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Suor Merletti al webinar UISG/USG: «L’abuso spirituale è un abuso di potere»

Suor Merletti al webinar UISG/USG: «L’abuso spirituale è un abuso di potere»

Tratto da: Adista Notizie n° 25 del 28/06/2025

42303 ROMA-ADISTA. Quando si parla di abuso spirituale, «la prima confusione che osservo è che c'è la tendenza a considerare la gravità dell'abuso spirituale in relazione all'abuso sessuale. La realtà dimostra che è piuttosto da collegare a un abuso di potere e che produce danni altrettanto gravi e permanenti nelle vittime». Parte subito con il piede giusto suor Tiziana Merletti nel webinar promosso dai due organismi internazionali delle superiore e dei superiori religiosi, UISG e USG, il 15 giugno scorso, dal titolo: «Abusi spirituali. Come ascoltare e accompagnare un grido». Suor Merletti, religiosa delle francescane dei poveri, una laurea in giurisprudenza all’Università di Teramo, un dottorato in Diritto canonico alla Pontificia Università Lateranense, per 9 anni superiora generale del suo istituto, oggi insegna alla facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università Antonianum e dal 2016 si dedica alle vittime di abusi; il 22 maggio Leone XIV l’ha nominata segretaria del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (v. Adista Notizie n. 21/25).

È spontaneo associare la “confusione” di cui parla suor Merletti all’approccio adottato in materia dal prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede card. Victor Manuel Fernández, che presentando, a inizio 2025, il progetto di un gruppo di studio interdicasteriale sulla definizione del delitto di abuso spirituale (progetto annunciato a novembre 2024), aveva definito quest’ultimo come una situazione in cui «elementi spirituali vengono usati come scusa o motivazione per avere rapporti sessuali» e in cui avviene «una manipolazione delle persone che si affidano ad una guida spirituale e allo stesso tempo una manipolazione della bellezza spirituale della nostra fede per ottenere sesso». Una definizione parziale che manca il punto centrale, come rilevato anche dalla rivista gesuita America (11/6): affrontare l’abuso spirituale come fenomeno sistemico frutto di un abuso di potere che poi rende possibile la declinazione della violenza in varie forme, da quella psicologica a quella sessuale.

Ma Merletti rimette le cose a posto e, davanti a un pubblico assai folto (1.000 le iscrizioni al webinar accettate, a fronte di 1.400 richieste), costituito in stragrande maggioranza da religiose e religiosi, spiega chiaramente di cosa si parla quando si parla di abuso spirituale.

Vita religiosa è libertà

Adottando un approccio canonico e giuridico, suor Merletti ricorda che per vita spirituale si intende «vita nello Spirito Santo, infuso nei nostri cuori dal battesimo» per cui «si entra in una dimensione di rapporto e di unione con Dio tutta personale». Ciò implica «mettere in gioco ragione, volontà, libertà e la parte più intima di noi che è rappresentata dalla coscienza, il nucleo più segreto, il sacrario dove la persona si trova sola con Dio, la cui voce risuona nell'intimità». Il diritto canonico si occupa di proteggere questa dimensione: tre i canoni ricordati, il 214 («i fedeli hanno il diritto di seguire un proprio metodo di vita spirituale che sia naturalmente conforme alla dottrina della Chiesa, quindi pensiamo ai nostri carismi, alle pratiche di pietà, possiamo scegliere lo stile che più corrisponde al nostro bisogno di tuffarci in Dio»); il canone 219 («tutti i fedeli hanno il diritto di essere immuni da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita. Nessuno può decidere al posto nostro come vogliamo spendere la nostra vita al servizio del regno») e il 220 («Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente il nostro buon nome o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità»). Quindi, sottolinea suor Merletti, «valore centrale fondamentale è la libera scelta che abbiamo; un diritto all'autodeterminazione spirituale».

Il percorso di vita spirituale, afferma la religiosa citando p. Amedeo Cencini, spesso inizia in modo innocuo, «ma poi si allontana dal vero bene dell'altro, dal rispetto del suo mistero per invadere i suoi confini e legarlo a sé, per giungere lentamente a condizionarlo e dominarlo, e tutto ciò in nome di Dio». Ciò avviene quando «la guida spirituale si fa vero e unico portavoce della volontà di Dio», «come se Dio manifestasse a questa terza persona ciò che vuole da me» e quando la guida «si rende custode del nostro cammino in maniera assoluta e anche molto controllante». Già, perché un’altra modalità dell’abuso è «isolare la persona legandola a sé e controllandone ogni mossa e respiro durante la giornata»: a volte la guida spirituale «ha il controllo sulla giornata della persona e ha imposto di fare un resoconto di ogni pensiero, azione, parola, incontro vissuto con un WhatsApp serale». Avviene che si forzi la libertà di coscienza con frasi come «“Il Signore ti chiama ad abbracciare la vita religiosa in questo istituto, in questa forma e ti dico io che è proprio così”».

Relazioni pericolose

Due le forme di “relazioni a rischio” esaminate: quella di accompagnamento spirituale e quella di governo. Il primo, spiega suor Merletti, «è un processo attraverso il quale una persona aiuta un'altra a crescere nell'intimità con Dio cogliendo i segni della sua presenza». Accompagnamento e non direzione, perché «il rapporto è asimmetrico, ma questa persona non è un organizzatore o un istruttore della mia vita personale». In questo contesto, «sappiamo che ci sono tanti passaggi in questo tipo di relazioni, come il sentire di aver bisogno di aiuto e di consiglio». Affidandoci a una persona, «abbiamo sperimentato la fiducia che cresceva nel rapporto, eravamo disponibili, quindi malleabili. È una situazione che in qualche modo ci rende vulnerabili. Tutti ricordiamo interventi di una guida spirituale che ci hanno suscitato libertà, incoraggiamento, coraggio nell'andare avanti, ma magari anche momenti di disagio, di disturbo», un senso «di intrusione violenta nella nostra intimità».

