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UNA SCOMODA TEOLOGIA

Tratto da: Adista Documenti n° 92 del 20/12/2008

Il “problema Sobrino”, come tutta la vicenda della Teologia della Liberazione, è un capitolo della questione più grande del rapporto tra fede e giustizia, tra proclamazione della fede e lotta per la giustizia. Ma per poterci rendere conto di come mai ci sia un problema dove l’uomo comune vede una ovvia connessione, dobbiamo fare qualche passo indietro.

La questione che da troppi secoli attanaglia la Chiesa cri-stiana può essere definita in questi termini: Gesù di Nazareth è una persona da adorare, venerare, venuta a dirci la verità su Dio, l’anima ed il dopo morte? Oppure è una persona da “seguire”, da “ascoltare”, a cui conformarsi perché questo mondo, da mondo di uomini segnati dall’Ingiustizia e dalla Forza (sì, “Forza” alla Simone Weil), diventi “regno di Dio”? Il vangelo è una “dottrina”, un corpo teologico, o un evento della iniziativa di Dio nel mondo, da accogliere perché tra gli uomini rinasca la vita e la speranza?

Per un credente non si tratta di un “aut aut”, ma di un “et et”, perché le due dimensioni si trovano nel Cristo. Dobbiamo però dire che la chiesa istituzionale in genere ha inclinato paurosamente per la prima prospettiva, che permetteva l’organizzazione di un grande apparato di potere dottrinale, giurisdizionale, sacro, che si contrapponeva al comune credente, facendo di lui un mero recettore della sana dottrina.

Dal punto di vista cristologico, la questione a monte si potrebbe porre così: Gesù di Nazareth è solo Dio “fatto carne” o è un uomo? Anche qui il credente decide per un “et et” da quando la questione cristologica, dopo avere impegnato secoli di fede e di riflessione, culmina nel Concilio di Calcedonia (431), dove si dice che il Figlio di Maria è “perfetto in divinità e insieme perfetto in umanità, veramente Dio e veramente uomo, consustanziale al Padre secondo la divinità, consustanziale a noi secondo l’umanità, simile a noi eccetto che nel peccato”. Anche in questo campo la chiesa istituzione si è trovata a proprio agio in una visione che sapeva quasi di monofisismo, quasi che Gesù fosse “principalmente” (se non esclusivamente) Dio. Un Dio che ha dovuto avere carne umana unicamente per poter versare il suo sangue in sacrificio al Dio offeso dai misfatti degli uomini. Questa preferenza, questo gusto, ha portato tanti uomini di chiesa a diffidare di ogni ricerca sul-l’umanità di Cristo, sulla situazione storica, politica, economica del suo tempo, sul clima religioso del secolo che precede la nascita di Gesù e su quello in cui lui visse.

È legittimo chiedersi come mai sia nata questa preferenza di gusto della chiesa istituzionale. Tutto deriva dal “peccato originale” del cristianesimo storico, da quel 313 in cui Costantino cambiò la religione e la speranza dei vinti (la croce) in religione e tronfiezza dei vincitori, l’onere e il rischio di “pascere il gregge di Dio” in onore e ricchezza dei nuovi pastori divenuti funzionari dell’Impero. Da quel momento le guerre dell’imperatore cristiano divennero “guerre cristiane”, e Gesù di Nazareth, amico dei piccoli e dei poveri, divenne il potente Pantocrator che dava autorità e grandezza ai grandi della terra. Da quel momento la chiesa, forse senza neppure accorgersene, diventa realtà “ultima”, fine a se stessa, identificandosi del tutto col Cristo, la salvezza, il “regno di Dio”. Si giunge a dire Extra ecclesiam nulla salus. Lo Spirito di Dio, nel Vaticano II, ha tentato di “redimerci” da quel “peccato originale”, ma senza esiti apprezzabili fino ad oggi. L’ecclesiocentrismo, il gusto di contrapporre la casta sacerdotale al popolo più o meno ignorante, la distinzione netta tra ecclesia docens ed ecclesia discens, cose come queste rimangono e prendono vigore ogni giorno più.

L’esito più esiziale per la fede che discende da quel “peccato originale” e dai gusti anche moderni della chiesa istituzione (da distinguere sempre dalla chiesa-mistero, dal “popolo di Dio” nel suo insieme, che cerca di accogliere in sincerità e pienezza il Cristo), l’esito più esiziale dunque fu una sorta di schizofrenia che è sotto gli occhi di tutti: la fede si restringe a ritenere per vere le sacre dottrine ed a partecipare ad alcune azioni di culto, mentre la vita è lasciata alle leggi del mondo. Così l’Amore annunziato e testimoniato da Cristo smette di essere un elemento che struttura la storia, appunto perché questa diventi il cammino verso il “regno”, per trasformarsi in semplice intervento di beneficenza a favore degli inevitabili “ultimi della terra”. La fede cristiana è ridotta a “crocerossina della storia”, non a perno del suo dispiegarsi. A speranza nell’aldilà, non a costruzione del “regno” fin da ora, in un cammino che avrà il suo esito finale nella partecipazione eterna “alla gioia del Signore”.

