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Per il vaticano, ars gratia artis. E così “grazia” Rupnik

Per il vaticano, ars gratia artis. E così “grazia” Rupnik

Tratto da: Adista Notizie n° 25 del 06/07/2024

41909 ATLANTA-ADISTA. Circa 150 giornalisti cattolici e professionisti dei media provenienti da tutto il Nord America si sono riuniti ad Atlanta, in Georgia, per l'annuale conferenza sui media cattolici, tenutasi dal 18 al 21 giugno e organizzata dalla Catholic Media Association. Venerdì 21 giugno, c’era anche Paolo Ruffini, giornalista già direttore del giornale di RadioRai, di Radio1, Rai3 e Tv2000, dal 2018 prefetto del Dicastero per la Comunicazione del Vaticano. Ruffini ha tenuto il “keynote” di chiusura dell’evento, svoltosi presso l'Atlanta Marriott Buckhead & Conference Center, affrontando questioni come l'importanza di raggiungere un pubblico universale e l’uso dell’intelligenza artificiale nel mondo della comunicazione.

Alla fine del suo intervento Ruffini si è prestato a rispondere alle questioni poste dai giornalisti presenti. E a quel punto la mattinata, che sembrava dover trascorrere in maniera assolutamente pacifica, ha preso una piega diversa, che però non è stata minimamente riferita da Vatican News, che dell’acceso scambio di battute seguite all’intervento di Ruffini non ha dato notizia (ma anche sui media italiani la notizia è circolata poco). Tutto è cominciato quando Colleen Dulle del settimanale gesuita America ha chiesto a Ruffini perché il sito web del suo dicastero continui a utilizzare le opere d'arte di Marko Rupnik. Gli è stato anche chiesto quale messaggio con questa scelta il Vaticano intende dare alle vittime di abusi.

Ruffini ha affermato che la vicinanza della Chiesa alle vittime «è evidente», ma che è necessario attendere che il Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) concluda l'indagine sulle accuse contro Rupnik prima di «giudicare». Tuttavia, Ruffini ha chiarito la sua convinzione che rimuovere l’arte esposta pubblicamente non è un atto ragionevole di «civiltà», sostenendo che se anche Rupnik fosse condannato dal DDF per gravi abusi sessuali, il Vaticano potrebbe non ritenere necessaria la rimozione delle immagini delle sue opere dai suoi siti istituzionali. Ruffini ha inoltre precisato che il suo dicastero non sta aggiungendo nuove foto delle opere d'arte di Rupnik sul proprio sito internet, ma che si è limitato a non rimuovere quelle che già erano presenti. «Non è questo il modo di essere vicini alle vittime, pensare che se togliessi la foto di un’opera d’arte dal nostro sito, saremmo più vicino alle vittime», ha continuato. Da tempo però, il dicastero viene criticato per aver ripetutamente presentato le opere d'arte di Rupnik sul proprio sito web e sui post dei social media, a corredo dei propri contenuti. Anche perché le vittime di Rupnik hanno più volte rilevato come Rupnik avrebbe utilizzato il suo processo “creativo” come strumento di manipolazione e occasione per i suoi abusi direttamente nel contesto della progettazione e della creazione delle sue opere d'arte: proponeva alle vittime sesso a tre per emulare la Trinità (le sue opere «sono la traduzione della teologia trinitaria da bordello», scrive p. Pierre Vignon nell’articolo che pubblichiamo sul numero di Adista Segni nuovi allegato).

La stessa Dulle, però, nel suo articolo pubblicato su America il 21 giugno scorso, dava della risposta di Ruffini una interpretazione meno “teologica”: Ruffini infatti alla conferenza dei media statunitensi era accompagnato da Natasa Govekar, consulente teologico-pastorale del Dicastero per la Comunicazione, nonché coautrice di tre libri con padre Rupnik e segnalata come membro dell'équipe sul sito del Centro Aletti, l'istituto d'arte fondato da Rupnik a Roma.

Paulina Guzik, giornalista polacca di OSV News ha replicato alle osservazioni di Ruffini, sottolineando come invece la rimozione delle opere d'arte di Rupnik avrebbe dimostrato una maggiore vicinanza alle vittime. Ruffini ha però nuovamente ribattuto: «Lo pensa? Beh, penso che lei abbia torto. Penso davvero che lei abbia torto». «Rimuovere, cancellare, distruggere l'arte non è mai una buona scelta», ha detto. Anzi, «Non è affatto una risposta cristiana». Ed è al contrario fonte di «ispirazione» che anche i gesuiti continuino ad avere le opere d'arte di Rupnik nelle cappelle dove pregano.

