prosegue l’articolo – di una prova fondamentale circa l’esistenza di un flusso di notizie sui delitti nazisti che giungeva alla Santa Sede in contemporanea con l’attuazione del genocidio. Se in precedenza in Vaticano si poteva ritenere che i lager fossero “soltanto” campi di concentramento, le notizie fornite da König andavano ben oltre, poiché nella lettera si legge che nell’ “altoforno” presso Rava Rus’ka, cioè a Bełzec, “ogni giorno muoiono fino a 6.000 uomini, soprattutto polacchi ed ebrei”. La macchina della morte ne risulta descritta in tutto il suo indicibile orrore». «Il nome di Dachau era già noto da molto tempo e dal gennaio 1941 era divenuto il campo di detenzione per il clero. E in realtà anche il nome di Auschwitz era conosciuto in Vaticano sin dal 1941», ha sottolineato ancora il ricercatore. «La novità e l'importanza di questo documento – aggiunge Coco – derivano da un dato di fatto: sull'Olocausto, stavolta si ha la certezza che dalla Chiesa cattolica tedesca arrivavano a Pio XII notizie esatte e dettagliate sui crimini che si stavano perpetrando contro gli ebrei». C’è poco da dire: il documento, peraltro parte di una corrispondenza più ampia, sembra costituire, fino a oggi, la prova più consistente che Oltretevere, seppure non avessero informazioni certe e definitive su quanto stava avvenendo nel cuore d’Europa (la stessa lettera in questione è accompagnata da inviti alla prudenza circa l’utilizzo di determinate informazioni, pena il rischio di mettere in pericolo la rete antinazista in Germania), sicuramente avevano un quadro abbastanza uniforme circa la tragedia in corso.

Pio XII e il Terzo Reich

Intervistata dall’Ansa, Iael Nidam-Orvieto – direttrice dell'Istituto internazionale per le ricerche sulla Shoah di Yad Vashem, il museo dell'Olocausto a Gerusalemme – sulla lettera ritrovata negli Archivi Vaticani, ha detto che si tratta di «un documento pesante e importante che apre a nuove domande per comprendere nel tempo l'intero quadro nel quale si muoveva Pio XII». «La lettera del vescovo tedesco – ha detto la studiosa – non cambia il fatto basilare che Pio XII non abbia condannato apertamente e in modo chiaro lo sterminio degli ebrei. Questo si sa già». «La sua importanza – ha aggiunto – sta nella conoscenza delle informazioni dettagliate e da fonte fidata che giungevano al pontefice. E si collega alla domanda del perché Pio XII non abbia condannato apertamente lo sterminio e quali furono i fattori che hanno influito sull'operato del Papa, sull'entourage che lo affiancava». Fra questi, viene ricordato, l’antisemitismo duro a morire anche nella Chiesa cattolica. Secondo il ricercatore dell’Archivio segreto vaticano, infatti, ad alimentare i silenzi della Santa Sede, «influirono anche altri timori: in primo luogo la possibilità concreta di rappresaglie naziste contro i cattolici polacchi, il suo gregge di fedeli. Avrebbe significato recidere i rapporti con i vescovi di quella comunità già sotto il tallone nazista. E poi, in larga parte del mondo vaticano ristagnava il pregiudizio contro gli ebrei non solo sul piano religioso, ma talvolta anche antisemita». Ma forse, come spiegava il compianto storico Giovanni Miccoli, studioso attento della questione, in un’intervista rilasciata anni fa a chi scrive, «Gli studiosi tedeschi hanno pubblicato decine di volumi dagli archivi della Germani relativi alla Gestapo come ai corpi speciali, in quei documenti la Chiesa cattolica viene definita come “nemica” e lo stesso Pio XII come “avversario”». «Il problema storico – spiegava lo storico – è un altro: l’atteggiamento generale di Pio XII verso il Terzo Reich. Il fatto è che il problema ebraico non era in cima ai pensieri di Pio XII, le priorità erano altre questioni come la necessità di non rompere i rapporti diplomatici con il Reich, la questione della Russia comunista, il tentativo di raggiungere una pace separata con alleati».

Ebrei salvati a Roma

Sul versante opposto della vicenda, sono ricomparsi documenti, finora mai pubblicati, che pongono sotto una nuova luce su una pagina di storia ancora da conoscere pienamente: quella degli ebrei che all'epoca della Shoah trovarono riparo nei conventi, nelle chiese, nei collegi religiosi, negli istituti cattolici di Roma e che, grazie a questo aiuto, scamparono alla deportazione e alla morte nei lager nazisti. Le preziose carte sono state rinvenute nell'archivio del Pontificio Istituto Biblico di Roma; si tratta di una documentazione inedita che elenca le persone, in maggioranza di religione ebraica, protette dalle persecuzioni nazifasciste della Capitale grazie al rifugio loro offerto presso istituzioni ecclesiali della città. L'elenco delle congregazioni religiose ospitanti (100 congregazioni femminili e 55 maschili), insieme ai rispettivi numeri delle persone da loro ospitate, era già stato pubblicato dallo storico Renzo De Felice nel 1961, tuttavia la documentazione integrale era stata considerata perduta. Gli elenchi ora ritrovati si riferiscono a oltre 4.300 persone, delle quali 3.600 sono identificate per nome. Dal confronto con i documenti conservati nell'archivio della Comunità Ebraica di Roma, circa 3.200 risultano con certezza ebrei. «Di questi ultimi sappiamo dove sono stati nascosti e, in talune circostanze, i luoghi di residenza prima della persecuzione», si legge in una nota congiunta del Pontificio Istituto Biblico, della Comunità Ebraica di Roma e dello Yad Vashem. «La documentazione incrementa così significativamente le informazioni sulla storia del salvataggio di ebrei nel contesto degli istituti religiosi di Roma».

La documentazione rinvenuta fu compilata dal gesuita italiano p. Gozzolino Birolo tra il giugno 1944 e la primavera del 1945, subito dopo la liberazione di Roma. Birolo è stato economo del Pontificio Istituto Biblico dal 1930 fino alla sua morte per cancro nel giugno 1945. Rettore dell'Istituto in questo periodo è stato il gesuita p. Augustin Bea, che fu creato cardinale nel 1959 e divenne noto per il suo impegno per il dialogo ebraico-cattolico, soprattutto per il documento del Vaticano II Nostra Aetate che chiudeva la lunga stagione dell’antisemitismo cattolico e apriva al dialogo con le altre fedi. Articolato il giudizio che dà il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni sulla vicenda. In un’intervista con la Radiotelevisione svizzera del 19 settembre, ha detto: «Da una parte c’è stato il silenzio di tutta la gerarchia e anche la mancata opposizione per quanto riguarda Roma alla deportazione del 16 ottobre (1943, ndr). Poi c’è stato il comportamento delle singole case di cura (istituti religiosi, ndr) che è stato nella maggior parte dei casi, come può essere documentato, un’iniziativa a livelli gerarchici medio bassi, con i livelli alti che sapevano, che in alcuni casi si adoperavano per risolvere i casi singoli». Quindi, ha proseguito il rabbino, è molto difficile capire se, in queste scelte vi sia stata «una regola generale» stabilita dal Vaticano. 

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