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Rebus conclave. Ma il nuovo papa sarà nel segno della continuità

Rebus conclave. Ma il nuovo papa sarà nel segno della continuità

Tratto da: Adista Notizie n° 18 del 10/05/2025

42236 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Qualche certezza in questo Conclave c’è: comincia il 7 maggio e il card. Angelo Becciu non ci sarà (a questo proposito, v. notizia successiva). Stabilito quindi chi non potrà esserci – Becciu, appunto – restano 133 cardinali elettori sui 135 aventi diritto, visto il forfait per ragioni di salute del card. Antonio Canizares Llovera, arcivescovo emerito di Valencia, e del card. Vinko Puljic, arcivescovo emerito di Sarajevo. Il quorum per l'elezione del nuovo Papa scende quindi dai 90 voti previsti a 89, cioè «almeno la maggioranza dei due terzi».

Dei cardinali elettori, ben 107 hanno ricevuto la porpora da Francesco (109, in verità, ma uno di loro è proprio Becciu; l’altro Puljic), 21 da Benedetto XVI (in realtà 22, ma uno è Canizares Llovera), 5 da Giovanni Paolo II.

Questa mappatura ha però un valore molto relativo, perché i cardinali non votano mai seguendo gli orientamenti del papa che li ha creati. Tra l’altro, un papa “progressista” crea anche cardinali conservatori e viceversa (Giovanni Paolo II conferì la porpora a Carlo Maria Martini; Benedetto XVI a Reinhard Marx, tanto per fare due esempi). E poi perché il Conclave risponde alle logiche geopolitiche ed ecclesiastiche di una determinata fase storica, spesso molto diversa da quella nella quale ciascuno dei cardinali ha ricevuto la porpora.

Più interessante forse la distribuzione geografica dei porporati (compresi i due assenti per indisposizione fisica): il Continente più rappresentato è l'Europa con 53 cardinali elettori (17 sono italiani), seguito dalle Americhe con 37 (16 dall'America del Nord, quattro da quella centrale, 17 dall'America del Sud) e dall'Asia con 23 cardinali elettori. I rimanenti vengono dall’Africa (18) e dall’Oceania (4). La quota dei 133 elettori supera ampiamente la soglia massima di 120 fissata dalla Costituzione apostolica Romano Pontifici Eligendo di Paolo VI del 1975; tuttavia, sia Giovanni Paolo II che i suoi successori Benedetto XVI e Francesco hanno spesso derogato alla norma, con l’intenzione di costituire una “riserva” stabile di presuli sopra gli ottanta anni.

Continuità “politica” con Francesco

Cosa può succedere all'interno di un conclave è sempre difficile da prevedere. Va premesso che quando si invoca – da parte di molti cardinali – la continuità con il pontificato di Francesco si intende soprattutto la prosecuzione di una linea che ha progressivamente portato il Vaticano su posizioni distanti rispetto alla politica statunitense, teorizzando piuttosto come alternativa all’egemonia statunitense una visione multilaterale dei rapporti tra potenze. Una novità assoluta rispetto ai decenni caratterizzati soprattutto dall'epoca della guerra fredda, in cui Usa e Vaticano avevano visioni quasi sovrapponibili (tranne in rare circostanze, come la Guerra del Golfo e comunque con una certa differenziazione di posizioni all’interno delle gerarchie ecclesiastiche). Francesco ha invece preso chiaramente le distanze dalla politica Usa e delle potenze occidentali, non solo sull'invasione dell'Ucraina (arrivando a citare un capo di Stato suo amico che gli avrebbe riferito come l'«abbaiare della Nato alle porte della Russia» avrebbe spinto Putin a reagire e a scatenare l'inferno in Ucraina). Allo stesso modo Francesco ha condannato con parole assai più dure rispetto a quelle dei suoi predecessori la politica di Israele in Palestina e più volte ha parlato di un probabile genocidio in atto nella striscia di Gaza. Dichiarazioni che hanno comportato uno stato di tensione permanente con il Governo guidato da Benjamin Netanyahu fino al punto che il premier israeliano ha atteso ben tre giorni per diffondere un comunicato di moderato rammarico per la scomparsa di papa Francesco. D’altra parte, attraverso il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, Francesco nel 2018 ha posto termine alla storica querelle tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, in merito al riconoscimento dei vescovi nominati in Cina senza il consenso del papa. Aprendo un inedito capitolo di dialogo a est, che difficilmente verrà smentito dal nuovo pontefice.

Qualche scenario

Insomma, difficile che il nuovo papa possa discostarsi da questa politica multilaterale, caratterizzata dalla condanna di ogni guerra diretta o indiretta tra le due superpotenze mondiali Stati Uniti e Cina e i loro alleati e dalla tutela delle vittime di questi disegni imperiali. D'altra parte è anche possibile che il Conclave scelga di rafforzare il sostegno all'Unione Europea, che è oggi una realtà politica frammentata e schiacciata dal conflitto tra le due superpotenze. In questo senso, la possibilità dell’elezione di un papa italiano o europeo, che rafforzi una posizione eurocentrica ed equidistante della Chiesa tra Usa e Cina non è affatto remota. Chi tra i commentatori suggerisce il nome di Parolin intende probabilmente alludere a una figura come quella dell’ex segretario di Stato (con la sede vacante sono cadute tutte le cariche di Curia), in continuità con Francesco perché ne ha condiviso e portato avanti la linea diplomatica e pastorale, ma anche una personalità schiva e moderatamente progressista, scevra dalle espressioni più eccentriche e dirompenti di Francesco. Una personalità di questo tipo potrebbe prendere voti anche dai settori più moderati dell’episcopato.

