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CRISI RUSSO-UCRAINA: LA CAUTELA DELLA SANTA SEDE

Tratto da: Adista Notizie n° 12 del 29/03/2014

37571. ROMA-ADISTA. Il giorno dopo il referendum con cui gli ucraini di Crimea hanno scelto di confluire nella Federazione russa, lo stesso giorno in cui il presidente russo Putin ha promulgato il decreto che riconosce la Crimea come Stato sovrano (17 marzo), papa Francesco ha ricevuto il greco-cattolico mons. Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della capitale ucraina, Kiev. In un comunicato sull’incontro, Shevchuk ha riferito che il pontefice segue «con molta attenzione quello che sta succedendo alla Chiesa greco-cattolica ucraina e ha assicurato» che la Santa Sede «farà tutto il possibile per la pace nell’Europa Orientale, soprattutto per evitare ogni escalation del conflitto». Il prelato ha confermato al papa che «la missione della Chiesa greco-cattolica ucraina è sempre stata quella di stare con la gente e tra la gente», spiegando così «perché i preti si sono trovati in piazza Maidan con il popolo». Dal canto suo Francesco ha garantito che «alla Chiesa greco-cattolica ucraina non mancherà mai la protezione della Santa Sede».

Giorni prima, il 5 marzo, mons. Sviatoslav Shevchuk, di fronte all’arrivo massiccio delle truppe russe in Crimea, aveva rivolto un appello alle autorità dell’Unione Europea con «la richiesta ferma di non permettere la distruzione del cuore del continente europeo, dell’Ucraina». «Nel nostro Paese – vi affermava – non vi è alcuna discriminazione basata sulla lingua, la nazionalità o la religione. Negli ultimi tre mesi, l‘Ucraina ha dimostrato tutta la sua fiducia nei valori democratici e la nostra scelta per l‘Europa. Il nostro desiderio profondo e sincero è solo per il ripristino e lo sviluppo delle nostre relazioni fraterne con la Russia, in amicizia e in uno spirito di rispetto reciproco». L’Europa non risponda con «apatia», sollecitava, si adoperi con ogni sforzo possibile per «fermare l’aggressione in Ucraina» per mano russa. L’appello terminava con una risoluta convinzione: «Noi crediamo che Dio non è nel potere ma nella verità. E la verità è dalla parte del popolo ucraino».

L’appello di mons. Shevchuk è stato mitigato – nel suo contenuto non dialogante e nella sua decisa ma ovvia parzialità a favore dell’Ucraina e contro la Russia – dal segretario di Stato vaticano card. Pietro Parolin, che l’8 marzo parlando con i giornalisti ha commentato: «È una situazione preoccupante, questo sì. Credo che tutti abbiano rilevato questo aspetto. Ecco, l’auspicio è che ci si possa parlare, come sempre: come sempre, noi auspichiamo che quindi si cerchino soluzioni negoziate. Io credo che in Ucraina si possa cercare una soluzione in cui ciascuna delle due parti possa salvaguardare i suoi interessi e soprattutto salvaguardando i suoi interessi salvaguardare il bene del Paese e della sua popolazione». Alla domanda sulla possibilità di un dialogo tra Santa Sede e Patriarcato di Mosca su questo tema, ha aggiunto: «Credo di sì, che anche su questo punto possiamo parlarci, è quello che noi desideriamo. Se è possibile portare un contributo anche a livello di relazioni interreligiose a favore del bene di quella popolazione noi siamo pronti a farlo e auspichiamo che si possa fare».

Dalla Crimea è giunto l’allarme del vescovo ausiliare della diocesi cattolica di Odessa-Sinferopoli, responsabile per la Crimea, mons. Jacek Pyl, che il giorno del referendum, il 16 marzo, ha affidato tutte le persone e i popoli che abitano la penisola crimeana alla protezione della Madonna, e il giorno successivo, in una telefonata con l’agenzia Sir, ha detto: «Nella situazione in cui ci troviamo abbiamo bisogno di aiuto e supporto spirituale, chiediamo preghiera e digiuno quaresimale. Abbiamo bisogno di un miracolo. Abbiamo fede e speranza che Dio governa la storia e guida anche questa situazione. Per la nostra fede, noi confidiamo nella Provvidenza di Dio, che tutto ciò che avverrà, sarà volontà di Dio e non la volontà di governanti e re». Altrettanto preoccupato il vescovo della città di Sinferopoli, mons. Bronislav Biernacki, che ha dichiarato: «la situazione ora è estremamente pericolosa e noi tutti speriamo che le forze politiche occidentali possano fermare Putin».


Gli appelli del papa: freddini?

Papa Francesco periodicamente rinnova il suo richiamo alla pacificazione in Ucraina. L’ultimo, in ordine al momento in cui scriviamo, è del 2 marzo, quando ha rivolto «un accorato appello alla comunità internazionale, affinché sostenga ogni iniziativa in favore del dialogo e della concordia» e ha chiesto ai presenti in piazza San Pietro per l’Angelus di «pregare per l'Ucraina che sta vivendo una situazione delicata, mentre auspico che tutte le parti si adoperino per una soluzione pacifica». Può darsi che la diplomazia vaticana stia silentemente ma alacremente lavorando in questo senso, ma non si può non constatare un affievolimento della voce papale nella denuncia del rischio di guerra e della sua immoralità; una guerra, quella tra Mosca e Kiev, che, se dovesse verificarsi, avrebbe conseguenze che è meglio non immaginare. Forse il papa sa che la situazione non è grave come si teme e/o confida che la Russia non sia così suicida da mettersi in un vicolo cieco, dato l’isolamento internazionale in cui si trova in questa contingenza; e che dunque ci sia una proporzionalità di intervento da rispettare. Ma la forte iniziativa e le profetiche parole papali nel settembre scorso, quando l’attacco armato occidentale alla Siria sembrava imminente, avrebbero fatto supporre un’azione più incisiva anche in questa crisi.

È però vero che il contesto dei due conflitti – quello mediorientale e quello europeo – è molto diverso, certo da un punto di vista politico e geografico, ma soprattutto per quanto riguarda la realtà religiosa: è un dato storico imprescindibile che nell’Europa orientale l’intreccio di relazioni fra le varie denominazioni ortodosse e fra queste e la Chiesa cattolica abbia costruito, alimentato e determinato il tessuto sociale e politico quale si presenta oggi (v Adista Segni Nuovi n. 19/14). Troppe sono le variabili di cui valutare e calibrare le conseguenze ad ogni passo, per quanto piccolo. Sicché anche per il papa muoversi all’interno di un siffatto paesaggio è un camminare sulle uova.

Osserva in un’analisi (“L’Ucraina e i conti aperti tra Obama e papa Francesco”) su L’Huffington Post e su Limes (13/3) Piero Schiavazzi: «La costituzione di due “Ucraine”, dell’Est e dell’Ovest, affiliate rispettivamente all’Unione russa e all’Unione Europea, sancirebbe (…) una nuova divisione del continente, su base questa volta religiosa e non più ideologica, facendo emergere l’antica faglia confessionale e facendo assurgere l’uniatismo [ucraino], cioè l’incorporazione progressiva di pezzi dell’Oriente cristiano, da concetto religioso a categoria geopolitica, con una mutazione genetica non priva di conseguenze. Il successore di Pietro rischierebbe così di apparire nuovamente il “patriarca d’Occidente”, titolo che gli fu astutamente attribuito nel 450 dall’imperatore bizantino, a fini politici e senza fondamenti teologici, e da cui Benedetto XVI si era liberato dopo 1466 anni, cancellandolo dall’annuario». (eletta cucuzza)

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