
Strage di Lampedusa, 10 anni dopo: l’Europa ricorda ma non cambia
Tratto da: Adista Notizie n° 34 del 14/10/2023
41607 ROMA-ADISTA. Il 3 ottobre 2013, a poche miglia dall’Isola dei Conigli, una delle spiagge lampedusane più ambite dai turisti, perdono la vita in un tragico naufragio 368 donne, uomini e bambini, per lo più eritrei, salpati dal porto libico di Misurata a bordo di un peschereccio. Le immagini dei corpi restituiti dal mare e delle piccole bare bianche allineate invadono e sconvolgono opinione pubblica e media, ancora non assuefatti al dramma dei naufragi nel Mediterraneo. La tragedia, atto di inizio della triste stagione delle morti in mare in seguito al dissolvimento del regime libico, rappresenta un punto di svolta anche nel dibattito politico sulle migrazioni. Il Consiglio dei Ministri dichiara il lutto nazionale all’indomani del tragico evento. Intanto il governo guidato da Enrico Letta tenta una risposta concreta rafforzando l'operazione di pattugliamento “Mare Nostrum”. Il tragico evento scuote in profondità anche il mondo cattolico e papa Francesco si reca in visita apostolica a Lampedusa, l'8 luglio seguente, suscitando grande commozione in tutto il mondo. A distanza di tre anni, il Parlamento indice per il 3 ottobre una "Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione", per non dimenticare e per impegnarsi affinché il dramma non si ripeta. A distanza di 10 anni, però, mondo cattolico e associazioni per i diritti si vedono costretti a celebrare questa ricorrenza per denunciare che nulla è cambiato e che i migranti continuano a morire nel Mediterraneo Centrale, vittime di guerra, miseria, violenze, traffico di esseri umani e, in ultima battuta, delle politiche miopi e xenofobe di “protezione” delle frontiere europee.
Cambiare si può
A distanza di dieci anni dal naufragio di Lampedusa, si legge in una nota dell’Arci diffusa alla vigilia del drammatico anniversario, «vogliamo ricordare quelle morti innocenti e le responsabilità di governi e Commissione Europea nel determinare le condizioni perché le stragi continuino». Secondo la più grande associazione italiana «fermare la strage è possibile», ma occorre invertire la rotta delle politiche migratorie, a partire dall’istituzione di una missione Search and Rescue europea e dall’introduzione su larga scala di «canali di accesso legali e sicuri per ricerca di lavoro e per ricerca di protezione». E poi, conclude l’Arci, «cominciando a fare gli interessi pubblici e non più quelli privati di partiti e movimenti politici xenofobi».
Politiche preoccupanti...
Anche il Centro Astalli (Servizio per i rifugiati dei gesuiti italiani) ha celebrato il decennale della strage con un’iniziativa dedicata alle scuole e alla cittadinanza riunita nel “Giardino della Memoria e dell’Accoglienza” (Rione San Saba a Roma), per «continuare a fare memoria».
Il presidente del Centro Astalli, p. Camillo Ripamonti, ha voluto ricordare «uomini, donne e bambini costretti alla fuga da guerre, persecuzioni e crisi umanitarie, da carestie, cause ambientali e ingiustizie sociali. Facciamo memoria di chi non ce l’ha fatta a compiere il proprio viaggio che si è interrotto tragicamente, in assenza di vie legali». Ripamonti ha poi denunciato gli ultimi 10 anni di politiche migratorie che «vanno in una direzione estremamente preoccupante e non di rado in aperta violazione dei diritti umani e delle principali convenzioni in materia di asilo. Ricordare le vittime vuole dire prima di tutto rispettare la dignità e i diritti dei vivi».
Il dovere della giustizia
In una nota della Fondazione Migrantes (organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana), il presidente mons. Gian Carlo Perego (arcivescovo di Ferrara-Comacchio) ha ricordato le 27mila persone annegate nel Mar Mediterraneo negli ultimi 10 anni (oltre 2mila quest’anno) e tutte le altre vittime, quelle impossibili da contare, che «hanno perso la vita lungo il deserto del Sahara, nei lager della Libia o nei boschi della Bosnia e lungo i Balcani». Di fronte a tanto dolore, Perego ha citato le parole di Paolo VI nell’enciclica Populorum Progressio: «Le nazioni sviluppate hanno l’urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo». Secondo Perego «il ricordo della tragedia del 3 ottobre deve allargare la responsabilità nei confronti dei Paesi poveri da cui si mettono in cammino uomini e donne come noi, in cerca di sicurezza, di casa, di vita. Abbiamo il dovere della solidarietà, che nasce anche dal dovere di giustizia verso Paesi depredati dal vecchio e dal nuovo colonialismo».