Anche l'attuale segretario della CEI Matteo Zuppi può giocare qualche carta; a suo svantaggio pesa però una certa inesperienza e l’appartenenza a un movimento, la Comunità di Sant’Egidio, non unanimemente ben visto dalle gerarchie ecclesiastiche, perché spesso tacciato di essere una lobby che in passato aveva coltivato legami forti con l’amministrazione Usa e gli interessi occidentali. Negli ultimi anni Zuppi ha messo la sordina su questa sua appartenenza che però resta, anche perché insieme a Andrea Riccardi e a mons. Vincenzo Paglia è sempre stato considerato la figura più rappresentativa del movimento.

Una candidatura incentrata su un’altra parola d'ordine del pontificato, sinodalità, sarebbe quella del cardinale maltese Mario Grech, segretario generale del Sinodo. Che però per la parte progressista della Chiesa (parte dell’episcopato tedesco e latinoamericano) non ha dato grandi risultati.

Ancora più difficile pensare a un papa asiatico (ma curiale), come il card. Luis Antonio Tagle (che peraltro ha solo 59 anni e aprirebbe un pontificato prevedibilmente molto lungo, difficilmente compatibile con l’incertezza degli attuali tempi). Probabilmente nelle prime votazioni i cardinali tenteranno di votare i propri candidati di “bandiera”, anche con un criterio geografico (c’è anche il ghanese Peter Turkson, altro cardinale di Curia). Poi però verificati i numeri si passerà a candidature più realistiche.

L’intervista del card. Ruini

Restando nell’ambito italiano, ha suscitato qualche eco l’intervista del card. Camillo Ruini al Corriere della Sera. Ruini parla sempre poco, ma quando lo fa è di solito per tentare di orientare scelte strategiche. Ruini, 94 anni e una partecipazione attiva a tutte le riunioni delle Congregazioni Generali che hanno preceduto il Conclave, ha detto che «servirà un Papa buono, profondamente credente, dotato di attitudine nelle questioni di governo, capace di affrontare una fase internazionale delicatissima e molto pericolosa. E servirà un Papa caritatevole. Caritatevole anche nella gestione della Chiesa». «Può venire da qualunque parte del mondo», ha detto. Ma ha poi aggiunto: «Di solito gli italiani hanno il vantaggio di essere meno condizionati dalle loro origini. Sono più universalisti. Ciò non vuol dire che gli altri non sarebbero in grado di rispondere meglio alle necessità della Chiesa. Questo è il criterio ultimo».

Fin qui parole molto generiche, che indicano solo un minimo di continuità con Bergoglio e la preferenza per un italiano. Ruini però non evita di rimarcare quella che a suo giudizio è stata la contraddizione maggiore del pontificato di Francesco, da cui vorrebbe segnare una decisa discontinuità: «Bisogna restituire la Chiesa ai cattolici, mantenendo però l’apertura a tutti», ha detto. Per poi aggiungere: c’è una divisione in atto, «con il paradosso per cui favorevoli a Francesco sono per lo più i laici, mentre contrari sono spesso i credenti». Piuttosto dirompente il passaggio dell’intervista in cui Ruini afferma: «Francesco ha privilegiato i lontani a scapito dei vicini, è un gesto evangelico. Ma, come nella parabola del figliol prodigo, l'altro figlio protestò. Così oggi c'è chi protesta nella Chiesa».

In sintesi, il profilo tracciato da Ruini sarebbe quello di un papa italiano, teologicamente conservatore, dotato però di un certo appeal mediatico (che Ratzinger non aveva), ma in grado di mantenere la linea di Bergoglio solo sul fronte dei rapporti internazionali. Per alcuni si tratterebbe del tentativo di lanciare la candidatura del card. Giuseppe Betori, ex pupillo di Ruini in Cei (quando era segretario sotto la sua presidenza), catapultato poi nella diocesi di Firenze (dove però non è stato mai molto amato).

Ho visto un Re

Non è semplice, però, che curiali e conservatori, nonostante la loro influenza, riescano a esprimere un candidato forte. Lo deve aver capito uno dei più rappresentativi tra i cardinali conservatori “fuori quota”: Giovan Battista Re, uno dei prelati più vicini a Giovanni Paolo II (dove con Ruini, Ratzinger e il segretario di Wojtyla, card. Stanisław Dziwisz, costituiva una sorta di “cerchio magico” dal quale passava ogni decisione e nomina). Nel corso dei funerali di Francesco ha usato parole che fanno capire che nonostante ogni differenza di prospettiva teologica e pastorale, dopo Francesco indietro non si torna. Re ha ricordato soprattutto l'accoglienza degli emarginati, dei profughi, dei rifugiati e dei detenuti unito all'impegno – «l'implorazione», testuali parole – di Francesco per la pace e contro gli «orrori della guerra». Significativo anche il passaggio in cui Re ha ricordato la celebrazione di una Messa al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, in occasione del suo viaggio in Messico.

La “profezia” di Francesco

Un’ultima curiosità: al rientro dal viaggio in Mongolia nel 2023, in volo con i giornalisti, Francesco, rilevando di non aver potuto fare tappa in Vietnam, alla richiesta dei giornalisti se avesse in programma di andarci, la sua risposta fu criptica: «Se in Vietnam non andrò io, di sicuro andrà Giovanni XXIV». Ecco: Giovanni XXIV non sarebbe un nome inadatto al nuovo papa. Perché se Francesco II è un nome attualmente troppo impegnativo, l’evocazione del papa della pace e del rinnovamente profondo della Chiesa, del Concilio e dei poveri, mite e risoluto nella sua azione pastorale potrebbe essere per il nuovo papa una scelta vincente. 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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