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IL FUTURO DI DIO STA ARRIVANDO

Tratto da: Adista Documenti n° 5 del 17/01/2009

Il prete dei missionari di Maryknoll Roy Bourgeois è sotto minaccia di scomunica per aver pronunciato un’ome-lia durante l’ordinazione sacerdotale non autorizzata di una donna, organizzata dal gruppo Roman Catholic Womenpriests. Il problema, specialmente per coloro che conoscono questo prete nella sua veste di profeta della pace e della giustizia, è il modo in cui il “caso” di p. Roy verrà gestito dal Vaticano. Non c’è dubbio: la situazione è di grande importanza, tanto per lui quanto per la Chiesa che lo giudicherà.

È importante per p. Bourgeois, perché potrebbe comportare la rottura dell’impegno di una vita. Un uomo che ha dato la sua vita per il Vangelo, che è stato uno dei testimoni più noti della Chiesa nella difesa dei diritti umani, che si è speso nella lotta per condizioni umane migliori e ha segnato la strada per un modello altissimo di sacerdozio, non deve certo finire la sua vita come vittima della coscienza che ha scosso la coscienza di una nazione.

Ma il modo in cui la situazione verrà gestita è altrettanto importante per la Chiesa.

Roy, dopotutto, sta facendo ciò che si richiede ad un cristiano: parla per coloro che sono stati privati del diritto di parola, persegue la giustizia, testimonia l’amore di Dio. Questa è stata per anni la storia di Bourgeois, un uomo che, come missionario in Bolivia, è stato testimone degli effetti dell’addestramento alla Scuola delle Americhe, lanciando l’allarme negli Stati Uniti sulle tecniche di tortura insegnate in questa Scuola con sede a Fort Benning, centro di addestramento militare Usa progettato per terrorizzare i contadini centroamericani in lotta per la difesa dei propri diritti; una sorta di guerra contro l’umanità che gli Usa hanno finanziato e che ha mantenuto al potere molti dittatori.

Le proteste di Roy hanno preso avvio con una manciata di persone e sono arrivate a coinvolgere più di 15.000 dimostranti ogni anno. Grazie a lui, la pressione pubblica per un cambiamento nelle politiche Usa alla Scuola delle Americhe è diventata, negli ultimi vent’anni, uno dei momenti più gloriosi tanto del Paese quanto della Chiesa.

Chiaramente, il coraggio e la credibilità di Roy sono stati messi a dura prova dallo Stato. Egli non resta mai ai margini: in base ai più alti standard sia della Chiesa che dello Stato, è completamente prete e completamente americano.

La verità piena, tuttavia, è che questa storia particolare è inserita in una storia molto più ampia. È la storia del modo in cui la Chiesa, questa volta, affronterà i dolori del parto della coscienza e della consapevolezza che contraddistinguono ogni società in mezzo al cambiamento. La Chiesa si è trovata in questa situazione anche in altre occasioni e le risposte, alla luce giustiziera della storia, non si sono, ahi noi,  sempre rivelate buone.

Non meraviglia che nel discorso inaugurale del Concilio Vaticano II papa Giovanni XXIII abbia detto ai vescovi provenienti da tutto il mondo: la Chiesa si è sempre opposta agli errori riguardo alla fede e, nel passato, lo ha fatto “con la massima severità. Quanto al presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”.

Non era una dichiarazione pietistica né oziosa. Chi in quel Concilio - chi in quella Chiesa - non sapeva che la punizione e l’esclusione erano state il contrassegno della Chiesa per secoli, prima del Vaticano II?

Santi scomunicati punteggiano la storia della Chiesa con troppa regolarità: Mary Ward, il cui peccato fu di fondare una vita religiosa per le donne che non comportava la clausura; Mary McKillop, il cui peccato fu di aprire dei centri cattolici senza il permesso del vescovo; le Beghine, un gruppo di donne belghe che non conducevano vita di clausura, il cui peccato fu di camminare per le strade ed esercitare il proprio ministero nelle case; Teilhard de Chardin, il cui peccato fu di accettare la teoria dell’evoluzione; p. Tissa Balasuriya, il cui peccato è stato quello di cercare nuove vie per trasmettere la dottrina del peccato originale nella cultura asiatica. Sono stati tutti precursori di un’importante trasformazione sociale le cui preoccupazioni sono state non solo ignorate, ma anche punite dalla Chiesa.

Una volta che si è depositata la polvere, tuttavia, nessuno ha più ricordato chi avesse scomunicato i santi che esploravano una nuova Chiesa, ma tutti hanno conservato memoria dei santi. E tutti sono arrivati a credere in ciò che i santi avevano cercato di insegnare.

