UN ALTRO SINODO PER L'AFRICA IN VATICANO. MA GLI AFRICANI "NON NE POSSONO PIÙ"
Tratto da: Adista Documenti n° 103 del 17/10/2009
DOC-2198. ROMA-ADISTA. “Ci sono cose che non si possono vedere bene se non con occhi che hanno pianto”. Sono parole che amava ripetere mons. Christophe Munzihirwa - gesuita, arcivescovo di Bukavu (Repubblica Democratica del Congo), assassinato il 29 ottobre 1996 e da allora noto come ‘il Romero d’Africa’ - e che già sottolineavano il grande bisogno di restituire la parola all’Africa, a livello sociale, economico, politico e anche teologico. E proprio con l’obiettivo di “fare da cassa di risonanza al pensiero africano”, in occasione della II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi (4-25 ottobre), si è costituito uno speciale Osservatorio di giornalisti, associazioni e missionari, coordinato dalla Cimi (Conferenza Istituti missionari in Italia) e dall’Ucsi (Unione cattolica Stampa italiana).
Il primo appuntamento dell’Osservatorio, il convegno dal titolo: “Il 2° Sinodo africano: un evento da conoscere e celebrare”, si è tenuto lo scorso 1 ottobre nel cuore di Roma, presso la sede della Provincia a Palazzo Valentini. “Abbiamo ascoltato l’Africa e gli africani”, ha dichiarato soddisfatto p. Alex Zanotelli - missionario comboniano e tra i più convinti sostenitori dell’iniziativa - salutando in particolar modo i relatori africani: Jean-Léonard Touadi, primo africano a occupare uno scranno nel Parlamento italiano, e gli esperti di nomina pontificia al Sinodo, rev. Godfrey Igwebuike Onah, vice rettore della Pontificia Università Urbaniana di Roma, e suor Elisa Kidanè, assistente generale e missionaria comboniana.
Al centro delle 4 ore di interventi, la marginalizzazione del mondo africano dai processi di internazionalizzazione economica e dal dibattito ecclesiastico. Secondo Jean-Léonard Touadi, il primo fallimento della Chiesa in Africa è attribuibile alla diffusione della fede cristiana durante la colonizzazione: “È chiaro che Cristo non ha incontrato l’africano, ma un africano edulcorato, alienato” da una conversione forzata alla lingua, alla cultura e ai costumi europei. Oltre a questo “incontro mancato”, e tuttora in attesa di realizzazione, l’Africa “ufficiale” presenta al Sinodo un bagaglio di fallimenti su tutti i fronti: “ha fallito l’economia ufficiale, si sono arrestati i processi di democratizzazione e la pace ancora non c’è”.
Secondo Touadi, la Chiesa deve riscoprire e alimentare “i nuclei di resistenza e innovazione”, quel fermento autentico, ma “che non fa statistica”, che viene dalle piccole comunità di base e dove la Parola, incarnata nella “Perla Nera”, può finalmente “tracciare degli autentici cammini di liberazione”. “Solo dal basso nasce la speranza”, gli ha fatto eco p. Alex Zanotelli.
Il missionario comboniano ha ricordato poi che l’Africa, consapevole del proprio carico di delusioni e speranze, aveva chiesto a Roma un Concilio ‘per’ l’Africa e ‘in’ Africa, e non un Sinodo, perché “il Concilio ha potere deliberativo mentre il Sinodo ha solo valore consultivo” e non produce dunque risultati innovativi vincolanti per la Chiesa. Ma purtroppo le gerarchie romane – incuranti della lezione dei padri della teologia africana, già esclusi dal primo Sinodo (Jean-Marc Ela, Engelbert Mveng, Meinrad Hebga) – hanno optato invece per un Sinodo nella città di San Pietro.
C’è però una speranza che nasce dalla delusione, ha aggiunto da parte sua Onah: che la centralità strategica di Roma, cioè, possa stimolare una maggiore presenza dei media al Sinodo e così catalizzare maggiormente l’interesse della cosiddetta “comunità” internazionale. L’Africa non ce la fa più ad incassare i colpi di un Occidente vorace e indifferente, ha detto Onah: “Se al posto degli uomini morissero giraffe e scimpanzè, la comunità internazionale si mobiliterebbe”. Eppure, la nascita in Africa di una “frangia radicale” che riscuote consensi tra i giovani disperati dovrebbe indurre ad un cambiamento di strategia: “Se il mondo fa credere ai giovani africani delusi, come già accade in Medio Oriente, che l’unica risposta ai problemi è nell’assalto al resto del mondo – ha sottolineato Onah - a tremare saranno tutti”, “non ci saranno eserciti che potranno fermare questa rabbia”. Proprio per questo – “se non per ragioni umanitarie” – “il Sinodo sulla pace e la riconciliazione in Africa dovrebbe interessare tutti”.
La “rabbia” ha fatto irruzione anche nelle parole di sr. Elisa Kidanè: “Come madri, non ne possiamo più di vedere i nostri figli trattati come zimbelli dai Paesi che sfruttano le nostre risorse e ora ci gettano in mare. Non ne possiamo più dei convegni in cui si parla di noi mentre nelle nostre mense non arriva nulla”.
A trarre le conclusioni del convegno ci ha pensato Alex Zanotelli, ponendo l’accento su tre nodi chiave: primo, la cooperazione internazionale deve “smettere di fare la carità” e operare invece per ristabilire la giustizia internazionale e la pace; secondo, il mondo missionario deve incominciare a preoccuparsi degli immigrati africani che vivono in Italia e che sono oggi vittime delle nuove “leggi razziali”; terzo, la Chiesa, tanto occupata a difendere la vita dell’embrione e del morente, dovrebbe riscoprire un identico afflato nella difesa della “vita di mezzo”, che per la gente d’Africa significa, troppo spesso, miseria, sofferenza e morte nel “silenzio assordante – ha denunciato sr. Teresina Caffi, missionaria saveriana in Kivu-RdCongo – che si leva da questo Paese, dalle Ong e anche dalla Chiesa”.
Pubblichiamo, di seguito, gli interventi integrali di sr. Elisa Kidanè e di Jean-Léonard Touadi, tratti da una nostra registrazione. (giampaolo petrucci)
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