Nessun articolo nel carrello

Non ci rassegniamo. Intervista a Yolanda Morán e María Antónia Melo

Tratto da: Adista Documenti n° 16 del 02/05/2015

Tra gli innumerevoli casi di persone scomparse, vi sono anche quelli dei vostri parenti. Qual è la loro storia?

YOLANDA MORAN: Mio figlio Dan Jeremeel, sposato e padre di cinque figli, funzionario di una società di assicurazioni, è scomparso il 19 dicembre del 2008, all’età di 34 anni, in Torreón, città dello Stato del Coahuila. Di lui non abbiamo avuto notizie fino al 4 febbraio, quando la polizia ci informa che un militare, Ubaldo Gómez, era stato fermato alla guida della macchina di mio figlio, con tutti i suoi documenti. Il militare denuncia altri cinque complici, di cui tre vengono catturati: due uomini e una donna che lavorava come dentista. I quattro detenuti vengono trasferiti nella prigione di Torreón, ma, dopo poco, un comando armato entra nel carcere, uccide il tenente e i suoi due complici e dà loro fuoco. Mesi dopo, viene arrestato un altro militare coinvolto, anche lui assassinato in carcere. Nulla si è più saputo riguardo a mio figlio: le autorità sono state incapaci di offrire risposte. Sono sei anni e tre mesi che mio figlio è scomparso e io penso a lui ogni minuto della giornata. È passato molto tempo, ma noi continuiamo a cercarlo. Anche se, nel suo caso, si tratta di militari e tra militari non ci si pesta i piedi. Esiste un fortissimo intreccio tra militari, polizia, crimine organizzato e mafie. Molte autorità, a livello municipale e statale, appartengono in realtà al crimine organizzato.  Questo è il caso di mio figlio, ma siamo qui per parlare a nome di tutte le famiglie impegnate nella ricerca dei propri desaparecidos. 

MARIA ANTONIA MELO: Mio fratello Matusalén Melo Cadena è scomparso il 21 ottobre del 2009, in Torreón, all’età di 27 anni, mentre si recava a lavoro con altri due colleghi, tutti ingegneri agronomi. Durante il percorso, avevano visto un altro loro collega circondato dalla polizia municipale e si erano fermati per capire cosa stesse succedendo. È stato allora che due membri della polizia municipale hanno caricato tutti sul furgone e se li sono portati via. Uno dei ragazzi è riuscito a comunicare con il capo del personale dell’impresa per dirgli cosa stava succedendo. Erano circa le 7.15-7.30 della mattina. Alle sette della sera viene avvisata la moglie di mio fratello. A partire da allora ci rechiamo insieme alle famiglie degli altri ragazzi dal direttore della polizia municipale, dal capo del personale dell’impresa, dal responsabile della Procura di Coahuila: tutti ci raccomandano di non fare denunce per evitare ritorsioni. Potrebbe succedere qualcosa di più grave, spiegano. Giorni dopo, il direttore della polizia ci informa che uno dei ragazzi era stato fermato perché era stato confuso con il narcotrafficante Macho Prieto e che, quando erano arrivati mio fratello e gli altri due colleghi, erano stati presi per complici e portati via anche loro. Non si è saputo più nulla. Ad oggi, nessuno è stato arrestato: i responsabili continuano a vivere come se nulla fosse. A un certo punto sono circolate voci sul fatto che mio fratello o qualcuno dei suoi colleghi erano stati visti, ma, alla richiesta di avviare delle indagini, ci è stato risposto che sono i delinquenti a essere ricercati, non i desaparecidos, oppure che non ci sono abbastanza uomini nella polizia federale. A quel tempo il figlio di Matusalén aveva tre anni. Ma, anche se allora era molto piccolo, si ricorda benissimo di suo padre e ne parla sempre. Quando aveva quattro anni, domandava: «Ma dov’è papà? Perché non mi chiama?». La mamma gli spiegava che si era dovuto allontanare per lavoro. «Ma - diceva lui - perché non mi telefona? Non mi vuole più bene?». Ora è cresciuto, capisce di più, però a volte si sveglia piangendo e chiede di lui, si domanda se è ancora vivo, se riuscirà a scappare, se si saprà qualcosa di quello che gli è accaduto. 

