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Disinnescare l'odio

Disinnescare l'odio

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 37 del 04/11/2023

Una rabbia accumulata da decenni di soprusi subiti, da privazioni, da una vita senza futuro. Come spiegare altrimenti la violenza con cui Hamas ha colpito civili innocenti all’interno dello Stato di Israele?

Niente e nessuno può giustificare tanto orrore, ma capirlo sì, è necessario, se vogliamo pensare a iniziative che preparino un futuro cammino di pace.

Siamo noi che il più delle volte, anche se vediamo, non vogliamo capire. Il nostro animo, il nostro cervello è altrove. Lontano da quei palazzoni di Gaza che implodono, polverizzati, e non solo ora, sotto i bombardamenti degli aerei israeliani. Lontani da quelle migliaia di palestinesi incarcerati a tempo indeterminato perché accusati di terrorismo per aver semplicemente protestato o al massimo lanciato delle pietre. I veri terroristi – ci sono anche quelli, certo – non sono in carcere, ma sotto terra.

Noi popoli dell’Occidente, mentre facciamo affari con fior di dittatori di tutto il Medio Oriente, come Erdogan, presidente turco, o Al-Sisi, capo dell’Egitto, o i principi dell’Arabia Saudita, tutti oppressori dei propri popoli, ci voltiamo dall’altra parte di fronte alle ingiustizie subite dai palestinesi. Per questo, prendendo per buona la sola “narrazione” israeliana, se dalla Palestina partono attacchi contro Israele, è terrorismo. Se invece l’aviazione sionista fa strage di civili di Gaza, allora si tratta della giusta risposta di un Paese che ha il diritto di difendersi.

Due popoli, due Stati. Questi i deliberati dell’ONU. Uno per gli ebrei, cui venne riconosciuto il diritto di poter vivere su di una terra che fosse loro; uno per i palestinesi, arabi di religione musulmana, per lo più, ma anche arabi cristiani. Ma così non è stato.

Nel 1948 c’è stata la nakba, la “catastrofe” per i palestinesi: settecentomila cacciati dalle loro terre, dalle loro case, per sempre. Come se, facendo le debite proporzioni, più di venti milioni di italiani vivessero un dramma del genere. E gli altri, quelli rimasti, fossero costretti a vivere, per decenni, in condizione di apartheid, di prigionieri in casa propria.

Più volte i palestinesi si sono ribellati a questa loro condizione di paria, talvolta in modo assolutamente pacifico, poi con l’intifada, la battaglia delle pietre, più recentemente col lancio di razzi contro città e insediamenti israeliani. L’anno scorso i razzi lanciati dai palestinesi provocarono una dozzina di morti fra gli israeliani, mentre i bombardamenti effettuati da questi ultimi per ritorsione causarono più di duecentocinquanta vittime, tra le quali molti bambini.

Di fronte all’assoluta indifferenza dell’Occidente per la loro sorte e alla totale inefficacia della contestazione non violenta, molti palestinesi hanno scelto la lotta armata contro il nemico sionista, una lotta che prevede atti di terrorismo, pure contro la popolazione civile.

Hamas, la formazione fondamentalista che ha preso il controllo della striscia di Gaza e che gode di molti consensi anche in Cisgiordania, predica anche la distruzione dello Stato ebraico.

Ripeto: la condanna di Hamas è senza appello. Ma se non ci sforziamo di capire le motivazioni dell’odio contro gli israeliani, allora non saremo assolutamente in grado di favorire un processo di pace.

È vero che Hamas non rappresenta tutti i palestinesi, ma la maggioranza, anche fuori della striscia di Gaza, probabilmente sì. La cosa può non piacere, ma è così. E la continua repressione messa in atto dallo Stato di Israele, anche prima delle recenti atrocità subite da centinaia e centinaia di suoi cittadini, non fa che fomentare una spirale di violenza, e al tempo stesso rafforza proprio le posizioni più radicali dei palestinesi, di coloro che vorrebbero far sparire Israele dalla faccia della terra.

Peggio che mai la risposta di Israele. Se la distruzione dello Stato ebraico non può essere che una minaccia, priva di una reale consistenza, dato lo squilibrio delle forze in campo, la completa distruzione di Gaza sta diventando realtà. Non si tratta della sola fine di Hamas, ma dei palestinesi tout court.

