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OLTRE LA MATERIA, CERCHIAMO LA VITA. INTERVISTA A IGNAZIO MARINO

Tratto da: Adista Notizie n° 19 del 10/03/2007

33784. ROMA-ADISTA. Lo scontro fra "laici" e "cattolici" ha dominato negli ultimi tempi la vita politica del nostro Paese. In questo quadro sembrano restare sullo sfondo le voci di quei "laici credenti" decisi ad operare - nell'autonomia della propria coscienza - per trovare soluzioni concrete ai problemi di una società complessa, senza lanciarsi in crociate ideologico-religiose ma anche senza rinunciare alla propria scelta di fede e alla propria visione del mondo. Adista ne ha parlato con Ignazio Marino, chirurgo di fama internazionale e presidente della Commisione Sanità del Senato, protagonista lo scorso anno, insieme al card. Carlo Maria Martini, di quel "Dialogo sulla vita" (v. Adista n. 33/06) che ha rappresentato un importantissimo momento di confronto tra scienza e fede. (emilio carnevali)

D: Senatore Marino, in un recente dibattito con Giovanni Franzoni (v. Adista n. 9/07) lei ha fatto riferimento agli anni della sua formazione, a Roma, in una realtà cattolica molto impegnata sulle tematiche sociali allora più dirompenti. Può dirci qualcosa di più sulle sue esperienze di quegli anni?

R: Negli anni ‘70, almeno nell'ambiente cattolico che frequentavo io, c'era un grande fermento e una notevole passione per l'approfondimento dei temi sociali attraverso una lettura che non si identificava necessariamente con quella delle gerarchie. Questo non significa che quel mondo rinnegasse o combattesse le gerarchie ecclesiastiche: non mi sembra fosse questo ciò a cui tendevamo. Debbo però precisare che io sono lettore un po' particolare di quegli avvenimenti, dal momento che pochi anni dopo mi sono trasferito negli Usa e dunque ho seguito da molto lontano ciò che è accaduto nel corso degli anni ‘80 e nella prima parte dei ‘90. Oggi è molto più semplice - con internet e le altre tecnologie - tenersi aggiornati su ciò che accade nel proprio Paese, ma fino a pochi anni fa non era così. Inoltre, in quel periodo ero concentrato soprattutto sulla mia professione e sulle tecniche che volevo acquisire nel mio campo di specializzazione, quello dei trapianti.

Fatta questa precisazione, ricordo che negli anni ‘70 – nonostante il grande impegno di studio che già mi era richiesto come studente di medicina – cercavo di partecipare ogni volta che potevo alle iniziative di questo grande movimento di cristiani animato da figure come dom Giovanni Franzoni, che ha senza dubbio influito molto sulla mia formazione. Poche settimane fa, qui a Roma, ho partecipato ad un dibattito pubblico proprio con Franzoni ed è stato emozionante rincontrarlo dopo tanto tempo.

Ho seguito i primi convegni dei "Cristiani per il socialismo" ed ero inoltre impegnato nello scoutismo. Allora lo scoutismo prevedeva la separazione tra maschi e femmine. Noi ritenevamo che, alla luce di una visione post-conciliare della formazione, dell'educazione, della pedagogia, fosse giusto aprire ad una co-educazione dei maschi e delle femmine. Ma la cosa non riscontrava molto gradimento in alcuni settori delle gerarchie ecclesiastiche. Minacciarono addirittura di toglierci le sedi nelle parrocchie. Paolo VI era però un papa che si interrogava molto su ciò che accadeva nella società: inviò nei vari gruppi scout degli assistenti spirituali, in qualche modo vicini alla Segreteria di Stato. Erano uomini particolarmente intelligenti, oggi sono tutti diventati vescovi o cardinali. Seguirono il percorso che noi stavamo facendo e riconobbero che era un'esperienza costruttiva, che non vi era nulla di negativo nella co-educazione. E infatti nel ‘74 si formò l'Agesci. Fu un passaggio culturale importantissimo.

Un'altra delle problematiche che questo movimento di cattolici e cristiani impegnati nella società seguiva con particolare passione era quella dell'assistenza ai malati di mente. Ricordo molte riunioni e manifestazioni al Santa Maria della Pietà, che era l'ospedale psichiatrico più importante di Roma. Sulla base delle idee dello psichiatra Basaglia, si puntava ad una ridefinizione della legislazione sulle malattie mentali. Insomma, furono anni in cui i cristiani hanno contribuito in maniera sostanziale ai cambiamenti della società.

D: Lei ha vissuto e lavorato a lungo negli Stati Uniti, un Paese dove le questioni bioetiche sono già da molti anni al centro di un dibatto politico che per molti versi ha anticipato quello europeo ed italiano. Quali differenze nota fra la realtà americana e quella del nostro Paese, soprattutto alla luce del ruolo che le religioni esercitano nella sfera pubblica?

