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USA: ASSICURAZIONE SANITARIA SULL’ABORTO ANCHE PER I DIPENDENTI DI ENTI CATTOLICI

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 04/02/2012

36519. WASHINGTON-ADISTA. A partire da giugno 2013, le organizzazioni religiose statunitensi non potranno più esimersi dall’offrire ai dipendenti un’assicurazione sanitaria comprensiva di rimborsi per aborto, contraccezione e sterilizzazione. L’amministrazione Obama, tramite Kathleen Sebelius, segretaria del Dipartimento della Sanità, ha infatti annunciato il 20 gennaio scorso che gli organismi no profit che, per motivi di coscienza, non offrono una copertura per la contraccezione e l’aborto, hanno un anno e mezzo di tempo per “mettersi in regola” con la nuova norma. Una decisione, ha detto la Sebelius, «presa dopo attenta riflessione». «Penso che questa proposta sia il giusto compromesso – ha continuato – tra il rispetto della libertà religiosa e il progressivo accesso ad importanti servizi di prevenzione».

Di diverso avviso il mondo cattolico. «Mai prima d’ora il governo federale ha costretto individui e organizzazioni ad acquistare un prodotto (come un’assicurazione sanitaria) che viola la loro coscienza», ha affermato il card. Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale Usa. Con questa decisione, l’amministrazione Obama ha «tracciato un confine senza precedenti», ha aggiunto, garantendo che i vescovi cattolici continueranno a impegnarsi per «cambiare questa ingiusta normativa» e a studiare «tutte le implicazioni di questa sconcertante decisione».

La nuova norma era stata annunciata nell’agosto 2011: essa prescriveva che le nuove coperture sanitarie, o quelle modificate in modo sostanziale, dovessero prevedere anche il rimborso delle spese per contraccettivi (tutti quelli approvati dalla Food and Drugs Administration oltre ad alcuni abortivi), senza deduzioni né ticket. A potersi sottrarre a questi obblighi erano soltanto le organizzazioni religiose che rispondevano a quattro requisiti: il fatto di avere come finalità la trasmissione di valori religiosi, di avere come dipendenti e come utenti persone che condividono i suoi principi religiosi, e di essere un’organizzazione no profit.

Da agosto, sono stati numerosi gli organismi cattolici - tra cui la stessa Conferenza episcopale, la Catholic Health Association e la Catholic Charities Usa - che hanno contestato queste limitazioni, giudicandole troppo restrittive (con questa definizione, ha commentato p. Larry Snyder, presidente di Catholic Charities Usa, «nemmeno il ministero di Gesù Cristo sarebbe considerato un’entità religiosa»). Ora, l’annuncio della Sebelius arriva come una doccia fredda per gli enti cattolici, mentre è stata ovviamente ben accolta dai gruppi che si occupano di pianificazione familiare e di diritto all’aborto. Dolan ha detto che l’amministrazione si è messa «dalla parte sbagliata della Costituzione». È «letteralmente immorale», ha detto, obbligare i cittadini «a scegliere tra il violare la propria coscienza e rinunciare alla propria assistenza sanitaria»: è un attacco ad entrambe.

E di un attacco alla religione hanno parlato in tanti, all’interno del mondo della sanità cattolica. Secondo quanto riporta National Catholic Reporter (21/1), per suor Jane Marie Klein, presidente della Franciscan Alliance (che gestisce 113 ospedali cattolici) si tratta di «un attacco diretto alla religione e al primo emendamento»; le fa eco Grace-Marie Turner, presidente del Galen Institute, ente no profit di ricerca sulle politiche sanitarie, che ha parlato di «oltraggio alla costituzione e al primo emendamento»; per suor Carol Keehan, presidente della Catholic Health Association «c’è bisogno di un dialogo efficace a livello nazionale su una opportuna tutela della coscienza nel nostro Paese pluralistico che ha sempre rispettato il ruolo delle religioni».

Di certo, con questo provvedimento Obama si è alienato gran parte dell’elettorato cattolico. «Ieri il presidente ha perso il mio voto», ha scritto sul Ncr l’intellettuale cattolico democratico Michael Sean Winters (21/2): «La questione della tutela della coscienza è così fondamentale che non vedo come potrei mai, in coscienza, votare ancora per quest’uomo». Un uomo che, continua, alla Notre Dame University disse: «Dobbiamo trovare un modo per riconciliare il nostro mondo, sempre più piccolo, con la sua sempre maggiore diversità… Dobbiamo trovare un modo di vivere insieme come una sola famiglia». «Presidente - conclude -, la accuso di aver disonorato la sua stessa visione, con questa vergognosa decisione».

Considerazioni condivise anche oltreoceano: «Non soltanto è in gioco la Costituzione americana, ma le carte internazionali dei diritti dell’uomo che hanno avuto ed hanno, tra i punti essenziali, il rispetto della libertà di coscienza», ha dichiarato Carlo Cardia, docente di Diritto Ecclesiastico all’Università Roma Tre, ai microfoni di Radio Vaticana, parlando anche di una deriva verso «una concezione totalitaria dell’organizzazione degli uomini».

 

La Corte Suprema in controtendenza

La misura del governo è arrivata nel momento in cui, per coincidenza, una risoluzione della Corte Suprema appoggiandosi al primo emendamento, ha sancito, con un voto unanime (9-0) l’impossibilità per i lavoratori  religiosi, in caso di licenziamento, di citare in giudizio i loro superiori per discriminazione. La risoluzione faceva seguito al ricorso di un insegnante, licenziato da una scuola religiosa che così facendo aveva violato la legge statunitense sulla disabilità. La Corte suprema ha però dato ragione alla scuola, che ha sostenuto che le sue regole vietano di portare controversie interne davanti a un tribunale. Questa sentenza ha preoccupato non poco le associazioni laiche, facendo ravvisare il rischio che, d’ora in poi, le organizzazioni religiose siano libere di discriminare donne, disabili e minoranze etniche in materia di rapporti di lavoro riferendosi, paradossalmente, proprio al Primo Emendamento della Costituzione Americana, che garantisce a tutti i cittadini la libertà di culto senza interferenze governative negli affari interni ai gruppi religiosi. La Corte Suprema, ha detto la American Humanist Association, ha violato in questo caso il principio che «credenti e non credenti siano tenuti a rispettare allo stesso modo la legge». Con la sua sentenza, «ha approvato la discriminazione religiosa sistematica». (ludovica eugenio)

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