
Famiglia di Maria /1: una lettera di vittime denuncia le omissioni vaticane
Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 30/11/2024
42046 ROMA-ADISTA. Dopo la sentenza e la condanna del co-fondatore ed ex superiore della Famiglia di Maria (FM) e Opera di Gesù Sommo Sacerdote (OJSS) p. Gebhard Paul Maria Sigl per «abusi del ministero sacerdotale e/o abusi dell'ufficio, nonché omissioni nell'adempimento del proprio ufficio» – sui quali abbiamo ricevuto e pubblicato, negli ultimi due anni, numerose testimonianze – un gruppo di vittime, ex membri della comunità ha preso la parola rivolgendo ai prefetti dei Dicasteri interessati (card. Lazzaro You Heung-sik, Dicastero per il Clero; card. Kevin Joseph Farrell, Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita; mons. Andrés Ferrada Moreira, segretario del Dicastero per il Clero) e ai commissari che dal giugno 2022 hanno in gestione i due istituti, mons. Daniele Libanori e suor Katarína Krištofová, una lettera di denuncia. Nella lettera, firmata, inviata il 12 novembre e resa pubblica il 18, il gruppo – che è formato da «sopravvissuti in epoche diverse a lunghi anni di manipolazione e di violenza psicologica all'interno di essa», e che ha mantenuto nel tempo i contatti con persone dentro e fuori la comunità – denuncia il ruolo marginale delle vittime nel processo e l’opacità della gestione complessiva, che provoca una seconda vittimizzazione.
Sette i punti all’attenzione: in primo luogo, la mancanza, all’atto dell’istruzione dell’inchiesta vaticana, di un “appello ai testimoni” «affinché potessero avere parte attiva denunciando la propria esperienza di abusi. Nessuno ci ha dato la possibilità di fare la nostra parte e di dare almeno un senso alla sofferenza che abbiamo sperimentato e di cui ancora sentiamo le conseguenze: quello di cooperare affinché questo fallimento umano, questo omicidio dell'anima perpetrato contro persone di buona volontà non si ripeta mai più».
I firmatari affermano poi di aver appreso dell’estromissione della co-commissaria dalle sue funzioni «da parte del commissario Libanori, come se fosse un ostacolo, mentre la religiosa, con una lunga esperienza di vita consacrata femminile, ex madre generale del suo istituto, a quanto sappiamo appare l'unica ad avere colto in profondità la realtà. Qui un vescovo, un uomo, prende decisioni unilaterali riguardo a una donna, una religiosa, nominata come lui dal Dicastero, presumibilmente perché le due visioni della comunità non collimano. Questo modo di agire non fa che imporre alla comunità lo stesso modello autoritario e personale di governo al quale è stata sottoposta per cinquant’anni. In questo modo sono annientate l’attesa e la speranza di un altro tipo di vita comunitaria, rispettosa della libertà e dell'individualità di ciascuno nella collaborazione a un obiettivo comune».
Sotto accusa anche il modo di comunicare alla comunità (e in generale al pubblico) le ragioni della condanna di p. Sigl: «Sono stati informati solo delle imputazioni e dei termini della pena. Anche noi sopravvissuti agli abusi spirituali e di coscienza vogliamo conoscere le motivazioni contenute nella sentenza. È una grande ingiustizia trattare in questo modo i membri e gli ex membri abusati di una comunità, senza riconoscere loro il diritto di essere informati su qualcosa che li riguarda direttamente, infantilizzandoli, sminuendoli e contribuendo a mantenerli in una condizione di vulnerabilità». Tale atteggiamento delle istituzioni rappresenterebbe anche «il segno che non c’è la volontà forte di sradicare questi comportamenti abusivi che molto presto si sono insinuati nel “funzionamento abituale” della comunità. Infatti non dire i motivi della condanna impedisce ai membri della comunità di percepire il contesto e la giustezza delle misure da prendere».
Gli ex membri mettono il dito nella piaga delle «maschere che si indossano qualcuno dall'esterno prova a mettere fine a un regime monocratico e ricattatorio come quello che ha governato tanti anni la FM e l’OJSS. Nella storia della comunità questo si ripete ciclicamente e la reazione dei membri, ormai da decenni consolidata, è sempre la stessa: non parlare dell'accaduto con gli altri, non affrontare il problema»; «Come sempre in questi casi, i membri si sforzano di offrire un volto rassicurante della sottomissione e della collaborazione al cambiamento per scongiurare il rischio della dissoluzione, ma non hanno l’intenzione, in realtà, di sottoporsi a una riforma».
