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Dopo l'aggressione al campo profughi, RDCongo e Ruanda ai ferri corti

Dopo l'aggressione al campo profughi, RDCongo e Ruanda ai ferri corti

Tensione alle stelle tra Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) e Ruanda, in seguito alle reiterate accuse da parte delle autorità congolesi all’indirizzo di Kigali, ritenuto fiancheggiatore militare ed economico del Movimento 23 Marzo (M23), il gruppo armato che ha messo a ferro e fuoco le regioni orientali della RDCongo al fine di garantirsi – e garantire al Paese confinante – un continuo approvvigionamento di risorse minerarie rare, preziose e strategiche, di cui l’Est Congo è ricchissimo. In merito al conflitto sulle risorse della RDCongo, si veda anche Adista online del 26/4/2024 e Adista Notizie n. 11 del 23/03/2024.

Mentre i riflettori del mondo intero restano puntati sui conflitti in Ucraina e a Gaza, nel Paese africano si sta consumando da anni una crisi umanitaria di enormi proporzioni. Il 3 maggio scorso due ordigni ancora non identificati hanno colpito un campo profughi nei pressi di Goma, capitale del Nord Kivu, provocando ingenti danni alle strutture di soccorso, 17 morti (per lo più donne e bambini) e 35 feriti tra gli sfollati in fuga dal conflitto tra forze governative e M23. La barbarie dell’azione militare ha destato scalpore nella regione africana ma anche nella comunità internazionale: esercito regolare della RDCongo e M23 si sono rimpallati le accuse sulle responsabilità dell’aggressione; l’Onu ha chiesto alle autorità congolesi di avviare un’indagine per chiarire quanto accaduto; l’Unione Europea ha denunciato l’atto e ha chiesto un ripristino del diritto internazionale e del diritto umanitario; il giorno dopo i bombardamenti anche il Dipartimento di Stato Usa, a sorpresa, è sceso in campo per accusare il Ruanda del sostegno al M23, considerato autore dell’aggressione. Spiega il sito di informazione Focus on Africa che, «in risposta al comunicato del Dipartimento di Stato Americano, un portavoce del governo rwandese ha affermato che l’esercito del Rwanda (...) non attaccherebbe mai un campo di sfollati interni. Poche ore dopo, inoltre, è giunto un comunicato ufficiale del governo rwandese, in cui denuncia le accuse statunitensi come “ingiustificate” e che arrivano “senza alcuna indagine”. Il Rwanda, anzi, rifiuta categoricamente qualsiasi responsabilità per il bombardamento dei campi o per i fallimenti di sicurezza e di governance del governo della Repubblica Democratica del Congo». Il governo ruandese si dice anche scettico sulla parzialità delle dichiarazioni Usa e sulla sua credibilità come mediatore di pace nella regione.

Scrive Nigrizia il 7 maggio che «la reazione più infuocata è però stata quella del presidente congolese Felix Tshisekedi». Dalla sua visita a Parigi, ha puntato il dito su Kigali e sulla comunità internazionale che si è dimostrata ambigua nel condannare il Paese “invasore”. «Il nostro vicino – ha dichiarato Tshisekedi al quotidiano francese Le Figaro – viola il nostro territorio per saccheggiare i nostri minerali essenziali e terrorizzare le nostre popolazioni” e questo anche grazie all’“inerzia della comunità internazionale”».

Sempre a Le Figaro, Tshisekedi ha chiesto alla Francia di usare «la sua influenza come membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU, proprio come la Cina o gli Stati Uniti, per punire il regime rwandese. Perché dovrebbero esserci doppi standard? Perché dev’essere sanzionata la Russia che invade l’Ucraina e non il Rwanda che ci attacca da trent’anni? È inspiegabile».

Ma il presidente Congolese si è spinto oltre, spiega ancora Nigrizia, «ammettendo la possibilità di un conflitto armato con Kigali. “Certo, una guerra è possibile, non ve lo nascondo”, ha dichiarato. “Ma voglio posticipare il più possibile questa scadenza perché preferisco investire tutta la nostra energia e la nostra ricchezza nello sviluppo dei 145 territori della Rd Congo piuttosto che nello sforzo militare”, ha aggiunto».

Per il periodico comboniano si tratta di «dichiarazioni inquietanti», peraltro «avvallate dal pesante aumento della spesa militare congolese» che non aiutano i pochi sforzi di pace avviati a Luanda, in Angola, «per cercare di trovare un terreno di intesa comune per avviare un dialogo di pace».

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