R: Certamente negli Stati Uniti ed in Italia ci sono due modi diversi di vivere la religiosità. Non sono abbastanza preparato in materia per poter cogliere tutti gli aspetti di criticità che uno strumento come il Concordato può presentare. Però posso portare la mia esperienza di cittadino statunitense, avendo la doppia cittadinanza italiana e americana. Negli Stati Uniti io sono tenuto a contribuire al mantenimento del mio culto, nel senso che la parrocchia dove vado vive esclusivamente delle offerte dei fedeli. In Italia il finanziamento avviene attraverso un meccanismo indiretto come quello dell'8 per mille. Credo che contribuire direttamente al sostegno del proprio culto, qualunque esso sia, con un'offerta libera e regolare sia più responsabilizzante per i fedeli.

C'è poi un aspetto di "attiva tolleranza" - con questo termine mi riferisco ad un senso di profondo rispetto, differente dalla tolleranza intesa come ‘indifferenza' - legato al carattere estremamente multietnico degli Stati Uniti. Per quanto la società americana sia caratterizzata da una cultura molto orientata verso la tecnologia e la scienza, non vi è nessuna discriminazione nei confronti di alcun tipo di culto e di metodica di culto, anche quando questi presentano tratti incomprensibili o particolarmente bizzarri.

Ricordo ad esempio un mio paziente con un'epatite fulminante che doveva essere trapiantato di fegato altrimenti sarebbe morto; non mi ricordo esattamente di quale religione si professasse seguace ma pretendeva che fosse condotto in terapia intensiva un sacerdote della sua religione. La cerimonia che il sacerdote avrebbe dovuto officiare prevedeva il posizionamento di alcune uova d'uccello sull'addome del malato. Si può immaginare lo sconcerto che questa richiesta provocò tra noi medici. Eppure la decisione fu presa con la massima semplicità e il massimo pragmatismo. Per quanto tutti noi fossimo convinti che l'uomo si sarebbe salvato grazie al trapianto di fegato e non certo per le uova d'uccello, abbiamo consentito che il rito avesse luogo. Ho citato questo esempio per mostrare che anche le regole di una rianimazione e in quel caso della rianimazione più importante per il trapianto di fegato al mondo (a Pittsburgh, negli Usa), possono adattarsi con facilità al rispetto delle credenze e delle convinzioni di ognuno, anche quando queste sono molto distanti dalle nostre.

Se devo essere sincero, in Italia non c'è ancora questo rispetto nei confronti delle altre visioni religiose e culturali. Credo tuttavia che questo rispetto cresca parallelamente al crescere della multietnicità. L'altro giorno ho sentito una battuta del sindaco di Roma che mi ha fatto molto piacere. Veltroni ha detto con orgoglio che in questo momento ci sono più di cento etnie nelle scuole pubbliche romane. Quando lui era ragazzo - ha aggiunto il sindaco - ci si stupiva o si rimaneva un po' perplessi se a scuola c'era uno che veniva dalle Marche. È ovviamente una constatazione spiritosa, ma che secondo me evoca con efficacia il tema del rapporto tra una società e le varie fedi religiose che si trovano al suo interno, alle quali bisogna guardare con profondo rispetto ma nello stesso tempo con la consapevolezza che le leggi si scrivono per tutti e a prescindere dalle soggettive convinzioni di fede.

Naturalmente anche gli Stati Uniti non sono immuni da questo problema. Prendiamo ad esempio la vicenda di Terry Schiavo nel 2005. Bush ha richiamato il Congresso nella settimana pasquale per fare una legge ad personam al fine di impedire alla Corte Suprema di svolgere il suo lavoro. Sono stati trovati perfino dei biglietti in cui il presidente degli Stati Uniti motiva la sua scelta parlando degli "alti dividendi" che l'iniziativa avrebbe fruttato tra i cristiani più radicali in vista delle elezioni di midterm. Anche in Italia, oggi, diventa difficile spiegare come tutta questa vicenda sia stata in realtà una drammatica montatura. L'altro giorno ho ascoltato ad un convegno organizzato da Forza Italia l'on. Pedrizzi (presidente della consulta etico-religiosa di An, ndr) raccontare che durante gli ultimi giorni di vita Terry Schiavo si contorceva dai dolori perché era stata affamata e assetata. Insomma, Terry Schiavo non aveva più corteccia celebrale! Non si è mai contorta dai dolori, non ha mai dovuto ricevere sedativi. Questi sono fatti, non opinioni, e peraltro pubblicati sul numero del 24/4/05 del New England Journal of Medicine, la rivista scientifica più importante della Terra!

