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ROSY BINDI LANCIA LA SUA SFIDA SU FAMIGLIA, LAICITÀ E PARTITO DEMOCRATICO. INTERVISTA

Tratto da: Adista Notizie n° 59 del 08/09/2007

34016. CASCIA-ADISTA. "Sì ad una teologia della e per la famiglia. No ad una ideologia della famiglia": così il presidente del Meic Renato Balduzzi ha concluso la settimana teologica del Movimento svoltasi a Cascia dal 25 al 29 agosto ed intitolata quest’anno "La famiglia tra natura e cultura".

Prima dell’intervento di Balduzzi si erano confrontati, all’interno di una tavola rotonda intitolata "Quali politiche familiari per quale famiglia?", Luciano Corradini, Graziano Del Rio e le due protagoniste dello scontro di quest’inverno sui Dico: Rosy Bindi e Paola Binetti.

Per quanto il tema di una legislazione per le coppie di fatto non sia stato accennato che molto fugacemente, il confronto non ha mancato di evidenziare le diverse posizioni con cui la senatrice teocon e la candidata alla segreteria del Pd guardano alle politiche per la famiglia. "Viviamo in tempi di grande fluidità emotiva in cui ad una riflessione seria sulla coppia si sostituisce spesso un semplice consumismo affettivo", ha dichiarato la Binetti. "Una volta ci si fidanzava più tardi, ci si sposava prima e c’era una maggiore etica della vita affettiva. Le coppie giovani invece non capiscono più cosa significa questo vincolo". Per questo la battaglia da intraprendere è innanzitutto culturale: "Dobbiamo saper proporre ai nostri giovani riflessioni sui valori, sulle tradizioni, sull’importanza della progettualità". Questo è il "vero cuore delle politiche familiari", altrimenti ci limitiamo a semplici politiche di welfare, ad un "sostegno organizzativo" che non può in alcun modo sostituire quella "generosità fatta di gratuità prodotta all’interno della famiglia".

Più "sociale" è invece l’impostazione che ha guidato la riflessione della Bindi. "La politica non può non farsi carico della crisi della famiglia, che è un bene fondamentale per l’equilibrio della nostra società". Ma a questo fine non bastano nemmeno le cosiddette "politiche familiari": "tutte le ‘politiche’ devono andare verso la famiglia, a partire dalla politiche fiscali e le politiche del lavoro". "La precarietà della famiglia, ad esempio, è profondamente connessa alla precarietà del lavoro. Oggi un giovane a 35 anni non può nemmeno contare su se stesso, figuriamoci con quale spirito va a prendersi un impegno verso un’altra persona". "Molte crisi familiari - ha aggiunto il ministro - sono legate alla fatica di essere genitori non avendo a disposizione risorse e tempo da dedicare ai figli".

Su questi temi, sulla sua candidatura alla segreteria del Partito Democratico, e sulla questione cattolica nella politica italiana, abbiamo posto a Rosy Bindi una serie di domande a margine del convegno del Meic. (emilio carnevali)

 

Nel corso della sua campagna elettorale, ed anche del suo intervento di questa mattina sulle politiche familiari, lei ha posto con forza l’accento sul problema della precarietà. È questo uno dei punti qualificanti che distingue la sua piattaforma programmatica da quella di Veltroni?

Considero la lotta alla precarietà come uno degli obiettivi principali del nuovo partito: non possiamo permetterci di buttare via una generazione, come invece stiamo facendo. Soprattutto non possiamo permetterci di tornare indietro rispetto a conquiste sociali costate un secolo di impegno e che le nostre costituzioni avevano recepito. Anche Veltroni ha parlato esplicitamente di lotta al precariato. Ma c’era un passaggio del suo discorso al Lingotto - che poi è sparito nella relazione pubblicata successivamente sul suo sito - nel quale si sottolineava come l’imprenditore abbia il diritto di assumere a tempo determinato; spetta alla comunità - ha sostenuto Veltroni - farsi carico di far diventare quella situazione di vita una situazione ‘stabile’ (attraverso ammortizzatori sociali come il sussidio di disoccupazione, eccetera). Ecco: io credo che il costo del riscatto dalla precarietà lo devono pagare tutti, anche gli imprenditori. Non si può intendere la precarietà del rapporto di lavoro come un incentivo alla crescita, alla produzione e allo sviluppo. Penso anche che non si possa eludere una verifica – serena, laica e pragmatica – della Legge 30, di quali risultati ha favorito e di quali condizioni sociali ha prodotto. L’obiettivo originario della legge, quello che aveva ispirato lo stesso Marco Biagi, era di far emergere il sommerso, creare occupazione, eccetera. Tuttavia, alla luce dei riscontri successivi, credo sia possibile affermare che la legge contenga un eccesso di possibilità che finiscono per incentivare la precarietà. Per questo motivo ritengo sia giusto prendere in considerazione una modifica della legge 30, pur senza utilizzarla per una battaglia ideologica come fa la sinistra radicale lanciando degli ultimatum.

Accanto a questo bisogna mettere in atto politiche - come abbiamo cominciato a fare - che favoriscano l’assunzione a tempo indeterminato, rendendo più oneroso per l’imprenditore il rapporto precario, politiche che promuovano nuovi ammortizzatori sociali e soprattutto che modifichino radicalmente il sistema del welfare. Il nostro sistema è ancora tutto basato sul diritto al lavoro. Da ciò deriva che alcuni diritti fondamentali sono legati al rapporto di lavoro, penso fra tutti alla maternità. Il nuovo welfare deve affrancare o rendere indipendente il riconoscimento e la tutela di alcuni diritti, che sono diritti delle persone dal rapporto di lavoro.