Perché l’accompagnamento fa entrare in una zona di vulnerabilità? C’è una questione strutturale: «Il setting è necessariamente impostato su un incontro a tu per tu con tutte le dinamiche che questo attiva: non ci sono testimoni, la persona si affida con fiducia, condivide tutti gli aspetti della propria vita, quindi si consegna; ci sono anche delle aspettative molto alte» nei confronti di chi accompagna, per cui per la guida spirituale c'è sempre il rischio dietro l'angolo di oltrepassare la linea e scadere in interventi nocivi o inopportuni». Occorre dunque «che l'accompagnatore vigili anche sulla comprensione del proprio ruolo». «Dove c'è asimmetria – argomenta Merletti – c'è in qualche modo un esercizio di potere», e laddove c’è un esercizio di potere «si annida sempre un fattore di rischio».

Cos’è l’abuso spirituale?

L'espressione «non compare nel codice di diritto canonico ma compare nella vita reale». Suor Merletti cita la definizione di Lisa Oakley: «È una forma di abuso emotivo e psicologico. È caratterizzato da un modello sistematico di comportamento coercitivo e di controllo in un contesto religioso». Anche i vescovi dell'Austria nelle loro linee guida sottolineano questi aspetti, che generano «calo dell'autostima fino a forme di autosvalutazione, dipendenza, paura nei confronti di Dio, del suo giudizio; perfezionismo nella vita spirituale, un senso di colpa ossessivo-compulsivo»; «mancanza di fiducia verso sé e gli altri, sospetto, senso di oppressione e sfinimento, scatti e sfoghi improvvisi d'ira, ansia e depressione, soprattutto quando succede qualcosa nella vita, ci si sveglia e ci si accorge di essere caduti in questa trappola».

Tra gli elementi oggettivi da considerare, afferma la religiosa, ci sono «l'entità del traumapatito dalla vittima», il «grado di limitazione della libertà della vittima», il numero delle parti lese (se è una guida spirituale ad abusare, il peso è differente); e poi ci sono i dati soggettivi, «l'intensità del dolo, l'intenzione di soggiogare la persona, o il grado della colpa».

Sul piano della relazione di governo istituzionale, il livello sistemico appare più evidente: «Il bene in gioco – afferma suor Merletti – è la distinzione tra foro interno e foro esterno, di fondamentale importanza».

Da qui nascono alcune domande: in che misura si può attribuire la responsabilità di un abuso spirituale a una istituzione piuttosto che a un individuo? «È vero, è stato quel superiore, quella formatrice, ma se è sistemico, quella persona non sta facendo altro che applicare un modus operandi». Allora chi è responsabile, la singola persona o tutto il sistema? «Dal punto di vista giuridico, culturale, sociologico è molto pesante». E poi: come garantire che la trasmissione del carisma non sia contaminata da interpretazioni arbitrarie, quando non aberranti? «In che misura il nostro contributo fa sì che il carisma venga interpretato in maniera errata?».

Le buone prassi

L’istituzione, suggerisce Merletti, crei spazi per un dialogo e una verifica della qualità della vita spirituale; programmi formativi non fittizi sulla cultura della tutela della persona e di ambienti sani; le procedure interne per le segnalazioni, così come per le azioni successive, devono essere chiare e accessibili. La testimonianza della vittima dev’essere accolta con rispetto e con oggettività: l'autoreferenzialità dell'istituzione, afferma, genera atteggiamenti di difesa e negazione, imposizione del silenzio o sublimazione della prova, da affrontare nella fede. Dopo percorsi di riparazione e guarigione come viene valutato il danno subìto dalla vittima accertata? Chi si fa garante di questa presa in carico delle vittime? E anche di chi abusa? «Non possiamo semplicemente dimetterli e così voltare pagina».

Cogliere i segnali

Il webinar è poi proseguito con un lavoro a gruppi in cui sono state sottoposte 10 domande su storie e situazioni di abusi spirituali, poi elaborate e analizzate in tempo reale. Suor Merletti ha commentato i risultati, evidenziando la rilevanza di situazioni critiche nel rapporto con l’autorità e la durata delle relazioni abusanti: «L'abuso spirituale non è qualcosa che si consuma in un breve periodo, è molto più sottile, più subdolo». Come riconoscerlo? «Uno degli elementi – afferma la religiosa - è quello degli effetti sulla vittima»: «Una forte dipendenza rispetto, per esempio, alla guida spirituale, un senso costante di insicurezza e il bisogno di conferme in quello che si fa, si pensa o si dice».

Per tutto ciò occorre formazione, «perché altrimenti non si è in grado di chiamare per nome situazioni borderline o oltre la linea». Per far crescere la consapevolezza ed essere persone vigilanti occorre anche «coltivare la “cultura dell’errore”: «Se c'è una persona sbagliata al posto sbagliato chi paga le conseguenze è tutto l'istituto. Se ricevo segnalazioni non posso tacere». «Questa coscienza critica, questa consapevolezza all'interno degli istituti deve crescere come un piccolo seme per arrivare a una rivoluzione culturale nei nostri istituti a partire dalla base», perché «siamo tutti in prima linea». 

*Foto ritagliata da Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=MCHj16DbFXs 

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