D: Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad una ingerenza senza precedenti delle gerarchie ecclesiastiche nella vita politica del nostro Paese. Qual è il suo giudizio su questo aspetto?

R: Non spetta naturalmente a me dire come si debbano comportare le gerarchie ecclesiastiche rispetto al dibattito politico in corso nel nostro Paese. Io posso semplicemente proporre la mia - personalissima - opinione su come intendo l'evangelizzazione. Ma, ci tengo a ripeterlo, è un'opinione del tutto personale e ho assoluto rispetto per chi non la pensa così. Per me l'evangelizzazione è soprattutto esempio, è soprattutto costruzione delle coscienze. Avere tre matrimoni alle spalle - e lasciamo stare altri tipi di condotte - oppure affrontare le tematiche relative alle coppie di fatto come se ci si trovasse di fronte a proposte - lo dico provocatoriamente - del "demonio", ha come conseguenza uno svilimento del "valore della famiglia". La famiglia deve trovare la sua forza nei principi che sono alla base dell'evoluzione di tutte le società umane. Non ci sarebbe la società così come la intendiamo noi oggi se non ci fosse stato nei millenni un concetto di famiglia eterosessuale che ha permesso la riproduzione e la continuazione della specie umana. Che poi alcuni abbiano l'intendimento di perseguire delle unioni diverse dalla famiglia tradizionale, secondo me ciò non costituisce affatto un pericolo. Sono situazioni differenti e come tali vanno assolutamente rispettate. Non credo si possano imporre principi "etici" attraverso regolamenti legislativi. Il ruolo più alto che una religione può avere è quello di proporre attraverso l'esempio. Solo così è possibile educare veramente le coscienze. Si tratta di un lavoro che va costruito su un terreno intellettuale, culturale, e anche sociale, non certo tramite regole, divieti, imposizioni. Quest'ultimo è un metodo non solo sbagliato, ma anche inefficace: oggi potremmo forse erigere delle barricate, ma domani non avremo certamente un fiorire di nuovi credenti o di nuove vocazioni.

D: Il dibattito politico in corso vede una sempre più netta polarizzazione fra un fronte cattolico spesso venato di integralismo e un fronte laico spesso schiacciato su posizioni di radicale "liberismo etico". Non crede - e qui mi rivolgo a lei in quanto parlamentare eletto nelle file della sinistra - che una più visibile rappresentanza di una "cultura del limite" anche sul fronte laico potrebbe contribuire ad impostare meglio il dibattito? Del resto, la tradizione del pensiero socialista nasce proprio dalla critica dell'angusta concezione liberale della libertà intesa come semplice "non impedimento"…

R: Io sono assolutamente convinto della necessita di superare questa fuorviante meccanismo che contrappone i "laici" ai "credenti" e viceversa. Prendiamo il dibattito sullo statuto dell'embrione. Il senso del limite, il principio di precauzione, rispetto alla potenzialità che un embrione può avere di portare a una vita, e poi a un bambino, ad una persona, non dovrebbe essere esclusivo patrimonio di chi crede. Mi rifiuto di immaginare che la maggior parte delle persone che non credono – coloro che sono "laici e non credenti", perché io penso che ci siano pure i "laici credenti" - non abbiano questo senso del dubbio rispetto a problematiche così importanti.

D'altra parte io stesso mi interrogo su queste tematiche. In questi giorni, ad esempio, sto riflettendo sull'opportunità che gli embrioni soprannumerari conservati nelle cliniche per l'infertilità - congelati e mai utilizzati - possano, anche nel nostro Paese, essere adottabili. Sono andato a controllare in quali Paesi questo tipo di procedura è ammesso e in quali non è ammesso. È difficile non farsi venire dei dubbi sulla questione della vita, al di là delle proprie convinzioni di fede, quando uno vede le fotografie di embrioni allo stadio di otto cellule che vengono tirati fuori dal frigorifero, impiantati in un utero e che poi, dopo nove mesi, danno vita a un bambino o a una bambina. Certo uno può considerare gli embrioni come un gruppo di cellule che senza l'utero non può mai diventare una persona. Tuttavia io non riesco - non come credente, ma come scienziato - a smontare il ragionamento, a smentire la mia convinzione scientifica che nel momento in cui c'è un nuovo Dna esiste un nuovo individuo.

D'altra parte non riesco nemmeno ad accettare l'idea – sostenuta, del tutto legittimamente, ad esempio da mons. Sgreccia - che dal momento dell'ingresso dello spermatozoo nell'ovocita ci sia in effetti una nuova vita. Se non c'è un nuovo Dna io davvero non riesco ad accettare l'idea che ci sia una nuova vita. Ma queste sono le conoscenze scientifiche di cui dispongo oggi, che sono le stesse di cui dispone mons. Sgreccia e le stesse di cui dispongono i laici non credenti. Semplicemente io mi pongo nel terreno del "dubbio".

