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Il sostegno degli evangelici bianchi a Trump, candidato in missione per conto di dio

Il sostegno degli evangelici bianchi a Trump, candidato in missione per conto di dio

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 03/02/2024

 

41739 WASHINGTON-ADISTA. «Trump ha gli evangelici bianchi in tasca. Qualunque sia la dissonanza cognitiva che alcuni cristiani devoti possono provare nel sostenere un bugiardo donnaiolo seriale, messo sotto accusa due volte, che ha cercato di organizzare un colpo di Stato e ha fatto minacce violente contro gli oppositori politici, viene facilmente liquidata con la convinzione che nessun candidato repubblicano, non importa quanto problematico, potrebbe essere peggio di quello che perde con un antagonista democratico». In questi termini si esprimeva sul settimanale Time, Samuel Perry, professore di sociologia presso l'Università dell'Oklahoma e tra i maggiori esperti di cristianesimo conservatore nella politica americana. Se si comprende la religione americana della partigianeria fanatica e della “cultural war” – aggiungeva lo studioso – si capirà perché gli evangelici bianchi saranno sempre più allineati con l‘ex presidente Trump, nonostante tutto. Come pure la sua concorrente in campo repubblicano, Nikki Haley, sta imparando nel corso di queste primarie per scegliere il candidato dei repubblicani alla Casa Bianca in vista delle elezioni del prossimo novembre.

Evangelici bianchi come una falange

Già, perché se il risultato del voto alle presidenziali americane è tutt’altro che scontato, quella che appare quasi certa – a meno di un’improvvisa risalita di Nikki Haley – è l’affermazione di Donald Trump come candidato del Gop, il Grand Old Party. E se il partito repubblicano sembra ormai definitivamente trumpizzato, il successo del tycoon è dovuto in parte considerevole al sostegno ricevuto da una categoria di elettori, ovvero gli evangelici bianchi. Se insomma i cattolici restano sostanzialmente divisi fra democratici e repubblicani, gli affiliati alle Chiese protestanti storiche vedono una certa prevalenza del sostegno all’attuale presidente, Joe Biden, la galassia evangelica dell’America profonda, quella delle comunità rurali o dei nuovi pastori-influencer, credono in Trump come si trattasse dell’uomo in missione sulla Terra per conto di Dio, con il compito di salvare gli Usa e il mondo dalla perversione dei valori liberal, dall’ateismo, dall’immigrazione, dallo Stato federale che cerca di limitare le libertà dell’individuo. Dietro queste paure si nascondono altri timori, più profondi, legati alla perdita di certezza occupazionale, alla caduta progressiva di un’identità consolidata, genericamente isolazionista, di un’America bianca e cristiana, non di rado con venature razziste, messa in crisi dalle varie ondate migratorie.

Il bene contro il male

La storica rivista di attualità politica e culturale The Atlantic, descriveva, di recente, il rapporto venutosi a creare fra Trump e gli evangelici in questo modo: «Donald Trump e gli evangelici americani non sono mai stati alleati naturali. Trump ha posseduto casinò, ha sfoggiato amanti sui tabloid e spesso ha parlato in un modo che lo avrebbe fatto cacciare dalla chiesa. Nel 2016 molte persone dubitavano che Trump potesse conquistare gli evangelici, del cui sostegno aveva bisogno. Otto anni dopo, a poche settimane dai caucus dell’Iowa, il sostegno evangelico all’ex presidente e attuale favorito repubblicano non è più in discussione». In effetti, ora ci sono eminenti leader evangelici che sono arrivati a credere che Trump è «lo strumento di Dio sulla Terra», dice Tim Alberta, scrittore della redazione di The Atlantic e autore di un volume appena pubblicato, dal titolo: Il regno, il potere e la gloria: gli evangelici americani in un'epoca di estremismo.

Secondo lo scrittore di The Atlantic, «qualcosa di nuovo e di urgente, qualcosa di pericoloso, sta accadendo nel mondo evangelico, qualcosa di specifico non solo per la sua alleanza con Donald Trump, la sua alleanza con il Partito Repubblicano, ma per la sua elaborazione di dispute politiche quotidiane, banali e partigiane, attraverso un prisma che non è più rosso contro blu (repubblicani contro democratici, ndr), e nemmeno più, conservatori contro progressisti, o, ancora, cristiani timorati di Dio contro persone di sinistra senza Dio. È la lotta del bene contro il male». «Oggi – aggiunge – c’è davvero la sensazione, nel mondo evangelico americano, che la fine de tempi sia vicina, che i barbari siano alle porte, e che se non facciamo qualcosa adesso, allora questo Paese, questo Paese della sacra alleanza che Dio ha benedetto in modo così unico, lo perderemo, e che se lo perdiamo non perderemo solo l'America. Non è solo una sconfitta per l'America; è una sconfitta per Dio stesso». Se questo è lo scenario di fondo, c’è da credere che il sostegno degli evangelici bianchi a Trump non è solo politico, ma assume una coloritura messianica e apocalittica che lo rende in certo modo inscalfibile.