Noi consideriamo Hamas alla stregua di belve feroci, in presenza dei loro crimini. Ma siamo molto più tolleranti quando i morti sono i palestinesi. Mille morti, duemila, tremila? E quanti alla fine? Ma quelli saranno cadaveri nascosti dalle macerie di una Gaza rasa al suolo. Sono morti asettiche, le si danno per scontate. Contano poco, per alcuni non contano nulla. Se la sono cercata. Gli israeliani non avevano forse dato l’ordine di andare via?

E poi tutte le vittime “collaterali”. Che fine faranno i feriti di guerra e pure i malati bisognosi di cure? Perché le “bombe intelligenti” dell’esercito israeliano colpiscono indifferentemente i nascondigli di Hamas e gli ospedali, con un elevatissimo numero di morti fra medici e infermieri, veri eroi che restano lì, pur sapendo che la loro vita è appesa a un filo. E allora si muore anche semplicemente per mancanza di cure.

Restiamo ammutoliti di fronte alla reazione di giubilo, in presenza degli eccidi compiuti da Hamas, da parte di milioni di musulmani che in questi giorni hanno invaso strade e piazze delle loro città e villaggi, dal Marocco all’Egitto, al Libano, alla Siria, all’Iran, al grido “morte a Israele”. E allo stesso modo condanniamo le derive antiebraiche che spesso emergono all’interno degli innumerevoli cortei filo-palestinesi che hanno invaso le città del mondo, perché un conto è la politica di Israele, che va condannata, altra cosa sono gli ebrei, nostri fratelli quanto i seguaci del Profeta.

Hamas potrà anche essere militarmente distrutto; molti palestinesi di Gaza cercheranno la salvezza nella fuga (ma per andar dove?) e gli altri, quelli rimasti, saranno costretti a vivere in uno spazio sempre più ridotto, dato che il governo israeliano, così sembra, prevede di ridurre il territorio degli abitanti di Gaza che potranno sopravvivere quasi solo grazie agli aiuti dell’ONU e delle organizzazioni umanitarie.

E l’odio aumenterà. Il terrorismo avrà un’impennata incredibile non solo dentro Israele, non solo contro le sinagoghe presenti in tutta Europa, ma anche contro obiettivi civili dei nostri Paesi occidentali, colpevoli di aver appoggiato, o quanto meno giustificato Israele, sempre e comunque.

È questo il futuro che ci aspetta se non riusciremo a far sì che l’Occidente si impegni concretamente a fare pressione con ogni mezzo affinché si realizzi l’opzione dell’ONU: due popoli, due Stati. Perché anche i palestinesi hanno il diritto di avere un proprio Stato, non accerchiati da città fortificate che i coloni hanno edificato strappando loro sempre più terra. Solo a queste condizioni si potrà disinnescare l’odio di entrambe le parti.

Un compito immane. Di fronte a questo ci sentiamo impotenti, frustrati. Eppure come cristiani siamo tenuti diventare operatori di pace. È il Vangelo che ce lo impone.

A partire dalle nostre comunità, ciascuno di noi sfruttando le proprie attitudini, conoscenze e competenze, deve fare la propria parte, anche con atti apparentemente insignificanti e inefficaci. Testimoniamo i valori della pace non solo all’interno delle nostre realtà ecclesiali, ma anche in tutti gli ambienti che frequentiamo; favoriamo ovunque possibile, nelle scuole, nei circoli culturali, nelle Case del Popolo prese di posizioni pubbliche che possano incidere sulle stesse amministrazioni locali, perché la voce della pace arrivi ai piani alti della politica.

Contestualmente alla condanna senza appello di Hamas, sarebbe uno scandalo se l’Italia interrompesse i suoi rapporti diplomatici e commerciali con lo Stato di Israele?

E se qualcuno obiettasse: “A che serve, se le altre nazioni non fanno altrettanto?”, io risponderei: “Da qualche parte bisogna pur cominciare”.

Bruno D’Avanzo è del Centro studi e iniziative America Latina del Circolo Vie Nuove di Firenze

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