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CHIESA E TRIBÙ

- IL RUOLO DELLA CHIESA E DELLE POTENZE COLONIALI NELLA GENESI DEL GENOCIDIO HUTU-TUTSI IN RWANDA.

Tratto da: Adista Contesti n° 2 del 03/01/2009

Questo articolo, di Emmanuel M. Katongole, prete ugandese, e di jonathan Wilson-hartgrove, è stato pubblicato sul  magazine statunitense di fede, politica e cultura “sojourners” (gennaio 2009).  Titolo originale: “the pattern of the world”

 

Se leggete le riviste o i libri di testo dei missionari cattolici negli anni '80, il Ruanda è spesso presentato come un modello di evangelizzazione in Africa. In nessun'altra parte del Continente il cristianesimo è stato ricevuto così bene. La crescita della Chiesa era senza precedenti. I seminaristi statunitensi studiavano il Ruanda, chiedendosi se le stesse strategie potessero funzionare anche in altri Paesi per diffondere la buona novella di Gesù Cristo a chi ancora viveva nelle tenebre.

Ma nel 1994 una tenebra senza precedenti calò sul Ruanda. Il Paese più cristianizzato dell'Africa divenne teatro del suo peggior genocidio. I cristiani uccisero altri cristiani, spesso in quelle stesse chiese dove celebravano insieme. Perciò, questa non è una storia di gente strana in un posto lontano. È qualcosa che è accaduto nel corpo di Cristo, di cui siamo membri. Il Ruanda è molto più vicino a Roma e a Washington di quanto vogliamo pensare.

La crisi del cristianesimo occidentale si riflette sulla Chiesa nei corpi spezzati dei ruandesi. A dirla tutta, la sola speranza per il nostro mondo dopo il genocidio in Ruanda è un nuovo tipo di identità cristiana per il corpo globale di Cristo. La missione della Chiesa è quella di essere una comunità nuova che testimonia il fatto che in Cristo c'è una nuova identità, un unico popolo di “uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (Ap 5,9).

Durante il genocidio, ascoltavo la Bbc. I presentatori parlavano degli Hutu e dei Tutsi come di due “tribù” e deprecavano che degli “odi ancestrali” e “ostilità secolari” si fossero riaccesi e avessero portato ad un genocidio. Agli europei e agli americani piace parlare di tribù se si parla di Africa. Ma questo linguaggio non serve a capire che costa sta succedendo, perché mistifica la realtà dell'Africa.

Per secoli, il regno del Ruanda è stato organizzato sotto la guida di un mwami, di un re. Il mwami e tutti i suoi sudditi parlavano la stessa lingua, e amavano la stessa musica, danze, cibo e storie. All'interno del regno c'erano tre gruppi di persone: gli Hutu, i Tutsi e i Twa. Anche se questi gruppi finirono per configurare una gerarchia economica, la loro origine stava in una fondamentale divisione del lavoro.

Sotto il mwami c'erano tre capi. Il capo militare poteva essere tanto un Hutu quanto un Tutsi. Il capo dei pascoli era normalmente un Tutsi, mentre il capo dell'agricoltura era un Hutu (i Twa, che erano un piccolo gruppo, raramente avevano ruoli di potere). Come Caino e Abele nel racconto biblico della creazione, Hutu e Tutsi erano due fratelli che si erano divisi i compiti di coltivare la terra e di curare il bestiame. Poiché le mucche erano il principale simbolo della ricchezza, i Tutsi, che erano molto inferiori di numero, avevano un discreto potere economico.

Tra Hutu e Tutsi c'erano differenze economiche, ma si trattava di categorie fluide che avevano a che fare piuttosto con la discendenza familiare e le distinzioni di classe. Anche se i Tutsi tendevano ad essere più ricchi, e a possedere più bestiame, un Hutu poteva scambiare il raccolto con degli animali e diventare un Tutsi. Allo stesso modo, i Tutsi potevano perdere il loro bestiame, oppure fare un “matri-monio al ribasso” e diventare Hutu. Nella storia pre-coloniale del Ruanda, non si è mai registrata violenza tra Hutu e Tutsi in quanto tali.

