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“RISPETTATA LA COSTITUZIONE”: SI SCHIERA CON I GOLPISTI HONDUREGNI IL CARDINALE “PAPABILE”

Tratto da: Adista Notizie n° 79 del 18/07/2009

35123. TEGUCIGALPA-ADISTA. A quanti, dentro e fuori l’America Latina, guardavano al card. Oscar Rodríguez Maradiaga come a un pastore dalla spiccata sensibilità sociale, rimpiangendo che la scelta dei cardinali dell’ultimo Conclave non fosse ricaduta su di lui (che era all’epoca uno dei “papabili”), devono essere apparse quanto meno sconcertanti le sue dichiarazioni in appoggio al governo golpista di Roberto Micheletti.

Dopo una settimana di silenzio (v. Adista n. 76/09), il 4 luglio, mentre l’Organizzazione degli Stati Americani (Oea) votava all’unanimità la sospensione dell’Honduras, l’arcivescovo di Tegucigalpa è infatti uscito allo scoperto leggendo un comunicato della Conferenza episcopale, dal titolo “Edificare a partire dalla crisi”, secondo cui “i tre poteri dello Stato, Esecutivo, Legislativo e Giudiziario, sono in vigore legalmente e democraticamente in base a quanto prescrive la Costituzione della Repubblica dell’Honduras”. Secondo la Conferenza episcopale, il presidente Manuel Zelaya, con la sua iniziativa di consultazione popolare sulla “quarta urna” (cioè sull’opportunità che alle elezioni del prossimo novembre per il rinnovo della presidenza, del congresso e delle autorità locali, si chiedesse al popolo di pronunciarsi anche sulla convocazione o meno di un’Assemblea Costituente), si sarebbe reso “responsabile dei delitti di attentato alla forma di governo, tradimento della Patria, abuso di autorità e usurpazione di funzioni”, motivo per cui, secondo quanto prevede la Costituzione, al momento della cattura “già non svolgeva più la funzione di presidente della Repubblica”.

I vescovi non risparmiano le critiche all’Oea, che, a loro giudizio, avrebbe dovuto prestare attenzione “a tutto quello che stava avvenendo al di fuori della legalità in Honduras e non soltanto a quanto accaduto a partire dal 28 giugno” (il giorno della cattura di Zelaya) e condannare “le minacce belliche” rivolte al Paese (l’accusa è al Venezuela e al Nicaragua). E di fronte alla comunità internazionale rivendicano il diritto di definire il proprio destino “senza pressioni unilaterali di alcun genere, ma nella ricerca di soluzioni che promuovano il bene di tutti”, e respingono “minacce o embarghi di qualsiasi tipo che fanno solo soffrire i più poveri”. “La situazione attuale – conclude il comunicato – può servirci per edificare e intraprendere un nuovo cammino”, come “un nuovo punto di partenza per il dialogo, il consenso e la riconciliazione”.

 

Il “consiglio d’amico” del cardinale

Conclusa la lettura del comunicato, l’arcivescovo ha poi rivolto “un appello all’amico José Manuel Zelaya”, chiedendogli di non venir meno ai tre comandamenti da lui stesso citati il giorno del suo insediamento - “non mentire, non rubare, non uccidere” - ed esortandolo a non rientrare in Honduras: “Un’azione precipitatosa, un ritorno nel Paese in questo momento, potrebbe scatenare un bagno di sangue: so che lei ama la vita, so che rispetta la vita, fino ad oggi non è morto un solo honduregno, per favore, ci pensi, perché dopo sarebbe troppo tardi” (come sia andata è noto a tutti: il governo de facto ha impedito l’atterraggio dell’aereo su cui viaggiava Zelaya, accompagnato dal presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu Miguel d’Escoto, e persino di quello che trasportava i presidenti Kirchner e Correa, e l’esercito ha represso brutalmente la folla che voleva raggiungere l’aeroporto, uccidendo un manifestante).