D: Nel "dialogo sulla vita" con il card. Martini pubblicato sull'Espresso lei ha affermato: "Non sono d'accor-do nel somministrare una sostanza velenosa per provocare l'arresto del cuore del malato e quindi indurre la morte. E, pur condannando il gesto, non sono tuttavia certo che si possa condannare la persona che lo compie". Come spiega questa apparente contraddizione?

R: Mi sembra che anche il card. Martini sostenesse una posizione analoga. Io ho visto praticare l'eutanasia una sola volta. Questo fatto mi sconvolse e lo raccontai nelle pagine del libro "Credere e curare" (Einaudi 2005, ndr). L'idea di porre fine alla vita di una persona - anche se questa persona ha un destino "segnato" e un'aspettativa di vita che sarà necessariamente caratterizzata da grandi sofferenze -, ecco, io sinceramente questo passo non riesco ad accettarlo. E non credo che riuscirò mai a farlo. Ci sono due film molto belli e toccanti su questo argomento. Uno è Million dollar baby, che ho visto proprio in occasione del colloquio con il card. Martini. L'altro l'ho visto più recentemente, poche settimane fa, dopo la drammatica vicenda di Piergiorgio Welby: è Mare dentro di Alejandro Amenábar. Sinceramente non volevo vederlo perché sapevo che mi avrebbe turbato. In ogni caso credo che rispetto alla discussione intellettuale che noi possiamo fare in ogni momento seduti comodamente su una poltrona, dovremmo veramente capire che un conto è il ragionamento astratto, un conto è il dramma che sconvolge la vita di tutti i giorni, e pervade ogni secondo e ogni pensiero di chi si trova ad affrontare personalmente situazioni di questo tipo. E allora, mentre io non avrei nessun dubbio a giudicare colpevole di omicidio chi esegue una condanna a morte, ho sinceramente delle perplessità a giudicare colpevole chi può arrivare ad aiutare a morire una persona - a cui è legata da un affetto straordinario - a fronte di una situazione talmente drammatica da essere divenuta insostenibile.

Con tutto ciò io personalmente non me la sentirei né di eseguire un gesto del genere, né di approvare una legislazione che lo consentisse esplicitamente. Anzi, contrasterei fermamente una legislazione che mirasse a depenalizzare l'eutanasia o il suicidio assistito. Ancora una volta mi trovo a camminare in un territorio di ricerca e di dubbio.

D: A volte si ha l'impressione che questa difesa "a tutti i costi" della sopravvivenza fisica sostenuta soprattutto in ambito cattolico sia dominata da un concetto di "vita" esclusivamente clinico e materialistico, nel quale vengono trascurate le dimensioni relazionali e spirituali. Anche il card. Martini afferma: "È importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all'uomo". Non c'è qualcosa di radicalmente "anticristiano" in una difesa della vita "ad oltranza" che prescinde da qualsiasi altro fattore?

R: Ne sono convinto. Io - come, immagino, quasi tutti - ho dei dubbi su ciò che siamo realmente e su dove andiamo. Tuttavia credo anche che il messaggio cristiano sia profondamente vero, per quanto riconosco il limite della mia mente e delle mie capacità di comprensione. Ci sono delle cose sulle quali non riesco ad arrivare con il ragionamento, e che non riesco a investigare fino in fondo: sento quindi la frustrazione, il senso del limite della mia capacità di capire. E al tempo stesso ritengo che se crediamo in una "trascendenza" della vita, un approccio "materialistico" non può interpretare il messaggio cristiano. Quando si affrontano i discorsi cui abbiamo fatto cenno prima, io a volte mi trovo a dire - capisco che può suonare provocatorio - che per un credente dovrebbe essere più semplice accettare la fine della vita, perché quello non è in realtà il momento della fine. Anzi, dovrebbe essere il momento del principio. Mi hanno colpito molto due cose che mi ha insegnato proprio il card. Martini. Io non ho una conoscenza dei testi sacri così approfondita, ma il card. Martini mi ha spiegato che da nessuna parte della Bibbia si trova una difesa assoluta della vita in quanto ‘vita fisica'. Invece - come lui stesso ha sottolineato - vi è una difesa assoluta del "trascendente" e della dignità dell'uomo. E poi c'è questo bellissimo passo di San Paolo nella prima lettera ai Corinzi: "ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto" (1Cor 13,12).

La mia è una fede che su tutti questi argomenti si pone continuamente dei dubbi. Ma penso che la maggior parte delle persone che si interrogano, questi dubbi li abbiano. (e. c.)

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