 

In una recente lettera inviata al sindaco di Roma, lei ha denunciato gli "accordi di potere che stanno blindando le liste e i segretari regionali". Prima di lei Furio Colombo aveva ritirato la sua candidatura affermando che non sussistono le condizioni minime perché - senza avere alle spalle un robusto apparato di partito - si possa realmente concorrere nelle primarie del Pd. Insomma, siamo di fronte a primarie effettivamente democratiche o ad una operazione di investitura per acclamazione?

Indubbiamente, da una parte il sistema delle regole e dall’altra la decisione politica dei partiti di sostenere un candidato unico - con delibere nazionali, regionali e provinciali -, sono fattori che hanno reso molto faticosa e difficile la competizione. Presentare una media di 5 candidati in 475 collegi d’Italia, cercare 100 firme, organizzare le liste, tenere i collegamenti non avendo alle spalle la massiccia organizzazione territoriale dei partiti è un’impresa ardua (e come minimo ci si gioca le ferie...). Il regolamento sembra redatto su misura per assecondare un’operazione politica precostituita: a prescindere dal nome che si è deciso di sostenere, i partiti hanno fatto in modo che il segretario dovesse essere eletto non direttamente ma attraverso le liste che lo sostengono. E ciò significa conferire molto potere agli apparati. Nonostante tutte queste obiettive difficoltà, ho creduto fosse giusto provarci. Le persone sono più importanti delle regole e l’entusiasmo che sto raccogliendo, la mobilitazione che si è creata attorno alla mia candidatura, costituiscono dei segnali molto incoraggianti.

 

Il cattolicesimo politico italiano attraversa una crisi molto grave. Da una parte i cattolici impegnati in politica sembrano aver completamente rinunciato alla propria autonomia, dall’altra le organizzazioni laicali sembrano aver perso quella vivacità che aveva caratterizzato - anche favorendo una dialettica interna alla Chiesa - la stagione del post-Concilio fino almeno agli inizi degli anni ‘80. Quali spazi ci sono in questo quadro - sempre che lei condivida una analisi così pessimista - per quella "nuova laicità" di cui ha parlato nel suo discorso di intenti?

Non usiamo la parola pessimismo tra credenti. Credo non sia una buona parola. Certamente le sottolineature che lei ha fatto sono condivisibili, nel senso che siamo più preoccupati di non far parlare i vescovi di quanto non siamo preoccupati di assumerci la nostra responsabilità di laici, sia dentro la Chiesa, sia - da laici cristiani - nella società, nella cultura, nella politica. Io sono profondamente convinta che la fecondità dei cattolici nella vita pubblica di un Paese dipenda anche molto dall’alimento spirituale, formativo, pastorale che si riesce ad avere nella propria Chiesa. Anche la "nuova laicità" non potrà che alimentarsi in un clima ecclesiale che punti davvero all’essenziale, all’essenzialità della fede. E dunque io auspico una Chiesa decisamente impegnata a dare un nuovo fondamento alla laicità e quindi alla democrazia e alla politica.

Ma ci sono molte cose che possiamo fare anche in assenza degli strumenti che desidereremmo. Considero la laicità un valore autentico dei credenti: un vero credente non pensa mai di possedere la verità; cerca invece di essere posseduto dalla verità e come tale è pronto a cercare la verità con tutti gli altri. Al tempo stesso credo che chi è davvero credente non potrà mai accettare che il proprio Dio sia imprigionato dentro un progetto culturale, una religione civile, un soggetto politico.

Per i cattolici il Partito Democratico può essere un grande banco di prova delle loro capacità di dialogo nella società, ma anche dell’autenticità della loro fede.

Per questo ritengo sia necessario lavorare su tutti e due i fronti: costruire un partito davvero laico e contribuire ad un clima ecclesiale diverso, più partecipato e più vivo.

 

Come risponde a chi sostiene che ormai non vi è più posto per i cattolici nel centrosinistra e nel Partito Democratico e che dunque è ora di favorire un processo di riaggregazione fuori dagli schieramenti? Penso a tutto ciò che negli ultimi mesi, complice l’estrema fragilità del governo e le pulsioni neocentriste presenti anche all’interno dell’Ulivo, si è mosso attorno a Pezzotta e alla galassia del Family Day...

Io di solito porto l’esempio della Carta costituzionale. Noi abbiamo una delle migliori costituzioni del mondo, nella quale - tra l’altro - è presente in maniera evidente la traccia del pensiero politico di ispirazione cristiana. Quella Carta è stata il frutto del dialogo e dell’incontro tra culture ed impostazioni etico-politiche diversissime e per certi versi in contrasto fra di loro. Ciascuna però si è messa in gioco e nel dialogo ha saputo trovare una sintesi in grado di interpretare il pluralismo del Paese gettando le basi per un’autentica democrazia. Oggi ci troviamo di fronte ad una sfida simile. Se i cattolici pensano di stare fuori dai processi politici in atto per ricavarsi un piccolo territorio dove coltivare la loro purezza, non fanno altro che condannare il loro pensiero alla irrilevanza nella vita politica del Paese. Il Partito Democratico è una grande occasione per i cattolici proprio perché rappresenta il terreno sul quale cimentarsi per una nuova sintesi fra culture diverse. Un partito nel quale tante identità e tante culture politiche si confrontano e danno vita ad un soggetto in grado di interpretare il pluralismo della società contemporanea e di restituire alla politica l’autorevolezza per orientare i processi in atto. Se dovesse mancare l’apporto dei cattolici è evidente che quella sintesi sarebbe più povera, e gli stessi cattolici sarebbero relegati nell’irrilevanza. (e. c.)

 

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