Quando gli Europei arrivarono in Ruanda durante la loro cosiddetta Era delle Esplorazioni nel XIX secolo, portarono con loro l'idea della razza. La distinzione tra Hutu e Tutsi, che era un sistema fluido di rapporti complessi, si trasformò rapidamente in una serie di semplicistiche categorie razziali, che definiva la minoranza Tutsi come superiore e la maggioranza Hutu come inferiore. Per come raccontavano la storia gli europei, questi due gruppi erano “razze” che erano esistite da sempre. Con il tempo, i Tutsi invasero la terra degli Hutu e organizzarono la complessa civiltà che gli Europei trovarono nella regione. La stessa “scienza” che veniva usata per giustificare la schiavitù veniva adoperata per misurare la larghezza del naso e calcolare l'altezza media, così da dimostrare la superiorità dei Tutsi. Il tutto non era altro che antropologia europea della peggiore specie, e i missionari occidentali la accettavano senza fare domande.

Dopo la prima guerra mondiale, il Ruanda cadde sotto la dominazione belga. Con l'aiuto della solita storia – i Tutsi erano dei “leader naturali” e gli Hutu erano inferiori – governanti e missionari si impegnarono per fare del Ruanda uno Stato moderno, civilizzato ed efficiente. I belgi trascurarono l’antico sistema dei tre capi e decisero che ogni capo doveva essere un tutsi. Gli Hutu furono costretti ad un “lavoro comunitario” da cui traevano benefici soprattutto i governanti Tutsi.

Intanto, nascevano delle scuole europee per educare i futuri leader. La maggioranza di queste scuole era gestita da missionari cristiani, ma solo i bambini Tutsi venivano invitati a sentire la buona novella di Gesù Cristo e a ricevere la luce dell'istruzione.

Il Rwanda iniziò ad emettere carte di identità nel 1933, e in questo modo rafforzò ulteriormente le identità di Hutu e Tutsi. Quello che un tempo era stato un ruolo sociale, e poi una categoria razziale, diventava ormai una parte essenziale dell'identità di ogni ruandese, fissata nel tempo da un pezzo di carta che diceva a ciascuno chi era.

Il cristianesimo missionario fece parte di questa più ampia storia della modernizzazione del Ruanda. La Chiesa non ne scrisse il copione, ma lo accettò e lo trovò, in effetti, esaltante. I leader della Chiesa si videro come attori di un progetto di modernizzazione, e lo aiutarono ad avere successo. Invece di sfumare le divisioni tra Hutu e Tutsi, la Chiesa in Ruanda le amplificò, intensificò e propagò. La Chiesa ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo di una società in cui una minoranza Tutsi governava su una maggioranza Hutu.

Con il tempo, però, le cose cambiarono e la Chiesa ebbe una parte importante anche in questo cambiamento. In Belgio, l'aristocrazia francese aveva governato aspramente sui fiamminghi per generazioni finché, negli anni '50, una rivolta fiamminga portò ad un Belgio separato con governi e sistemi scolastici divisi. L'arrivo in Ruanda come missionari di preti fiamminghi sensibili alla lotta del loro popolo diede l'impulso ad un movimento sociale di liberazione Hutu. Questi preti simpatizzavano con gli Hutu oppressi, che stavano già iniziando a sollevarsi e a rifiutare le ingiustizie che le autorità belghe e i loro clienti Tutsi commettevano nei loro confronti.

Alla fine, ci fu una “rivoluzione sociale” nella quale gli Hutu presero il potere in Ruanda e ottennero l'indipendenza dal Belgio. Molta dell'energia per questa rivoluzione venne dai preti cattolici e dai loro studenti Hutu. Quello che seguì nel 1959 fu il primo massacro su larga scala, 20mila Tutsi vennero uccisi.

