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Quel modello estrattivista che avvelena il mondo. Dossier Caritas per la Giornata del creato

Quel modello estrattivista che avvelena il mondo. Dossier Caritas per la Giornata del creato

Tratto da: Adista Notizie n° 30 del 12/09/2015

38236 ROMA-ADISTA. Con un dossier sulla cura del creato e sullo sfruttamento dell'ambiente, dal titolo “Ecologia integrale” che richiama da vicino l'enciclica di papa Francesco Laudato si', la Caritas Italiana ha salutato la X “Giornata per la Cura del creato”, indetta dalla Conferenza episcopale italiana e che si celebra oggi. Il documento, reperibile sul sito della Caritas, seguendo una prassi ormai consolidata, riporta dati statistici e testimonianze, e centra l'attenzione su un focus specifico, la Repubblica del Congo (Congo Brazzaville), dove – si legge nel comunicato dell'organismo cattolico (31/8) – si assiste all’«avvelenamento di ambiente e persone ad opera delle compagnie petrolifere»: una situazione emblematica, «specchio di un modello di sviluppo globale insostenibile, ingiusto, violento».

Nell'introduzione al dossier, i curatori – Francesco Soddu, Angelo Pittaluga, Fabrizio Cavalletti e Paolo Beccegato – sottolineano l'importanza prioritaria della questione ambientale a livello globale: «Il progressivo deterioramento dell’ambiente naturale in cui viviamo, l’aumento vertiginoso dell’inquinamento globale, il preoccupante fenomeno del surriscaldamento globale e le conseguenze, visibili e innegabili, di questi fattori (siccità, desertificazioni, acidità dei mari e dei suoli, disastri ambientali) ci costringono a prendere sul serio l’argomento». È in gioco la vita del pianeta e di chi lo abita, si legge ancora, al punto che – come suggerisce l'enciclica “verde” del papa – si richiede urgentemente «una conversione ecologica globale», che coinvolga tanto gli stili di vita delle singole persone quanto i modelli economici e produttivi. Inoltre, alla questione ambientale, ricordano i curatori sempre con lo sguardo puntato sulla Laudato si', si collega strettamente quella sociale, in un rapporto di stretta correlazione tra modello di devastazione ambientale e modello di sopraffazione e sfruttamento dei popoli.

Il dossier supera il concetto di “questione ambientale” per approdare a quello di “emergenza ambientale”, parla di catastrofi e di futuro a rischio. Un linguaggio che può «apparire eccessivo o catastrofico», ma che è pienamente corroborato dai dati: 8.835 disastri tra il 1970 e il 2012 che hanno provocato la morte di quasi 2 milioni di persone. Numeri che fanno rabbrividire. Ma il «dato più significativo riguarda la crescita progressiva e costante di tali disastri», che tra l'altro raddoppiano ogni 10 anni.

Il dossier sottolinea che «l’aumento dei disastri naturali deriva dall’azione umana sull’ambiente – attività antropica – e si accompagna proporzionalmente all’aumento dell’inquinamento a livello globale e all’approccio sempre più aggressivo dell’essere umano nei confronti dell’ambiente naturale, in particolare nel settore dell’industria estrattiva». Attraverso metodi di reperimento di idrocarburi e materie prime come il fracking, lo spianamento di montagne, lo sfruttamento delle sabbie bituminose, la distruzione delle foreste vergini ecc., «l’industria estrattiva sta colpendo duramente soprattutto nei Paesi del Sud del mondo», dove la devastazione e le stragi «fanno meno notizia».

Insomma, quella della Caritas è una condanna senza appello: «Un sistema economico improntato alla massimizzazione del profitto a breve termine, senza considerazioni etiche sulle conseguenze per l’ambiente naturale e la salute umana», produce conseguenze disastrose, «come il surriscaldamento globale, l’acidificazione degli oceani, la perdita di foreste tropicali, lo scioglimento dei ghiacciai perenni dell’Antartide e della Groenlandia». E l'esito, già oggi sotto gli occhi di tutti, appare nefasto: aumento delle malattie, aumento delle guerre per l'approvvigionamento delle risorse idriche sempre più scarse, aumento delle migrazioni climatiche, ecc. Tutti fenomeni che, sottolinea ancora una volta il dossier, colpiscono maggiormente i Paesi poveri, privi di infrastrutture capaci di attutire l'urto delle emergenze e ben più dipendenti dagli umori dell’ecosistema. «In ogni caso – ammonisce la Caritas – se i livelli di inquinamento e di consumo continueranno al ritmo attuale, le conseguenze più pesanti del cambiamento climatico avranno un impatto devastante a tutte le latitudini del pianeta. Per questo è quanto mai urgente essere coscienti dei rischi attuali e cambiare al più presto una cultura dominante basata sulla crescita ad oltranza, il consumo e lo scarto».

Il focus

Il documento non fa sconti a nessuno e punta il dito contro i principali responsabili della situazione attuale. Nel caso del Congo Brazzaville, ad esempio, accusa gli interessi dell'industria petrolifera, chiamando in causa colossi come ad esempio la francese Total e l'italiana Eni, colpevoli, secondo studi scientifici sul campo, di aver innalzato l'acidità dei suoli, rendendo improduttive le terre circostanti e causando la morte di animali d'allevamento, affamando comunità e impoverendo le economie locali. Infine, denuncia ancora il dossier, «Eni ha iniziato da alcuni anni l’esplorazione di nuovi siti per lo sfruttamento delle sabbie bituminose, uno dei metodi “non convenzionali” di estrazione del greggio dal suolo, e ha avviato investimenti per la produzione di olio di palma per alimentazione e biocombustibili e per la costruzione di due impianti a gas nella città di Pointe-Noire. Tali interventi hanno incontrato tuttavia numerose critiche da parte della società civile, a ragione del forte impatto ambientale che avrebbero sull’ecosistema del Paese». Oltre ai dati statistici rilevati dagli istituti di ricerca e dalla stessa Caritas congolese – impegnata nel Paese con iniziative di sostegno alle comunità colpite e con campagne di pressione nazionale e internazionale – sono le testimonianze dirette, raccolte sul posto, a raccontare in modo efficace il dramma dei popoli che abitano le terre vicine alle imprese estrattive. «Ci dicevano che Eni avrebbe portato grandi aiuti al nostro Paese. Invece ciò che vediamo oggi è morte tutto intorno a noi: la nostra terra, i nostri fiumi, i nostri alberi sono avvelenati», racconta il capo villaggio di Ndongo. Niente scuole, ospedali, lavoro. Nemmeno la corrente elettrica, che pure era stata promessa. «E comunque – prosegue l'interlocutore – anche se portassero la luce, cosa ce ne facciamo se nei nostri villaggi è diventato impossibile vivere?». «La verità – conferma Lambert, un anziano del villaggio di Boubissi – è che i bianchi non vengono mai per aiutare e il petrolio è solo una nuova forma di colonialismo, che consiste nel portare via tutte le nostre risorse riducendoci alla miseria».

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