Nel giorno della memoria, il presidente di Migrantes ha auspicato che cresca «in noi il desiderio di abbracciare e non di respingere questi nostri fratelli e sorelle, i piccoli della terra, insieme alla speranza di un cammino insieme, sinodale, che riporti la solidarietà sulle coste e nel Mare Mediterraneo, ai confini dell’Europa, abbattendo i muri che stanno risalendo non solo con il filo spinato, ma anche con politiche repressive, respingimenti, con scelte culturali che chiudono il cuore e la mente».
Per un pugno di voti
A Verona un cartello di studenti, associazioni di immigrati e organizzazioni cittadine – tra le quali Amnesty Verona, CGIL Verona, Fridays for Future, Nigrizia e Refugees Welcome Verona – ha promosso un presidio cittadino in piazza Bra. All’iniziativa hanno aderito anche altre organizzazioni, laiche e cattoliche, tra le quali: Arcigay, ARCI Verona, ANPI Verona, Associazione per la Pace, Centro Pastorale ImmigratiMigrantes, Chiesa valdese, Comunità di Base Verona, Cub, Rete Radié Resch, Medici Senza Frontiere-Gruppo di Verona, Mediterranea Saving Humans-Verona, SAE Verona.
Nella nota congiunta dell’evento, i promotori hanno puntato il dito contro le istituzioni italiane: «Sono passati dieci anni e le morti in mare secondo l’OIM sono salite a oggi a più di 25.000. Numeri assurdi e vergognosi, che ci mettono di fronte al fatto che dopo aver gridato “mai più morti”, la politica ha di fatto riproposto lo stesso approccio». Nessun governo, di nessun colore, «si è occupato di persone», hanno accusano ancora. «Anzi, appare piuttosto evidente come, a suon di decreti, si sia continuamente erosa la libertà di movimento e il diritto a richiedere protezione internazionale». Secondo le organizzazioni, Lampedusa ieri e Cutro oggi non sono bastate a «rimettere in discussione l’approccio securitario e razzista al fenomeno migratorio, che altro non è se non il ritorno della colonia. “Siamo qui perché voi eravate lì”. “Siamo qui perché voi siete ancora lì”, dicono le voci capaci di riconnettere le fila di una politica di morte che nasce con il colonialismo e continua oggi con la Fortezza Europa». Anche l’accoglienza in Italia sembra essere una prosecuzione dello sfruttamento coloniale: quelli che sopravvivono e che rimangono in Italia, hanno denunciato ancora le organizzazioni, permangono in uno stato di sfruttamento, «nelle campagne, nelle fabbriche, nelle case, marginalizzando, discriminando, creando una divisione nazionale, etnica e razziale tra cittadin* e suddit*».
In piazza Bra, il presidio ha voluto dunque fare memoria «di tutte le vittime, persone non numeri, morte su confini ideologici e muri razzisti disseminati per qualche consenso e di tutti coloro che sono sepolti nel grande cimitero mediterraneo. Siamo consapevoli dell’importanza di promuovere una cultura dell’accoglienza che si sappia schierare a fianco dei diritti e delle libertà di movimento. La nostra umanità non può essere sepolta o annegare nell’assuefazione o indifferenza».
Le raccomandazioni delle superiori generali
A Lampedusa, il 2 e 3 ottobre, c’era anche la francescana missionaria di Assisi suor Charity Katongo Nkandu in rappresentanza della UISG (Unione Internazionale delle Superiore Generali). In occasione della Giornata della Memoria, l’organizzazione – che conta 1.903 superiore in rappresentanza di oltre 600mila suore in 97 Paesi del mondo – ha diffuso un policy brief con 10 raccomandazioni rivolte a partner della UISG ma anche a governi nazionali, istituzioni internazionali e società civile. Il documento presentato dalle suore in occasione di questa ricorrenza rappresenta l’esito del Sister-led Dialogue on Migration, il secondo meeting sulle sfide globali promosso dall’iniziativa “Sisters Advocating Globally” della UISG, che si è tenuto il 3 luglio scorso a Roma, alla presenza di referenti Onu e del terzo settore, esperti accademici e rappresentanti dei media (v. Adista online, 7/7/23).
Nelle raccomandazioni le suore chiedono sostegno ai migranti attraverso l’insegnamento della lingua e fornendo informazioni corrette sui pericoli del viaggio verso l'Europa, per contrastare la disinformazione dilagante; promozione dell’inserimento e dell’integrazione nei contesti comunitari, favorendo il confronto tra migranti e comunità ospitanti; sensibilizzare la popolazione sui fenomeni migratori e incentivare il cambiamento nelle narrazioni e nelle parole adottate dai media per descrivere i fenomeni migratori; stimolare alleanze tra organizzazioni internazionali e umanitarie, istituzioni religiose e media contro la propaganda antimigranti; collaborare con i Paesi di transito noneuropei per garantire il rispetto della dignità dei migranti e arginare la tratta; fare pressione sui governi UE affinché non tradiscano la visione umanitaria dell’UE, «consentendo accesso equo, paritario e legale a tutti i migranti, indipendentemente dal motivo dell'immigrazione».
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