Anche i riformatori che, secoli addietro, avevano chiesto che si discutesse sulla vendita delle reliquie, sull’uso della lingua vernacolare nella liturgia, sulla revisione di una teologia che divideva il popolo secondo vocazioni “più alte” o “più basse”, sono stati scomunicati. Si sono combattute guerre e migliaia di persone sono morte nel tentativo di imporre l’ortodossia cattolica. Le nazioni si sono divise per conservare il cattolicesimo. Le donne sono state bruciate sui roghi in nome della dottrina cattolica. E, in Germania, per fare un esempio, una donna è stata giustiziata semplicemente perché possedeva una Bibbia in tedesco. E tutto questo veniva compiuto in nome di Dio.

Ma con quale successo? Gli effetti sono dolorosamente evidenti ancora oggi.

Nessuno ricorda i “peccati” dei riformatori. Tutti ricordano il peccato di una Chiesa che ha rifiutato di ascoltare le loro ansie e che se ne sta ancora pentendo con 400 anni di ritardo. E le cose per cui i riformatori hanno combattuto sono ora, finalmente, parte integrante del cattolicesimo stesso. Tutte quelle vite sono forse andate perdute, e tutte le scomuniche valevano la pena di essere pronunciate? Non impariamo mai?

In realtà chi, al giorno d’oggi, non conosce le leggi della Chiesa pre-Vaticano II che scomunicavano i cattolici che sposavano protestanti, o i “peccati” commessi e confessati dalle famiglie che partecipavano a quei matrimoni? O le scomuniche di chi, per il bene della famiglia, andava a messa con loro in quelle chiese nonostante i divieti? O coloro che, tormentati da una coscienza ancora più esigente, hanno sofferto matrimoni brutali che si sono conclusi con divorzi brutali e poi, con loro grande sgomento, si sono visti negare i sacramenti? Chi ora difenderebbe tutto questo in nome di una più alta fedeltà o obbedienza?

L’interrogativo più doloroso di tutti, però, è questo: è cambiato davvero qualcosa, per quanto Giovanni XXIII possa aver sperato altrimenti?

Oggi la Chiesa, quanto a paura e intimidazione, è palesemente sul punto di tornare ad essere com’era.

Interi gruppi vengono ovunque condannati: Call to Action, Dignity, parrocchie in cerca di una maggiore partecipazione nei processi decisionali, la Women Ordination Conference. Anche coloro che hanno votato Barack Obama si sono sentiti dire da alcuni preti e vescovi che dovevano andare a confessarsi prima di ricevere la comunione. E, ovviamente, anche Roman Catholic Womenpriests è un gruppo scomunicato. Nonostante il fatto che due terzi della Chiesa cattolica Usa approvino l’ordinazione delle donne, la discussione continua ad essere repressa, rifiutata e disconosciuta (sondaggio sui cattolici Usa, Ncr).

La gente, ovviamente, reagisce in modi diversi a questo tipo di Chiesa: alcuni dicono “la si ama o la si lascia”. Altri dicono: “Qualcuno doveva pur farlo e noi siamo con lui, quindi contate anche noi nella scomunica”. Altri dicono: “Com’è che scomunichiamo preti che difendono un maggiore ruolo delle donne nella Chiesa ma non scomunichiamo preti pedofili che abusano dei bambini?”. Alcuni, poi, non dicono nulla, almeno in pubblico. Ma parlano molto in privato: ai loro amici, ai loro preti e, soprattutto, ai loro figli che, di conseguenza, portano con sé la visione di un altro mondo futuro.

Oh certo, l’intimidazione dà i suoi frutti. Per un po’, almeno. Solo 33 religiosi sui 3.000 che hanno firmato una prima petizione a Roma in difesa di Roy Bourgeois, per esempio, hanno apposto la sigla delle loro comunità religiose sulla petizione. Molti altri, invece, hanno firmato e basta. È un segno certo della preoccupazione che le loro comunità vengano punite qualora la loro identità venisse alla luce. Però hanno firmato. Ci credono. Ne parlano. Prendono posizione.

Chi è il vincitore, perciò? Chi obbliga ad applicare le norme o i credenti? Beh, dipende da cosa si intende per “vincere”. La storia parla chiaro: un conto è far rispettare un comportamento, tutt’altro è tentare di incatenare la mente o rendere il cuore schiavo per sempre.

Dal mio punto di vista, ho l’impressione che sia proprio arrivato per la Chiesa il momento di agire con tenerezza, con apertura e con un cuore capace di ascolto. E con la chiara consapevolezza che, proprio come nel passato, il futuro di Dio sta arrivando.

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