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WELFARE, DONNE, GIOVANI, IMMIGRATI. LE RIFORME NON FATTE

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 3 del 03/01/2009

Non ha timore di passare per pessimista GiovanBattista Sgritta, Direttore del Dipartimento di Scienze Demografiche alla “Sapienza” di Roma, componente della Commissione d’indagine sull’esclusione sociale. Per lui la situazione è molto difficile e i segnali di speranza, seppure ci sono, sembrano contraddetti da politiche che non introducono vere soluzioni a favore di chi non ce la fa

Questa crisi sarà più grave delle altre perché oggi siamo socialmente una mucillagine, dice De Rita, una popolazione che non riesce a fare massa critica, a compattarsi, a mettersi sottosforzo partendo dal senso di collettività. È così? Perché?

Il nostro Paese è sempre stato carente di senso civico, di coesione. La crisi attuale sarà più dura di sempre, in realtà, perché non abbiamo reali strumenti che possono arginarla, come ci sono in altri Paesi. Noi tutt’al più tappiamo i buchi. Senza un welfare dignitoso, in grado di riuscire a legittimare la ridistribuzione del reddito, molti soggetti non riescono a scampare agli effetti della crisi. Da noi manca questo elemento che tiene insieme un Paese. Altrove le riforme le hanno fatte quando si stava meglio (si pensi all’inserimento del Reddito minimo); da noi no. La nostra ultima vera riforma in questo senso risale al 1978 con l’introduzione del Servizio sanitario nazionale, poi ci siamo fermati.

 

È vero come dice il rapporto Censis che la crisi può essere anche una grande opportunità, ma le difficoltà nascono quando ciascuno pretende di godere fino in fondo delle proprie piccole e grandi autonomie strategiche e tattiche?

Sono d’accordo. Noi non dobbiamo confondere una risposta collettiva con la sommatoria delle risposte individuali. Non facciamoci prendere dall’illusione che vuole che nei momenti di crisi, di disperazione, ci si aiuta di più, si è più disposti a solidarizzare. Penso che purtroppo non sia così. Temo che in questi momenti di crisi la risposta sia un generale incattivimento, il “tutti contro tutti”. Nella disperazione aumenta il conflitto.

C’è solo da augurarsi che non accada quello che in molti temono. Cioè che l’effetto domino peggiori lo stato generale di molte aziende con ulteriori peggioramenti sullo stato dell’occupazione.

 

Tra i segnali che il Censis indica come possibili elementi per uno sviluppo positivo della crisi ce ne sono due che appaiono per lo meno controversi: a) volenti o nolenti siamo diventati una società multiculturale che ci apre ad orizzonti internazionali, b) la cultura femminile sta prendendo piede, nonostante i ruoli dirigenziali delle donne siano ancora di gran lunga quantitativamente marginali.

Può anche essere vero, ma analizzaiamo la situazione. È vero che le donne lavorano di più e che stanno emergendo in ruoli dirigenziali. Ma in realtà prendono “mazzate” da tutte le parti. Rimangono ancora troppo ampie le disuguaglianze (anche in termini di reddito), e non c’è stato in questi anni un reale sostegno alla maternità (cosa che costringe troppe donne a rinunce forzate in tema di lavoro). Nessuno che abbia fatto proposte concrete per invertire questa situazione che poi produce denatalità. I giovani? Non c’è stato un periodo in cui i giovani abbiano studiato e rispettato le regole come questo che viviamo. Con quale risultato? “Mazzate” anche qui, con l’esclusione dei giovani da molti ruoli dirigenziali. Rimangono gli immigrati, che certo hanno la stessa voglia di sviluppo che avevano i nostri padri nel periodo della ricostruzione post-bellica, ma anche loro – come è evidente a tutti – sono costretti a rimanere ai margini della nostra società. Neppure chiamati a esprimere pareri o voti in ordine a provvedimenti amministrativi che li riguardano.

Nessuna speranza allora?

Sono molto pessimista in questo periodo. Perché delle due l’una: o welfare, donne, giovani, immigrati non sono importanti e allora non c’è problema. Ma se lo sono, come io invece penso, l’aver perso l’occasione di fare le riforme giuste quando si doveva ha fatto sì che ora l’Italia ne paghi le conseguenze.

 

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