Guardando oggi alla storia del Ruanda, ciò che colpisce è come la Chiesa sia stata capace di evidenziare le ingiustizie del sistema coloniale senza metterne in discussione il potere di determinare l'identità delle persone. Non c'è mai stato qualcuno in grado di dire che le categorie razziali di Hutu e Tutsi erano parte della propaganda coloniale. I ruandesi non si liberarono nemmeno delle loro carte di identità. L'essere Hutu o Tutsi era diventato qualcosa di così rigido – di così naturale – che la gente non poteva neppure immaginarsi di poter vivere senza queste categorie.

Una volta che questa immaginazione e queste identità si furono stabilite, il cristianesimo fece poca differenza in Ruanda. Il cristianesimo sembrò poco più di un'aggiunta, un condimento senza conseguenze che non intaccava in maniera radicale le cosiddette identità naturali delle persone. I ruandesi, cristiani o non cristiani che fossero, si facevano dettare scopi e obiettivi di vita da personalità radiofoniche o da politici.

La storia del Ruanda non è diversa dalle storie che hanno formato i cristiani in Occidente. A partire dalla nostra povertà di immaginazione, iniziamo a vedere come le nostre vite possano essere tenute prigioniere dagli schemi di questo mondo.

Pensate, ad esempio, al modo in cui la razza continua a formare la nostra comprensione di chi siano le persone. Quando sono arrivato alla Duke University, dove insegno, le persone del posto mi chiedevano sempre se fossi il parroco della chiesa di Holy Cross. Non era così, ma immaginavo semplicemente che avessero sentito una voce sbagliata o ricordassero male quanto avevano letto sul settimanale diocesano.

Ma visto che la gente continuava a farmi quella stessa domanda, decisi di informarmi su questa parrocchia di Holy Cross. Scoprii che si trattava della storica parrocchia afro-americana di Durham. Quando i cristiani di Durham vedono le mia pelle scura e scoprono che sono cattolico, pensano istintivamente che io faccia parte della parrocchia di Holy Cross. È semplicemente naturale. Certo, sarebbe occasione di scandalo se qualcuno all'università pensasse che io sia un operaio e non un professore per via della mia pelle nera, perché l'autorità negli Stati Uniti ha integrato il resto della società 40 anni fa. Ma il cristianesimo americano è così tribale che continua a pensare che i neri continueranno a “stare al loro posto” e non pregheranno con i loro fratelli o sorelle bianchi o ispanici.

Per me è molto ironico pensare che la maggioranza dei cristiani occidentali attribuiscano il genocidio in Ruanda al tribalismo, nello stesso momento in cui danno per scontate le divisioni tribali nelle loro stesse Chiese, come se fossero semplicemente naturali. Una storia di aborigeni e colonizzatori, a quanto sembra, ha più significato per i cristiani di una storia sui regni di questo mondo e il regno di Dio. Il cristianesimo incoerente è un problema che hanno in comune ruandesi e occidentali.

Queste sono le parole con cui l'apostolo Paolo ha spiegato la chiamata al pentimento di Gesù: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente” (Rm 12,2). Il nostro problema più grave è la povertà della nostra immaginazione. Quindi la nostra trasformazione deve iniziare dal rinnovamento della nostra mente. Ed è di questo che parla la storia cristiana, una nuova lente con cui guardare a noi stessi, agli altri e al mondo. In questo processo, il cristianesimo è chiamato a formare una nuova identità dentro di noi creando un nuovo senso del 'noi', una nuova comunità che si oppone alle nostre solite categorie antropologiche.

Gesù nacque in una storia che diceva che gli ebrei erano i legittimi eredi di Abramo e i samaritani erano una razza mista inferiore. Queste erano le categorie correnti del suo tempo. Nel quarto capitolo del Vangelo di Giovanni, quando Gesù non solo parla alla donna samaritana al pozzo, ma le chiede aiuto, la sua mente non si faceva tenere prigioniera da quella storia che metteva ebrei e samaritani gli uni contro gli altri.

“Credimi, donna - dice Gesù alla donna samaritana - è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori” (Gv 4,21-23). Gesù conosceva una storia diversa su chi siamo e su ciò per cui siamo fatti. Ha parlato alla donna samaritana – e parla a ciascuno di  noi – di un Dio che  ci ama.

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