
È finita per mons. Zanchetta, vescovo argentino abusatore: lo attendono 4 anni e 6 mesi di carcere
4 anni e 6 mesi di reclusione, con arresto immediato, è la condanna inflitta ieri dal Tribunale di Salta, in Argentina, a mons. Gustavo Zanchetta, vescovo emerito di Oran (a 300 km circa da Salta), finito sotto processo con l’accusa di abuso sessuale semplice continuato con l’aggravante di essere commesso da un ministro di culto religioso riconosciuto. Tanto aveva chiesto l’accusa sostenendo che Zanchetta ha agito «con l’intento doloso di coinvolgere sessualmente le vittime, dando inizio ad atti e manovre di seduzione, manipolazione e prerogativa per la funzione di superiore gerarchico in ambito ecclesiastico, conseguendo fiducia, timore reverenziale nelle vittime attraverso toccamenti inverecondi dei loro corpi con un chiaro significato sessuale, spezzando la volontà di coloro che temono di perdere il loro status di seminaristi e ponendo fine alla loro vocazione al servizio religioso».
Il processo, realizzato su denuncia dei due seminaristi, si è celebrato con un ritardo di quattro mesi perché la Corte era in attesa dei fascicoli del processo canonico del vescovo celebrato nel 2019 presso la Congregazione per la Dottrina della Fede, con risultati non noti.
Le prime segnalazioni
Il sospetto su comportamenti poco corretti di Zanchetta (nominato vescovo da Bergoglio nel 2013) risale a 4 anni prima. Il 21 settembre del 2015, il segretario cancelliere della diocesi, Luis Díaz, incaricato dal vescovo di scaricare nel computer dal suo cellulare alcune immagini da lui scattate riguardanti una campana che doveva essere sostituita, si imbatte in foto decisamente imbarazzanti inviate a seminaristi, selfie in cui egli si era ritratto «nudo e masturbandosi». Teme di parlarne al vescovo (Díaz, come scrive in una nota riassuntiva tempo dopo, teme la reazione di Zanchetta, «del quale – racconta – ho imparato a conoscere il suo modo di rapportarsi ai sacerdoti e anche ad altri con una personalità dominante, ossessiva e vendicativa») e, consultatosi con suoi “colleghi” diocesani, manda il materiale a Roma. A inizio ottobre Zanchetta viene chiamato urgentemente da papa Francesco (come lo stesso pontefice racconta a Valentina Alazraki della Tv messicana (Televisa, 28 maggio 2019): «si è difeso bene. Allora, di fronte all’evidenza e a una buona difesa, resta il dubbio, ma in dubio pro reo» ).
Nel 2016, cinque sacerdoti fanno giungere in Vaticano una formale accusa di autoritarismo, cattiva gestione dei beni ecclesiastici e abusi sessuali che si sarebbero verificati nel seminario San Juan XXIII. Nel 2017 Zanchetta si dimette. Quattro mesi dopo, a dicembre, viene creata una carica apposita in Vaticano: “assessore” dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa). Non chiaro il ruolo nel quale è stato inquadrato, non è chiaro nemmeno quale sia stato il suo percorso lavorativo. Il quale peraltro sarebbe terminato intorno al 10 del mese di luglio scorso, ma dal quale sarebbe stato prima sospeso, nel gennaio 2019 in seguito all’annuncio dell’indagine canonica su di lui, e poi reintegrato (giugno 2020). Tutto questo periodo l’avrebbe trascorso, a Roma, nel collegio di Santa Marta, gomito a gomito col papa.
*Gustavo Zanchetta. Foto tratta da anred.org, immagine originale e licenza
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