Dopo la seconda guerra mondiale il mondo degli oppressi (popoli colonizzati, etnie schiavizzate, nazioni derubate legalmente dalle multinazionali, donne sfruttate, operai senza diritti, contadini privati della terra...) non si contenta più di ubbidire alle leggi, di sopportare e di aspettare con la morte una vita più degna di essere vissuta. Questo mondo reclama giustizia e lotta per la propria liberazione. Nasce allora nella chiesa un problema inedito: può un cristiano partecipare a questa lotta? Può tendere al fine comune della liberazione anche se è a fianco di uomini di buona volontà ma di diversa fede? La Teologia della Liberazione (con Gutiérrez, Boff, Sobrino, Ellacuría e mille altri) dice di sì, ed è a questo punto che diventa “scomoda”. Attenzione: “scomoda”, non eretica, anche se si tenta di farla passare per tale. La Congregazione della Fede elabora due documenti: uno in cui allerta sui pericoli di una tale teologia, l’altro in cui la accoglie.

Come ricorda il vescovo Casaldáliga, Sobrino è uno dei più autorevoli autori della Teologia della Liberazione, e bisognava screditarlo, eliminarlo, prima della Quinta Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Aparecida del 2007. Così fu fatto, tentando di farlo passare per eretico. E questo più sull’onda di quello che la gente semplice avrebbe percepito dai mass media che sulla base di precise, inconfutabili accuse.

Come definire il libretto che presentiamo? Lasciatemelo dire con le parole con cui nel 1960 un celebre teologo domenicano, Yves Congar, definiva la sua opera agli occhi della curia romana. Per essa - diceva - quanto ho scritto è una “tarasca”. La tarasque è un animale pericolosissimo, astuto, velenoso, assassino, anche se a molti è sconosciuto. Solo che questo animale non esiste. Come per dire: attribuite a me una vera pericolosità, ma il Congar pericoloso è una vostra mera invenzione, non esiste, perché io ho scritto altro.

Il nostro fascicolo è la dimostrazione chiara che il Sobrino della Notificatio è una “tarasca”. Pagina dopo pagina esso tenta di far toccare con mano, anche ai non esperti, che il Sobrino-eretico o in “odor di eresia” non esiste. Sarebbe pericoloso se esistesse; ma non esiste. Afferma ancora che i due volumi di Jon Sobrino - Gesù Cristo liberatore. Lettura storico-teologica di Gesù di Nazareth e La fede in Gesù Cristo. Saggio a partire dalle vittime - rimangono due opere scritte con la fede del credente, la passione dell’uomo che si indigna per l’ingiustizia istituzionalizzata, la compassione di un gesuita che tenta di guardare le vittime del sistema con gli occhi di quel Cristo di cui si è fatto “compagno”. La teologia di Sobrino è certamente “scomoda” perché giunge a far pensare che oggi i poveri, i crocifissi della storia sono un autentico luogo teologico che ci apre alla verità del vangelo e ci fa comprendere il messaggio di Gesù di Nazareth. Extra pauperes nulla veritas: se non ci mettiamo dalla parte dei poveri non capiamo niente di Gesù.

Concludendo, ritengo di poter dire che oggi, se vogliamo uscire da questo stato di paura endemica che provoca guerre infinite e preventive, se vogliamo un futuro per i nostri figli che sia degno di questo nome, dobbiamo riconsiderare il destino degli “esuberi”, dei rifiuti umani e dei rifiuti urbani che fino ad oggi abbiamo prodotto. Da parte sua la chiesa (e noi in essa, e noi essa) è chiamata oggi a rendersi conto che il cristianesimo è salvezza, redenzione, liberazione dell’uomo concreto, non solo dal peccato personale ma anche dalle “strutture di peccato”. Senza questa dimensione, il Maestro di Nazareth diventa incomprensibile, “altro” da quello che Lui ha proclamato di essere. Sì, se non si parte dalle vittime, la verità cristiana diventa evanescente, una sorta di gnosticismo innocuo ed inutile; l’“avvenimento del regno” si dissolve in una magnifica, impressionante, dottrina su Dio e le cose divine che lascia però Dio in cielo ed annulla ogni possibilità di pace sulla terra. E questo non è certo l’esito che ogni uomo di buona volontà si aspetta dal futuro.

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