YOLANDA MORAN: È questa la situazione che vivono le famiglie. Il più piccolo dei miei nipoti aveva un anno quando mio figlio è scomparso e ora si chiede perché il padre lo abbia abbandonato. Quando gli si spiegava che era andato a lavorare lontano perché lui potesse studiare e avere tutte le opportunità, lui diceva di non volere niente, voleva solo che tornasse suo padre. La psicologa cerca di spiegargli la situazione, ma nel suo cuore lui non l’accetta. 


In questo quadro, come si sta muovendo il governo? 

YOLANDA MORAN: Da parte del governo non c’è alcun interesse per le famiglie dei desaparecidos. Non esiste alcun programma di sostegno. Si pensa che una visita dallo psicologo risolva automaticamente il problema. Così, si va come mendicanti in cerca di aiuti e di appoggio. Quanto al lavoro di ricerca delle persone scomparse, le autorità non fanno niente: cercano i delinquenti, dicono, non i desaparecidos. Lo stesso vale per il caso di Ayotzinapa: si fa solo finta di cercare gli studenti. Lo ribadisco: il governo messicano non fa nulla per ritrovare i desaparecidos e non fa nulla per aiutare le loro famiglie. Per questo ci rivolgiamo a organizzazioni come Libera: perché facciano conoscere la nostra situazione e spieghino che in Messico i desaparecidos non sono solo i 43 studenti di Ayotzinapa, ma tantissimi di più. Parliamo di 27-28mila persone. Libera ci aiuta a dare visibilità al nostro dramma. E noi chiediamo appoggio anche al popolo italiano, perché eserciti pressioni sul governo del nostro Paese. 


Qual è il vostro giudizio sul governo di Peña Nieto? È vero che la sua popolarità è in calo?

YOLANDA MORAN: Il problema non lo ha creato lui, lo ha ereditato da Felipe Calderón. Peña Nieto, tuttavia, non ha fatto nulla per affrontare la situazione, che anzi continua ad aggravarsi. Da qui il calo di consensi. Molti speravano che egli operasse dei cambiamenti. È stata approvata, per esempio, la Legge generale per le vittime, con la creazione di una Unità di ricerca delle persone scomparse, ma in realtà non ha funzionato, perché non ha abbastanza risorse, né personale sufficiente.

MARIA ANTONIA MELO: Su 27mila desaparecidos, l’Unità di ricerca si occupa appena di 600-700 casi. E per di più non esiste un registro di tutte le persone scomparse. La banca dati su cui si sta lavorando ancora non funziona: le informazioni sono incomplete e molti dei desaparecidos non sono registrati. Un’altra questione è data dalla scoperta di fosse clandestine: a chi appartengono quei resti? Il Servizio Medico Forense ha mandato molti di questi resti alla fossa comune senza averli prima registrati, con informazioni e foto. Questo complica ancor di più le cose. 

YOLANDA MORAN: È una vergogna che il governo messicano abbia in pratica accusato le Nazioni Unite di mentire. Il 4 febbraio, a Ginevra, il Comitato contro la sparizione forzata delle Nazioni Unite ha presentato un rapporto da cui emerge l’esistenza di sparizioni generalizzate nel Paese. Eppure il governo messicano risponde che non è così. E se è questo che il governo risponde alle Nazioni Unite, cosa possiamo aspettarci che dica a noi? 


È cambiato qualcosa nella società messicana dopo i fatti di Ayotzinapa e le massicce mobilitazioni che li hanno seguiti? 

YOLANDA MORAN: Solo in parte. A mobilitarsi, attraverso le reti sociali, sono i giovani, gli studenti, le scuole, le università. La notizia ha fatto il giro del mondo proprio perché si è trattato di studenti. Ma il problema è più grande, tanto, tanto più grande. Noi vorremmo che fosse il popolo messicano nel suo complesso a mobilitarsi a favore di questi 43 e di tutti gli altri. Ma la società è apatica e timorosa. E la paura paralizza, soffoca. Eppure dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo reagire e costringere le autorità a risolvere la situazione.Tutti noi, ciascuno con il proprio dolore, ci siamo uniti per costituire un gruppo che abbiamo chiamato Forze unite per i nostri desaparecidos del Messico, un movimento costituito solo da famiglie impegnate nella ricerca dei figli e parenti scomparsi e decise a premere sulle autorità perché facciano qualcosa: non riceviamo alcun finanziamento, siamo noi a sostenere tutte le spese. L’unica cosa che vogliamo è che si sappia cosa avviene in Messico e si dica al mondo intero che tutto quello che dice il governo è finzione e menzogna. Il governo non vuole che escano informazioni negative sul Paese. Tutto deve essere bello, in maniera che si incentivi il turismo.

