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«La nostra lotta sarà implacabile»: le forze popolari contro il colpo di Stato in Brasile

«La nostra lotta sarà implacabile»: le forze popolari contro il colpo di Stato in Brasile

Tratto da: Adista Notizie n° 30 del 10/09/2016

38660 BRASILIA-ADISTA. È finita come tutti si aspettavano che finisse: con 61 voti a favore e solo 20 contro, i senatori (49 dei quali con procedimenti giudiziari in corso) hanno destituito la presidente Dilma Rousseff, eletta da 54 milioni di brasiliani, portando a termine il terzo colpo di Stato parlamentare in America Latina in appena 7 anni (dopo quelli in Honduras, nel 2009, e in Paraguay, nel 2012). Nessun argomento, nessuna prova, nessun appello avrebbero potuto cambiare un copione già scritto: la presidente era condannata in partenza, ancora prima dell'avvio del processo di impeachment, malgrado l'assenza di un qualsiasi reato, dimostrata e ribadita più e più volte dai migliori giuristi brasiliani. Una «farsa» così clamorosa – come ha commentato, subito dopo il consumarsi del golpe, il leader del Movimento dei Senza Terra João Pedro Stédile (Caros Amigos, 31/8) – che i senatori non hanno avuto il coraggio di votare anche per l'interdizione per 8 anni dai pubblici uffici, “limitandosi” a «rubarle» il mandato. Del resto, non è mai stata Dilma il vero problema, tanto più considerando la disponibilità da lei mostrata persino ad adottare le misure di aggiustamento fiscale richieste dalla classe dominante: «La borghesia – spiega Stédile – aveva bisogno di un governo completamente al proprio servizio», per poter applicare un programma rigidamente neoliberista e così, attraverso «l'assoluto controllo su tutti i poteri dello Stato» (esecutivo, legislativo, giudiziario e mediatico) salvaguardare i profitti minacciati dall'attuale crisi economica globale. Un obiettivo che la destra, sconfitta quattro volte di seguito nelle urne, ha raggiunto per vie traverse rinunciando a ogni decenza, come era risultato lampante fin dall'avvio del lungo processo di impeachment – quella prima sconcertante votazione del 17 aprile alla Camera dei deputati, in cui, tra invocazioni a Dio, dediche ai familiari, omaggi a torturatori della dittatura e molto altro, i parlamentari avevano approvato la messa in stato d'accusa della presidente – e poi lungo tutte le tappe previste dal procedimento, fino alla seduta del 29 agosto scorso – con la presidente intervenuta per assumere direttamente la propria difesa, dando una lezione di dignità a tutti i presenti – e alla votazione conclusiva di due giorni dopo.

Invano la presidente, a cui lo stesso papa Francesco – secondo quanto rivelato dal teologo Leonardo Boff – aveva inviato un messaggio di solidarietà rispetto al processo di impeachment, ha ricordato come la posta in gioco non fosse solo quella del suo mandato presidenziale, ma, prima di tutto, quella del rispetto «della volontà sovrana del popolo brasiliano e della Costituzione». Invano ha denunciato «il colpo di Stato» in atto, rievocando – a conferma di quanto avesse ragione Marx a evidenziare come la storia si ripeta sempre due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa – la propria lotta contro la dittatura militare, pagata con la prigione e con la tortura. «Non ho commesso i crimini di cui sono accusata ingiustamente e arbitrariamente», ha dichiarato Dilma smontando a una a una tutte le accuse a suo carico (la firma di decreti per l'apertura di crediti supplementari e il presunto ritardo nella restituzione delle risorse dal Tesoro alla Banca del Brasile in relazione al finanziamento di programmi sociali, su cui peraltro si è già pronunciato il Pubblico Ministero Federale, archiviando l'accusa; v. Adista Notizie n. 19/16), non senza accogliere invece «con umiltà» le «dure critiche» rivolte al suo governo, «agli errori che sono stati commessi e alle misure che non sono state adottate». «Ho sempre svolto con assoluta onestà gli incarichi pubblici assunti nel corso della mia vita. Eppure sarò giudicata, per reati che non ho commesso, prima che venga processato l'ex-presidente della Camera», il plurindagato Eduardo Cunha (sospeso dalla carica per decisione del Supremo Tribunale Federale), nonché grande artefice dell'impeachment (il quale, come ha ricordato la presidente, si era deciso ad aprire il processo di messa in stato di accusa proprio in seguito al rifiuto di Dilma di intervenire a suo favore nei procedimenti giudiziari a suo carico). «Cancellare il mio mandato – ha proseguito la presidente – è come infliggermi una pena di morte politica. Questo è il secondo processo che subisco in cui la democrazia siede con me sul banco degli imputati». Ma se, in passato, erano le armi a difendere gli interessi dell'élite minacciati dalle urne, oggi «la rottura democratica avviene per mezzo della violenza morale e di pretesti costituzionali» destinati a garantire una facciata di legittimità a governi imposti al di fuori del processo elettorale. «Di quell'epoca, oltre ai segni dolorosi della tortura, resta una foto in cui – ha proseguito – sono dinanzi ai miei aguzzini, a testa alta, mentre loro si nascondono il volto, per paura di essere riconosciuti e giudicati dalla storia. Oggi, quarant'anni dopo, non c'è arresto illegale, non c'è tortura, e chi mi giudica è arrivato fin qui in virtù dello stesso voto popolare che mi ha condotto alla presidenza». Ma, al di là delle differenze, «provo nuovamente il senso di ingiustizia e di angoscia nel vedere come, ancora una volta, la democrazia viene condannata insieme a me. E non ho dubbi sul fatto che, anche questa volta, tutti saremo giudicati dalla storia». Peccato solo che – come sottolinea Cynara Menezes sul blog Socialista Morena (30/8) – i responsabili del golpe siano troppo impegnati ad accumulare denaro e potere per preoccuparsi di come la storia valuterà il loro operato.

La parola, tuttavia, passa ora alle forze popolari, a cui spetta il compito, sottolinea ancora Stédile, di «analizzare gli errori commessi, correggerli e disporsi ad affrontare, unite e salde, le prossime battaglie», contro l'assalto del Congresso – già in corso – a «tutti i diritti conquistati nell'ultimo secolo»; in difesa delle risorse naturali su cui la classe dominante vorrà mettere le mani, dal petrolio ai prodotti minerari, fino alla terra, all'acqua, alla biodiversità; e, prima di tutto, a favore della realizzazione di un plebiscito popolare sul ricorso a elezioni anticipate e sulla convocazione di un'assemblea costituente per una profonda riforma del sistema politico del Paese. Ma, se tutte queste battaglie esigono, come riconosce Stédile, grandi mobilitazioni popolari, non si tratta di certo di un compito facile, considerando che c'erano solo poche migliaia di manifestanti a protestare contro l'impeachment e che, se la popolarità di Michel Temer, da oggi presidente a tutti gli effetti, è sempre stata ridicolmente bassa, non è che quella di Dilma fosse molto più consistente. In ogni caso, se ora si apre una nuova fase nella storia del Paese, le forze riunite nel Fronte Brasile Popolare sono ben decise a lasciare il loro segno: «Oggi – scrivono in una lettera a Dilma Rousseff – è solo l'inizio della resistenza, per le strade e nelle istituzioni. (…). Il popolo brasiliano, prima di quanto pensino gli usurpatori, sarà in grado di respingere i loro piani e di riprendere la via dei grandi cambiamenti. La nostra lotta contro il governo golpista sarà implacabile».

* Immagine di Héllyda Cavalcanti / Mídia NINJA, tratta dal sito Flickr. Immagine originale e licenza.

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