Casinò e divorzi

Anche il New York Times, in tempi recenti, ha dedicato un approfondimento a questo aspetto della campagna elettorale per la Casa Bianca. «Gli elettori bianchi cristiani evangelici si sono schierati per decenni dietro i candidati repubblicani, portando le questioni culturali conservatrici al centro della politica del partito e nominando candidati e presidenti da Ronald Reagan a George W. Bush».

Tuttavia, si leggeva ancora in un servizio del 10 gennaio scorso dal titolo “Trump si sta connettendo con un diverso tipo di elettore evangelico”, «nessun repubblicano ha avuto un rapporto più stretto – o più controintuitivo – con gli evangelici di quello di Trump». «Il magnate dei casinò, divorziato due volte, non ha fatto finta di essere particolarmente religioso prima della sua presidenza. L’ardente sostegno che ha ricevuto dagli elettori evangelici nel 2016 e nel 2020 è spesso descritto come in gran parte transazionale: un investimento nella sua nomina di giudici della Corte Suprema che abolirebbero il diritto federale all’aborto e porterebbero avanti le altre massime priorità del gruppo. Gli stessi sostenitori evangelici spesso paragonano Trump all’antico re persiano Ciro il Grande, che liberò una popolazione di ebrei anche se non era uno di loro».

«Ma gli studiosi di religione – continua il New York Times – attingendo a un numero crescente di dati, suggeriscono un’altra spiegazione: gli evangelici non sono esattamente quelli di una volta. Essere evangelici un tempo implicava una frequenza regolare in chiesa, un focus sulla salvezza e la conversione e opinioni fortemente sostenute su questioni specifiche come l'aborto». Oggi, l’appartenenza alla galassia evangelica, «è spesso usata per descrivere un’identità culturale e politica: un’identità in cui i cristiani sono considerati una minoranza perseguitata, mentre le istituzioni tradizionali sono viste con scetticismo».

«Ciò è particolarmente vero tra gli americani bianchi, che nel corso della presidenza di Trump sono diventati più propensi a identificarsi come “evangelici”, anche se i tassi complessivi di frequenza in chiesa sono diminuiti».

Avanzano i non credenti

Esistono però delle controindicazioni a un simile processo che potrebbero essere la spia di una crisi di questo modello. Ne ha parlato, in un servizio dedicato al tema, Npr, la National public radio, media indipendente e no profit che trasmette attraverso oltre 1.000 stazioni negli Stati Uniti. «Gli evangelici bianchi si trovano in un momento paradossale, poiché la loro quota complessiva nella popolazione statunitense diminuisce costantemente. Esercitano un potere enorme nella politica americana grazie alla loro presa sul Partito Repubblicano. Ma due tendenze a lungo termine hanno portato al calo numerico e all’influenza culturale degli evangelici bianchi: l’aumento della diversità razziale, nello stesso tempo in cui gli americani nel loro insieme stanno diventando meno religiosi. Inoltre, le comunità evangeliche latine sembrano essere in crescita, una tendenza guidata in parte dai modelli di immigrazione».

D’altro canto che gli americani stiano diventando meno religiosi è ormai un dato provato da sondaggi e rilevamenti statistici. In questo senso, un nuovo studio del Pew Research Center ha rilevato che i non affiliati alla religione – un gruppo composto da atei, agnostici e da quanti affermano che la loro religione non è “niente in particolare” – è ora il gruppo più consistente fra gli americani (28%). I non affiliati, infatti, hanno superato sia i cattolici (23%) che i protestanti o evangelici (24%). Si tenga conto per capire l’evoluzione della situazione, che nel 2007, i non affiliati ad alcuna Chiesa o fede, costituivano solo il 16% della popolazione.

Una conferma indiretta di tutto questo, la si può dedurre dal voto sui referendum svoltisi in 7 Stati, l’ultimo in Ohio a novembre, in relazione all’introduzione di norme restrittive sull’aborto dopo che nel giugno del 2022 la Corte suprema aveva cancellato il diritto all’aborto stabilito a livello federale. In tutti i casi i cittadini chiamati al voto hanno difeso la possibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza, segno che la strada verso la quale s’incamminerà l’America con il voto di novembre, non è ancora stata tracciata. La partita, insomma, è aperta. 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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