MARIA ANTONIA MELO: Nel caso di mio fratello, ci siamo rivolti anche all’allora presidente della Repubblica, Felipe Calderón, il quale si è limitato a rispondere: «E che ci faceva Matusalén da quelle parti?». Questa è stata la sua risposta. Oggi i casi di scomparsa forzata sono addirittura aumentati. E i mezzi di comunicazione stanno ancora più zitti. Del resto, la maggior parte dei mezzi di comunicazione viene repressa. 

YOLANDA MORAN: I giornalisti vengono assassinati costantemente. El Siglo de Torreón, per esempio, subisce attacchi, intimidazioni, sequestri. E questo avviene in tutti gli Stati.


Nessun partito sembra in grado di fronteggiare tale situazione. È utile allora andare a votare? Che pensate del Morena, il nuovo partito di opposizione guidato da Andrés Manuel López Obrador?

MARIA ANTONIA MELO: Non vedo in Morena alcuna prospettiva di cambiamento. Quelli che ne fanno parte sono gli stessi che prima hanno militato nel Pri (il Partito Rivoluzionario Istituzionale ininterrottamente al potere per 70 anni e tornato al governo nel 2012, dopo un’assenza di 12 anni, ndt) e che non hanno mai fatto nulla per migliorare la situazione. L’unica cosa a cui aspirano è il potere. Non perseguono gli interessi del popolo.

YOLANDA MORAN: Non c’è nel Paese alcun leader in grado di promuovere il cambiamento. López Obrador è convinto di esserlo, ma ha un carattere molto volubile, non credo che possieda le caratteristiche per operare una trasformazione del Paese. 

In che modo si può allora cambiare la situazione? Da dove nasce la speranza?

MARIA ANTONIA MELO: Bisogna cominciare a garantire l’applicazione delle leggi. Le leggi esistono, ma non vengono applicate. Per questo il tessuto sociale è così disgregato. Si può rubare, si può aggredire, si può uccidere, si può sequestrare e nessuno viene punito. Basta pensare al caso di mio fratello: sappiamo chi è stato, abbiamo le prove, eppure non succede niente. Se si cominciasse realmente ad applicare la legge, se esistesse la certezza della pena, le cose cambierebbero. Inoltre, Il governo messicano non bada a noi, ma a quelli che vengono da fuori sì. Per questo il lavoro di Libera ci dà speranza. Le pressioni internazionali sono per noi di importanza fondamentale. 

YOLANDA MORAN: Un altro segno di speranza è dato dall’unione tra le diverse organizzazioni. Quest’anno terremo anche un incontro nazionale, allo scopo di unire le forze per esercitare pressioni congiunte. Come madre, poi, la mia speranza è quella di trovare mio figlio. Le autorità ci hanno avvertito di quello che fa il crimine organizzato: non troveremo mai i corpi, ci è stato detto, perché questi vengono cancellati, carbonizzati, sciolti nell’acido. Ma noi abbiamo fede in Dio. E non rinunciamo alla speranza di trovarli. Sappiamo di casi in cui qualcuno è riuscito a scappare o è stato liberato e sappiamo che esistono campi di concentramento in cui le persone sono obbligate a lavorare. Noi li vogliamo vivi, perché “vivos se los llevaron y vivos los queremos”. 


In questo quadro, che ruolo gioca la Chiesa cattolica?

YOLANDA MORAN: La nostra organizzazione deve moltissimo a don Raúl Vera López, vescovo di Saltillo, e al Centro diocesano fray Juan de Larios. Con tutto ciò che abbiamo descritto - il senso di frustrazione, il fatto che non conoscono neppure il nome di tuo figlio eppure, quando vai a denunciarne la sparizione, già lo trattano come delinquente e ti criminalizzano - è solo la fede e il sostegno di don Raúl a tenerci in piedi. Chiunque si avvicina a lui trova aiuto e protezione. È sempre lì, presente, pronto a consolare e a dare appoggio.  


E gli altri vescovi?

MARIA ANTONIA MELO: Non sono come don Raúl. Come lui ve ne sono assai pochi. Mio padre si è rivolto a un prete perché celebrasse una messa per mio fratello e il prete gli ha risposto: «Chissà in quali loschi affari era coinvolto tuo figlio». 

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.