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FAUSTO MILLA, L’“ARCIVESCOVO DEI POVERI”

Tratto da: Adista Documenti n° 87 del 05/09/2009

Nel parco centrale di San Pedro Sula nessuno nella moltitudine riusciva a cantare per intero La marcha de la unidad (la canzone, composta da Sergio Ortega ma resa famosa dalla versione degli Inti Illimani, che contiene il celebre verso El pueblo unido jamas sera vencido, ndt) perché non se ne conoscevano tutte le parole. Allora, questo 11 agosto, la si canticchiava in attesa che esplodesse qualche secondo più tardi la frase più conosciuta della canzone. E quando è arrivato il momento molti hanno rivelato di non maneggiare bene la simbologia di sinistra, alzando erroneamente il pugno destro invece di quello sinistro.

Sul palco di questo raduno, senza alzare il pugno ma sostenendo con forza un microfono, con tutte e due le mani, un anziano di 81 anni, honduregno di origini spagnole, alto, pelle bianca segnata dal sole e vestito con una tonaca bianca e una stola rosa, gridava a pieni polmoni, senza alcun complesso: El pueblo, unido, jamás será vencido!

Venendo da un sacerdote e non da un politico navigato, la cosa acquista più rilevanza. Perlomeno così credono gli oltre 10 mila manifestanti che hanno accompagnato padre Fausto Milla - “il pastore dei poveri” lo chiamano qui i suoi fedeli - nell’invasione del centro della seconda città più importante dell’Honduras, San Pedro Sula. La concentrazione si è prodotta nel parco, di fronte alla cattedrale di questa città.

Questo tipo di condotta è ciò che i suoi fedeli apprezzano ed è quanto vogliono fargli sapere. “Qui c’è il nostro arcivescovo, l’arcivescovo dei poveri e non dei ricchi. Fuori Rodríguez Maradiaga, fuori i golpisti!”, ha gridato un uomo dal centro della Terza Avenida, la via che separa il parco centrale della cattedrale, custodita da un centinaio di chepos (poliziotti antisommossa) ai quali tremava la vista di fronte a quel muro di gente.

L’uomo opponeva Milla al cardinale honduregno Óscar Rodríguez Maradiaga, che quasi subito dopo il golpe i simpatizzanti del deposto presidente Manuel Zelaya hanno definito golpista.

Di fronte alla moltitudine infervorata, per calmare gli animi - la gente stava ricevendo le prime notizie sui disordini avvenuti a Tegucigalpa, dove simpatizzanti della Resistenza hanno incendiato un ristorante della catena Popeyes e un autobus, sulla Avenida Juan Pablo Segundo -, Milla alzato la voce e ha detto: “Fratelli, costruiamo la pace e non la violenza. La repressione si combatte e si vince solo con la pace. Qui di fronte a noi non abbiamo le famiglie degli oppressori, non abbiamo alcun cognome famoso. Questi poliziotti sono nostri fratelli, sono López, Ramos, Pérez”, ha detto loro, prima di dare inizio a una messa all’aria aperta, essendo la cattedrale chiusa e custodita dalla polizia.

Milla, insieme a tante altre persone, ha marciato lungo la Terza Avenida alle quattro del pomeriggio. Il prete è partito da Santa Rosa de Copán, di cui è parroco, e sulla strada si è unito a quanti marciavano dalle località di Yoro, Colón, Atlántida, Ocotepeque, Lempira, Santa Bárbara y Cortez.

Prima di loro, erano giunti sulla piazza centrale della città gli abitanti che appoggiano la Resistenza, aspettando i manifestanti, che arrivavano anche da Progreso, Lima e Ceiba, con cibo e con acqua.

 

Il sacerdote rivoluzionario

Fausto Milla si è dovuto nascondere, affermano alcuni simpatizzanti della Resistenza. Il prete, tuttavia, per quanto ammetta di aver ricevuto molte minacce, è sempre stato nella sua chiesa, nella sua regione ricca di cultura indigena, nel suo territorio di contadini.

A partire dal golpe, Milla è stato uno dei più importanti religiosi che hanno criticato – e condannato – “gli abusi” nelle regioni dell’interno e che si sono pubblicamente opposti alla posizione del massimo esponente della Chiesa cattolica, il cardinal Rodríguez Maradiaga.

E la posizione di Milla non nasce in questa congiuntura. Durante gli anni settanta e ottanta, per la sua difesa dei diritti dei contadini indigeni, Milla ha subito la persecuzione dell’esercito honduregno nella sua parrocchia di Corquín, a Santa Rosa de Copán.

Nella sua biografia, elaborata dall’Ong Comunicación Comunitaria, si legge che egli è stato tra i primi sacerdoti a denunciare al mondo il massacro del Sumpul, avvenuto nel Salvador il 14 maggio 1980. Secondo Milla, a questo massacro parteciparono tanto l’esercito salvadoregno quanto quello honduregno.

Oggi, come ieri, Milla insiste sul fatto che la vera Chiesa si trova nel popolo e non nei templi o nelle cattedrali ed è per questo che lui, assicura, difende il popolo. Un popolo che merita la restituzione della sovranità che gli è stata sottratta. “Sono un honduregno di 81 anni. E ho vissuto e visto molte cose, ma nulla di paragonabile a quello che stiamo vedendo tutti questi giorni”, ha detto Milla iniziando il suo intervento.

“Quando c’è disuguaglianza non esiste libertà”, ha aggiunto. “E questo popolo non sta più combattendo una guerra fratricida tra militanti di opposti partiti politici. Questo popolo sta lottando per raggiungere l’uguaglianza, negata da questi oppressori che ora ci hanno rubato quello che più abbiamo diritto ad avere: la sovranità. Sono loro i criminali e non lo dico io, lo dicono gli articoli 2 e 3 della Costituzione: il popolo è sovrano, chi ruba questa sovranità è un traditore della patria, è un criminale!”.

Quindi, alzando la voce, il sacerdote ha lanciato un messaggio che ha ricevuto l’ovazione dei manifestanti: “Mi hanno detto alcuni che hanno partecipato alla redazione di questa Costituzione che ora si pentono di aver scritto l’articolo 3, perché l’articolo 3 chiama all’insurrezione, fratelli, per restituire al popolo la sovranità che in Honduras è stata rubata!”.

La celebrazione è durata altri 30 minuti, perché una pioggia torrenziale è caduta sulla città. E poiché la città non ha canali di scolo, proprio al centro, intorno alla piazza, il fiume di gente a San Pedro Sula ha dovuto affrontare un fiume d’acqua.

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