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ENEL, “L’ENERGIA CHE TI UCCIDE”.LE DENUNCE CONTRO IL COLOSSO ITALIANO DELL’ELETTRICITÀ

Tratto da: Adista Notizie n° 18 del 12/05/2012

36672. ROMA-ADISTA. “Dirty business”, affari sporchi, si leggeva su uno degli striscioni esposti durante la manifestazione svoltasi il 30 aprile scorso di fronte alla sede dell’Enel a Roma, in occasione dell’assemblea annuale degli azionisti della più grande società elettrica in Italia (e la seconda in Europa per potenza installata). Che siano affari sporchi quelli dell’impresa italiana, privatizzata nel 1999 e quotata in Borsa, ma ancora pubblica al 31%, ne sono fermamente convinte le oltre sessanta realtà italiane e internazionali aderenti alla Campagna “Stop Enel, per un nuovo modello energetico”: al di là dei suoi messaggi promozionali nel segno della cura dell’ambiente, della lotta al cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile, il colosso italiano dell’elettricità – si legge nell’appello della campagna – è «responsabile di promuovere in Italia e di esportare all’estero un modello energetico insostenibile e obsoleto, aggravato da un atteggiamento autoritario e irrispettoso dei territori locali. Un modello basato su una produzione centralizzata per mezzo di grandi impianti, imposti alle comunità locali e velati da compensazioni economiche elargite ai comuni o ai governi compiacenti. Un modello di produzione finalizzato non a migliorare la qualità della vita dei cittadini e garantirne l’approvvigionamento energetico, ma ad alimentare l’industria estrattiva ed un’economia basata sul saccheggio e sullo sfruttamento illimitato delle risorse». Non c’è proprio nulla di verde, sottolinea la Campagna, in progetti che rischiano di distruggere ecosistemi incontaminati, come in Patagonia o sulle nostre Alpi, che prosciugano falde acquifere ed emettono sostanze dannose per la salute dei cittadini o li espongono a rischi pesantissimi come nel caso della geotermia sul Monte Amiata o del nucleare in Slovacchia e in Russia. E decisamente “sporche” sono le centrali a carbone, che l’Enel continua a costruire – come a Galati, in Romania, o a Porto Romano, in Albania, per non parlare del progetto di riconversione a carbone della centrale di Torre Valdaliga Nord di Civitavecchia –, sfruttando i cosiddetti meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto, che «consentono alle imprese di continuare ad inquinare, assegnando veri e propri permessi di emissione in cambio della costruzione di impianti di energie rinnovabili».

A denunciare il colosso dell’energia come «serial killer del clima» è anche la campagna di Greenpeace “Facciamo luce su Enel”, diretta ad ottenere dall’impresa italiana l’abbandono progressivo dell’uso del carbone, azzerandolo entro il 2030, e la messa a punto di un nuovo piano industriale centrato su un forte investimento sulle fonti rinnovabili. Enel, denuncia Greenpeace, possiede 8 delle 13 centrali a carbone operanti in Italia e intende costruirne almeno altre due, a Porto Tolle (Rovigo) e Rossano Calabro (Cosenza), portando la produzione da carbone, responsabile di oltre il 40% delle emissioni di gas ad efetto serra nel mondo, dal 14% al 20% del totale dell’elettricità prodotta nel nostro Paese. Ma l’Enel non è solo un killer del clima, è «un killer e basta»: secondo uno studio che il Reparto Investigazioni Climatiche di Greenpeace ha commissionato all’istituto indipendente di ricerca olandese Somo, nel 2009 sarebbero state 366, una al giorno, le morti premature riconducibili all’inquinamento prodotto dalle centrali a carbone dell’Enel, con danni sanitari, ambientali ed economici pari a 1,8 miliardi di euro (per aderire alla campagna e unirsi al R.i.c., il Reparto Investigazioni Climatiche di Greenpeace -si può consultare il sito https://fornitori-luce.it/curiosita/facciamo-luce-su-enel/).

L’energia che non ti ascolta

È per denunciare tutto questo, dunque, che il 30 aprile i rappresentanti delle diverse comunità investite dai progetti dell’Enel, durante una conferenza stampa svoltasi in strada, accanto a una grande diga gonfiabile collocata di fronte alla sede dell’“Energia che ti ascolta”, hanno chiesto con forza uno stop alle opere non ancora realizzate, come le dighe nella regione dell’Aysén, nella Patagonia cilena (v. Adista nn. 63 e 94/11, 12 e 15/12), e quelle nei territori mapuche del municipio cileno di Panguipulli, e giuste compensazioni per i progetti idroelettrici già in fase di completamento, come quello di Palo Viejo, in Guatemala (v. Adista nn. 26 e 94/11 e 12/12).

Ma la voce della Campagna è giunta fin dentro l’assemblea degli azionisti, grazie all’iniziativa di azionariato critico condotta dal 2008 dalla Fondazione Culturale Responsabilità Etica (creata a Padova nel 2003 come parte del Sistema Banca Etica; www.bancaetica.it), la quale, con l’acquisto di azioni di Enel ed Eni, si è assunta l’impegno di «portare la voce della società civile e dei movimenti del Sud del mondo nelle assemblee delle più importanti società italiane». Ad accompagnare quest’anno la Fondazione, sostenuta dalla Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, da Greenpeace Italia e da Amnesty International, c’erano mons. Alvaro Ramazzini, già presidente della Conferenza episcopale guatemalteca, e l’attivista colombiano Miller Armin Dussan Calderon, professore dell’Università Surcolombiana. Il vescovo, in qualità di delegato dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, membri dell’Interfaith Center for Corporate Responsibility (una coalizione di 275 ordini religiosi che ogni anno presenta mozioni di carattere sociale e ambientale alle assemblee delle maggiori società americane ed europee; v. Adista nn. 56/10 e 15/11), si è fatto portavoce delle rivendicazioni degli indigeni maya-ixiles contro la centrale idroelettrica di Palo Viejo, presso il municipio guatemalteco di San Juan Cotzal: contrari fin dall’inizio al progetto, ormai quasi ultimato, gli indigeni esigono dall’Enel almeno un giusto risarcimento, pari al 20% dei profitti derivanti dalla centrale, per i danni arrecati ai fiumi e alle montagne della regione che essi abitano da migliaia di anni.

Miller Armin Dussan Calderon, presidente di Assoquimbo, associazione dei comitati locali colombiani che presidiano il territorio contro la costruzione della diga Enel di Quimbo in Colombia (v. Adista n. 12/12), ha denunciato invece l’impatto devastante di un’opera che provocherà l’allagamento di più di 2.000 ettari di terre fertili, la cancellazione delle vie di comunicazione che collegano le comunità, lo sfollamento di quasi 1.500 persone e la perdita di almeno duemila posti di lavoro, con un ritorno economico, per il Dipartimento di Huila, di circa 135 milioni di euro in 50 anni, a fronte di una perdita di 480 milioni di euro per la cessata produzione agricola dell’area inondata (per aderire alla campagna “Stop Enel, per un nuovo modello energetico”, a cui hanno aderito, tra gli altri, A Sud, Attac Italia, Campagna di solidarietà con le Comunità Ixiles del Guatemala, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Centro Missionario Giovanile dei Servi di Maria, Centro studi Juan Gerardi, Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, Pax Christi Italia, si può scrivere a: noenel-adesioni@autistici.org; per seguirne lo svolgimento: www.stopenel.noblogs.org). (claudia fanti)

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