Cronologia di una caduta

Rupnik è stato accusato di abusi psicologici, spirituali e sessuali su alcune suore della Comunità Loyola di Lubiana (in Slovenia) e, successivamente, nei confronti di persone che frequentavano il Centro Aletti di Roma, diretto dallo stesso Rupnik. Il caso scoppia all’inizio di di cembre 2022, quando il Dicastero per la Dottrina della Fede conferma di aver ricevuto, un anno prima, una denuncia di abusi sessuali e psicologici compiuti da Rupnik ai danni di alcune suore della Comunità di Loyola. La denuncia, tuttavia, era stata archiviata a ottobre 2022 perché i reati erano caduti in prescrizione, in quanto riferiti a fatti risalenti a oltre trent’anni prima. Rupnik viene però indagato anche per l’abuso di “assoluzione di un complice” in confessionale che, secondo il Diritto canonico, si consuma quando un prete (in questo caso Rupnik) assolve una persona con cui ha commesso un peccato (in questo caso una suora con cui avrebbe avuto un rapporto sessuale). A gennaio 2020 un collegio di giudici (tutti esterni alla Compagnia di Gesù) dichiarano all’unanimità che c’è stata effettivamente l’assoluzione di un complice. A maggio 2020 l’allora Congregazione per la Dottrina della Fede emette un decreto di scomunica; la scomunica viene però clamorosamente revocata da un altro decreto della stessa CdF emesso quello stesso mese.

A partire dal 2019, intanto, la Compagnia di Gesù aveva deciso (prima ancora che il caso divenisse di pubblico dominio) di applicare alcune restrizioni a Rupnik tra cui il divieto di confessare, di svolgere «qualunque attività ministeriale e sacramentale pubblica, il divieto di comunicazione pubblica, il divieto di uscire dalla Regione Lazio». Al teologo, inoltre, era stato vietato «qualunque esercizio artistico pubblico, in modo particolare nei confronti di strutture religiose». A Rupnik nel 2023 i gesuiti chiedono anche di cambiare comunità e accettare un nuovo incarico. Al suo rifiuto la Compagnia di Gesù lo espelle (giugno 2023). Non più gesuita, ma comunque prete, Rupnik viene incardinato dal vescovo della sua diocesi natale, quella slovena di Capodistria.

Il Centro Aletti da gennaio 2023 era stato intanto posto sotto una visita canonica il cui verdetto, presentato 18 settembre 2023 in un comunicato del Vicariato, sancisce che, nella sostanza, tutto è a posto. Sorte diversa per la comunità religiosa femminile fondata da Rupnik e da Ivanka Hosta, nell’arcidiocesi di Lubiana (una quarantina circa le suore consacrate): il 20 ottobre 2023, il Dicastero vaticano per gli Istituti di vita consacrata e le Società di Vita apostolica emana un decreto di scioglimento della Comunità di Loyola a causa di gravi problemi riguardanti l’esercizio dell’autorità e la convivenza comunitaria. La decisione faceva seguito a una visita alla comunità nel 2019 da parte dell’arcivescovo Stanislav Zore di Lubiana, capitale della Slovenia. Alla comunità è stato dato un anno di tempo per ottemperare al decreto.

Sempre a ottobre del 2023, papa Francesco annuncia di aver revocato i termini di prescrizione canonici sulle accuse contro il sacerdote e ha incaricato il Dicastero per la Dottrina della Fede di avviare un nuovo processo contro il religioso.

Rimuovere i mosaici

Intanto, cinque donne che affermano di aver subito abusi psicologici, spirituali e sessuali da parte di Rupnik, tramite il loro avvocato, Laura Sgrò, hanno chiesto ai vescovi cattolici di tutto il mondo di rimuovere i suoi mosaici dalle loro chiese, affermando che la loro continua esposizione nei luoghi di culto era “inappropriato” e ritraumatizzante per le vittime.

Nella lettera, inviata ai vescovi sono presenti i mosaici progettati da Rupnik, l’avvocato Sgrò (che chiama una decina di volte Rupnik “padre” pur non essendo più il prete sloveno religioso gesuita, ma essendolo stato all’epoca dei presunti abusi), afferma di non voler esprimere alcun «giudizio sulle opere», mainvitare i vescovi a riflettere «sull’opportunità della loro presenza in posti consacrati, dedicati a Nostro Signore». Allo stesso modo, chiarisce, «la richiesta delle mie assistite non deve tramutarsi in un giudizio anticipato sui fatti addebitati dalle vittime che rappresento a p. Marko. Indipendentemente da ogni procedimento in corso verso l'autore e indipendentemente dall'esito, infatti, quello che si chiede è che prevalgano ragioni di buon senso nel non utilizzare questi mosaici in sedi ecclesiali, anche indipendentemente dal valore artistico di esse, che qui certo non si discute. Tali opere, infatti, non possono restare ove sono state poste sia per il rispetto nei confronti delle vittime, sia per il carattere stesso del luogo di preghiera. Ciò non significa che non possano trovare adeguato spazio altrove, dove però, non facciano ombra alla spiritualità dei fedeli».

Nel frattempo, nel momento in cui scriviamo, apprendiamo che il presidente della Pontificia Commissione Tutela Minorum, il cardinale Sean O’Malley, ha scritto una lettera ai tutti i capi dicastero vaticani, invitandoli a non diffondere immagini che riproducano l’arte di presunti abusatori, per prudenza pastorale e per mostrare attenzione verso le presunte vittime. Ruffini prenderà nota. 

*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza 

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