Per quanto sconvolgente, il messaggio filogolpista della Chiesa - trasmesso ripetute volte alla radio e alla televisione - non giunge del tutto inatteso: la netta opposizione dei vescovi all’iniziativa della consultazione popolare - motivata dai timori, condivisi con l’oligarchia, sul presunto tentativo di Zelaya di introdurre la possibilità della rielezione (negata dall’attuale Carta costituzionale) - non faceva sperare qualcosa di molto diverso. Il giorno precedente al golpe, per esempio, il vescovo ausiliare di Tegucigalpa, mons. Darwin Andino, secondo quanto riportato dall’Aci Prensa, così dichiarava: “Quello che si è verificato in Venezuela sta succedendo in Honduras, è successo in Bolivia e in Ecuador. Io qui vedo in ogni cosa la mano del presidente venezuelano Hugo Chávez e il Paese non può essere consegnato al chavismo e a nessun’altro, perché vogliamo continuare ad essere liberi e indipendenti”.

 

Lo spauracchio della consultazione popolare

Durante il suo governo, Zelaya aveva emanato la Legge di Partecipazione Cittadina, che riconosce la possibilità di consultare i cittadini, in maniera non vincolante, su temi ritenuti di loro interesse. Non diversamente si presentava la consultazione che avrebbe dovuto tenersi il 28 giugno, per dare ai cittadini la possibilità di rispondere sì o no alla domanda: “Siete d’accordo che alle elezioni generali di novembre si installi una quarta urna in cui il popolo decida sulla convocazione di un’Assemblea Costituente?”. In ogni caso, però, poiché il mandato di Zelaya scade a gennaio, e l’eventuale convocazione di un’Assemblea Costituente incaricata di riformare la Costituzione del 1982 si sarebbe necessariamente svolta sotto il governo successivo, la tanto temuta permanenza al potere di Zelaya non avrebbe potuto in nessun modo realizzarsi. Ma, evidentemente, il solo tentativo di introdurre una qualche forma di democrazia partecipativa in un Paese saldamente controllato da appena 13 famiglie appare agli occhi dell’oligarchia – ed evidentemente della Chiesa – come “un attentato alla forma di governo”.

Questo dunque il reato commesso da Zelaya. Ed è questo reato che ha indotto Maradiaga, il cardinale che avrebbe potuto diventare papa, a legittimare il sequestro di un presidente da parte di militari incappucciati e armati fino ai denti, lo stato d’assedio e la sospensione delle garanzie costituzionali, la persecuzione di funzionari, dirigenti sociali, giornalisti, la repressione brutale dei manifestanti, gli arresti illegali, la chiusura di mezzi di comunicazione come la Radio Progreso dei gesuiti; la nomina come ministro consigliere di un noto assassino e torturatore degli anni ‘80, Billy Joya, riparato in Spagna nel 1996 per sfuggire ad un ordine di cattura emesso nel 1995 da un giudice honduregno contro di lui ed altri membri degli squadroni della morte.

 

Un vescovo contro il golpe

Dal coro episcopale filogolpista un vescovo, tuttavia, si è dissociato: è mons. Luis Alfonso Santos, vescovo di Santa Rosa de Copán, che, in un Messaggio della diocesi, ripudia “la sostanza, la forma e lo stile con cui si è imposto al popolo un nuovo capo del Potere Esecutivo”, denunciando il “clima di insicurezza e di paura” scatenato dalla limitazione delle garanzie costituzionali, le detenzioni illegali, la repressione, le espulsioni. “Come Chiesa cattolica nell’occidente dell’Honduras - si legge nel Messaggio - vogliamo ricordare ai 124 deputati del Partito Liberale e del Partito Nazionale responsabili del colpo di Stato che non sono i padroni dell’Honduras e che nessuno può porsi al di sopra della legge. Devono ricordarsi di ricevere il loro salario da questo popolo che stanno opprimendo (…). Hanno preferito essere fedeli ai gruppi economicamente forti, nazionali e transnazionali. Speriamo che alle prossime elezioni il popolo li punisca”. (claudia fanti)

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