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Papa Francesco, una transizione difficile
Tratto da: Adista Notizie n° 8 del 01/03/2025
42153 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Il progressivo deterioramento delle condizioni di salute di papa Francesco, che da tempo appare visibilmente stanco e debole e che è stato ricoverato d'urgenza all'ospedale Agostino Gemelli per la quinta volta dalla sua elezione a causa di una polmonite bilaterale, oltre alla sua età ormai piuttosto avanzata (88 anni) rendono verosimile, anche se forse non immediato, lo scenario di un nuovo Conclave.
Non tanto per il possibile decesso. Quanto perché è stato lo stesso pontefice, in diverse occasioni, a non scartare l’ipotesi delle dimissioni, seguendo in questo le orme del predecessore, Benedetto XVI. Il diritto canonico prevede esplicitamente la rinuncia. Il can. 332, §2 recita infatti: «Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti». Al requisito che la decisione sia presa liberamente, il papa ha aggiunto qualche personale considerazione: «Si governa con la testa, non con il ginocchio», disse nel dicembre 2022 commentando le sue condizioni di salute nel corso di una intervista rilasciata ad Abc. Pochi mesi dopo, nel libro autobiografico scritto col giornalista Fabio Marchese Ragona (Life. La mia storia nella Storia. L'autobiografia di Papa Francesco), il papa parlò di una sua possibile rinuncia al pontificato come di «una ipotesi lontana» perché non c’erano «motivi talmente seri» da far pensare a questa possibilità, mai davvero presa in considerazione, «nonostante i momenti di difficoltà». A meno che, era stata l’ulteriore indicazione di Francesco, non subentrasse «un grave impedimento fisico», possibilità alla quale darebbe risposta una «lettera di rinuncia» depositata in Segreteria di Stato firmata da Bergoglio all’inizio del pontificato. Il libro si riferiva a una conversazione avuta nel marzo 2024. Da allora però le condizioni del papa sono peggiorate, e talvolta il papa, che ormai oltre due anni si sposta quasi sempre in sedia a rotelle, fa fatica anche a leggere le omelie e rinucia sempre più spesso, e all’ultimo minuto, a presiedere le celebrazioni, come accaduto, ad esempio, per la via Crucis del 2024.
Considerato lo stato di salute di Papa Francesco, non sono in pochi a ritenere che una sua decisione circa eventuali dimissioni potrebbe essere vicina, prima cioè che il suo deterioramento fisico diventi più evidente. Certo, resta difficile ipotizzare che il papa – a meno che la situazione precipiti – possa dimettersi prima della conclusione del Giubileo, periodo difficilmente conciliabile con la sede vacante e un Conclave. Una fibrillazione crescente nelle stanze vaticane comunque c’è, anche perché quando è malato un papa, che nella Chiesa esercita un potere assoluto, regna incertezza.
La situazione politica ed ecclesiastica è peraltro particolarmente complessa. A livello internazionale l’ascesa di populismi, nazionalismi e di guerre regionali che minacciano di divenire planetarie non hanno trovato nel magistero di Francesco un argine sufficiente, o un elemento di composizione (si pensi alla sfortunata opera di mediazione tentata dal papa in Ucraina attraverso il card. Matteo Zuppi). Certo, presso l’opinione pubblica – laica e cattolica – la Chiesa sotto questo pontificato ha innegabilmente riguadagnato consensi, ma continua a perdere capacità di influenzare i processi politici e di governare i processi di secolarizzazione, che la relegano ormai a ruoli secondari, talvolta marginali. Anche nella gestione della Chiesa il papa ha avuto il merito di sollevare molti dei nodi critici sorti nel post Concilio (con la crisi in atto del resto sarebbe stato difficile fare diversamente), ma ne ha risolti o affrontati pochi.
La piaga degli abusi ad esempio: il suo ruolo è stato quello di ridare credibilità a una istituzione che non poteva più presentarsi con il volto di Joseph Ratzinger, troppo compromesso (ad onta di una parte della stampa che lo osannava come colui che aveva fatto più di ogni altro contro i preti pedofili, era stato 24 anni prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e 8 anni pontefice) con quel sistema di potere che gli abusi li aveva consentiti e in gran parte coperti. Francesco però non ha potuto, o non ha voluto, affrontare la questione in modo radicale, limitandosi a intervenire in alcuni casi e in alcuni contesti – spesso però quando era ormai inevitabile doverlo fare per l’esplosione di scandali pubblici e campagne di stampa – e senza intervenire incisivamente sulla formazione e l’arruolamento del clero e dei religiosi. E senza affrontare – se non in termini contingenti – il tema degli abusi spirituale dei leader delle organizzazioni religiose. Anche nel rapporto con le altre Chiese cristiane passi in avanti decisivi non ne sono stati fatti (ad esempio sul tema spinoso dell’intercomunione; o su quello delle “Chiese sorelle”, sbrigativamenter liquidato da Ratzinger nel 2000 e mai più seriamente ripreso). Meglio è andata sul versante del dialogo interreligioso, anche se il mondo musulmano è estremamente composito; e con gli ebrei le tensioni non sono mancate.
Il tema della sinodalità è stato spesso al centro delle riflessioni del papa, ma più proclamato che attuato. Il Sinodo dell’Amazzonia ne è un esempio esplicito, così come lo sono nomine e decisioni che hanno dato il senso a volte di un ulteriore accentramento del potere nelle mani del papa, che ha agito da battitore libero, forse perché si sentiva attorniato da collaboratori inadeguati; o perché minacciato dalla destra curiale e tradizionalista; o per indole e formazione gesuitica. In ogni caso, una parte non marginale dell’establishment ecclesiastico gli perdona atteggiamenti troppo informali e scelte irrituali o non adeguatamente condivise. Inoltre, il papa al Festival di Sanremo, ospite in trasmissioni televisive, che parla spesso a braccio e talvolta fa gaffes, se da una parte desacralizza l’immagine del pontefice e la pone su un piano più umano ed empatico, dall’altro rischia di assimilare il papa a qualsiasi altro leader politico; o peggio, personaggio dello star system. È infine vero che la libertà di ricerca teologica ha certamente trovato nuovo impulso sotto questo pontificato, ma resta forte la contraddizione tra gesti e parole e scelte concrete (sul ruolo delle donne e dei laici, nonostante la nomina di una donna prefetto di dicastero e di un'altra a capo del Governatorato; sul celibato ecclesiastico, i gay, l’aborto, il fine vita, la sessualità, ecc.).
Tutto questo, inevitabilmente, spetterà affrontarlo, prima o poi, al nuovo pontefice. Anche perché difficilmente il pontificato di Francesco potrà essere archiviato senza che lasci traccia di sé. Per il clamore che ha suscitrato, al di là dei risultati che ha conseguito; e per la sua considerevole durata (ormai già 12 anni), che ha determinato anche un considerevole spostamento dei rapporti di forza in Conclave (Francesco ha nominato complessivamente 163 cardinali, di cui 133 elettori, provenienti da 73 nazioni, di cui 23 non avevano mai avuto prima un cardinale). Ma in Conclave la maggioranza degli elettori si orienta non di rado in maniera difforme rispetto alla linea del papa che li ha creati cardinali. E infatti dopo 27 anni di Wojtyla e 8 di Ratzinger, nel 2013 il Conclave elesse Francesco.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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