I firmatari sottolineano anche come non sia sufficiente «punire p. Gebhard Paul Maria Sigl perché le dinamiche settarie in questa comunità scompaiano. I cambiamenti devono riguardare anche tutta la leadership degli ultimi anni e decenni, che va sostituita per consentire un reale ricambio generazionale e perché si giunga a una vita comunitaria libera da quelle deformazioni che hanno condizionato negativamente la vita dei membri». «Visto che i membri per decenni sono stati manipolati e abusati, quale futuro si offre alle persone all'interno di questa comunità? Lo dimostra la storia di altre realtà: lasciando la “vecchia guardia” alla guida, condannerete la comunità a un futuro molto simile al passato, nel quale i membri continueranno a essere vittime».
Su un piano concreto, la lettera denuncia il fatto che «nessuna politica previdenziale è stata adottata in passato per le persone della comunità, che sono tutte laiche, eccetto i sacerdoti. Questa prassi ingiusta ha reso molto fragili i laici della comunità e li ha esposti a rischi e a ricatti». Una prassi che deve essere radicalmente cambiata, perché «se non si può modificare il passato, le persone abbiano almeno una sicurezza per il loro futuro».
Infine, un tema assai poco caro alla Chiesa istituzionale, quello dei risarcimenti: «Chi si occupa di risarcire i danni, di sanare le ferite e rendere giustizia? Nel comunicato sul sito della comunità il Commissario pontificio e plenipotenziario tace su questo e lo fa a nome vostro, a nome della Chiesa. Le diocesi di tutto il mondo coinvolte negli scandali degli abusi hanno sviluppato i loro piani di risarcimento e di riparazione. Senza un riconoscimento del dolore inferto, ci rendete nuovamente vittime».
La sensazione, conclude la lettera, è che «la storia di questa comunità, passata attraverso abusi di vario genere fin dalla sua creazione, si stia ripetendo. Da p. Seidnitzer a p. Sigl passando per la copertura di mons. Hnilica, lo stesso spirito malsano mai denunciato sembra continuare con il governo di mons. Libanori che ha ordinato di recente nuovi sacerdoti per questa comunità senza nemmeno aspettare il giudizio contro p. Gebhard Sigl… In fondo, ora come allora, nessuna autentica attenzione per le vittime, che dovrebbero essere il primo oggetto di attenzione e di cura della Chiesa. Ora come allora, nessuna libertà di espressione, trasparenza, reciprocità. Ora come allora, nessun rispetto per chi ha idee diverse. Ora come allora, nessuna riparazione e nessun risarcimento. Ora come allora, una tragica incapacità dei vertici della Chiesa di fermare questo stillicidio di vite umane, la cui ferita non curata spesso non si rimargina e porta altro dolore».
Il “giallo” di suor Kristofova
Qualche giorno dopo l’invio della lettera in Vaticano, il 17 novembre, sul sito della Famiglia di Maria è comparso un comunicato che annuncia che «Il Dicastero per il Clero e i Seminari con lettera del 14 novembre 2024 ha comunicato di avere accolto la rinuncia all'ufficio di Co-Commissaria dell’Associazione Opera di Gesù Sommo Sacerdote e dell'Associazione Pro Deo et Fratribus - Famiglia di Maria da parte della Rev.da Sr. Katarína Krištofová SDR». Un provvedimento, registrano i firmatari, preso «48 ore dopo la ricezione della nostra lettera», che «non fa che gettare ulteriori ombre sulla gestione che contestiamo». La domanda sorge spontanea: in che rapporto, causale e temporale, esso si pone rispetto all’estromissione della religiosa che sarebbe stata operata dal commissario?
Peraltro, il gruppo di vittime registra anche, dopo aver «atteso per giorni una risposta dai cinque destinatari, almeno una accusa di ricevuta, a dimostrazione di una presa in considerazione delle vittime», che «l’attesa è stata vana». Nessun segnale di voler instaurare con le vittime una qualsiasi interlocuzione.
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